Cassazione Penale – Colpa medica – Errore nella valutazione anestesiologica e nella scelta del ricovero in regime di day surgery. La Corte di Cassazione ha affermato che il caso in esame è caratterizzato dalla contestuale presenza di condotte commissive e di condotte omissive. Le prime riferentisi alla scelta del tipo di ricovero in ragione dell’erronea attribuzione della classe di rischio ASA II anzichè ASA III, e del tipo di anestesia, le seconde alla non tempestiva diagnosi circa l’ingravescenza delle condizioni del paziente nel corso dell’intervento chirurgico. (Sentenza 1832/2015)
FATTO: Con sentenza del 23.05.2011 il Tribunale di Torino riteneva V. L. e R.F. responsabili, condannandoli alle pene di giustizia, del delitto di cui all’ art. 589 c.p. , perché il primo, quale medico chirurgo operatore, il secondo, quale medico anestesista rianimatore, per colpa, consistita in imperizia, imprudenza, negligenza, cagionavano il decesso del paziente B. G., tenendo la seguenti condotte: entrambi decidevano di sottoporre (in data —- ad intervento chirurgico di vitrectomia il B. in regime di day surgery, senza adeguato studio delle condizioni cliniche, con particolare riguardo al rischio di danno d’organo correlato alla presenza di diabete, o, comunque, dopo una valutazione imprudente delle condizioni di salute del paziente, giungendo alla errata classificazione del caso secondo la classe di rischio ASA II, anziché come ASA III, classe che avrebbe imposto il ricovero in regime ordinario;sottoponevano, quindi, il paziente al predetto intervento chirurgico in condizioni tali per cui si producevano fenomeni di aritmia cardiaca e di instabilità emodinamica, cui seguì un arresto cardiocircolatorio;
DIRITTO: La sentenza impugnata appare caratterizzata da un convincente apparato argomentativo, sulle questioni di interesse ai fini del giudizio di responsabilità e non presenta, peraltro, neppure errori di diritto, con precipuo riguardo ai principi applicabili in tema di colpa e di nesso di causalità. Relativamente all’accertamento della sussistenza del nesso causale la Corte torinese ritiene che l’istruttoria dibattimentale di primo grado e quella rinnovata in secondo grado abbiano confermato l’esistenza del nesso causale tra l’intervento chirurgico ed il decesso del B., evidenziando che, nel corso di tale intervento di vitrectomia, sopraggiunse l’arresto cardiocircolatorio che determinò il coma post-anossico del paziente che, a sua volta, portò ad una progressiva insufficienza multi organica, sviluppatasi in un soggetto affetto da diabete mellito tipo 1, complicato da insufficienza renale cronica acuitasi sino al decesso. Premesso che, nel caso di specie, fatto del tutto pacifico, non si censura affatto l’intervento di vitrectomia in sè, eseguito perfettamente, ma la scelta del tipo di anestesia e di ricovero in ospedale, in fase preoperatoria, e la omessa tempestiva ed adeguata assistenza sanitaria, nel momento in cui si verificarono le complicanze, in fase operatoria, è necessario verificare se è stata ben individuata la causa ultima che determinò l’arresto circolatorio e se essa è dipesa proprio da quelle condotte addebitate ai sanitari. Quanto alla causalità della condotta, va precisato che il caso in esame è caratterizzato dalla contestuale presenza di condotte commissive e di condotte omissive. Le prime riferentisi alla scelta del tipo di ricovero in ragione dell’erronea attribuzione della classe di rischio ASA II anzichè ASA III, e del tipo di anestesia, le seconde alla non tempestiva diagnosi circa l’ingravescenza delle condizioni del paziente nel corso dell’intervento chirurgico. Sotto il primo profilo, quello dell’accertamento della causa dell’arresto cardiocircolatorio, è rimasto incontestato che, come accertato dagli specialisti incaricati in sede di incidente probatorio e da essi confermato in appello in contraddittorio con i consulenti di parte, che lo stress fisico e psicologico cui fu sottoposto il paziente dipese dalla erronea scelta di ricoverare il B. in day surgery e di praticargli l’anestesia locale. Tutte le critiche prospettate con gli odierni ricorsi dai ricorrenti in ordine a tali scelte sono state già puntualmente esaminate dalla Corte torinese e la relativa valutazione è decisamente condivisibile. Significativa è la chiarezza con cui le linee guida per l’assistenza anestesiologica dell’American Society of Anestiology individuano le classi di rischio anestesiologico per i pazienti che debbono subire un intervento, laddove nella classe ASA II, quella indicata dal R., rientrano i pazienti con malattie lievi, e nella classe ASA III, quella indicata dai periti di ufficio, rientrano i pazienti con malattie sistemiche severe ma non invalidanti. Ebbene, il B. portatore di quelle patologie già ampiamente indicate, tra cui l’insufficienza renale che lo costringeva a sottoporsi a dialisi ben tre volte la settimana (per altro in lista di attesa per il trapianto rene-pancreas), non poteva certo definirsi un paziente con malattie lievi (ASA II). I giudici del gravame, andando oltre nell’esame di tale aspetto, chiariscono, in conformità della giurisprudenza di questa Corte, che, in tema di responsabilità medica, sussiste una responsabilità del medico titolare dell’intervento anche quando abbia chiesto un consulto ad un collega, eventualmente di maggiore esperienza, e di tale consulto si sia fidato senza porre in essere ulteriori accertamenti. Ma nel caso di specie non vi fu alcun consulto ed il R. si è limitato a richiamare una preliminare valutazione anestesiologica compiuta dal primario del reparto alcuni giorni prima, da lui integralmente recepita e condivisa la mattina dell’intervento. I periti hanno ampiamente spiegato che tale erronea indicazione sul rischio anestesiologico comportò il conseguente inadeguato ricovero temporaneo del paziente con la scelta dell’anestesia locale, che pose il paziente in una situazione di stress psico-fisico (al B., come hanno evidenziato i periti, è stata effettuata una anestesia loco-regionale senza nemmeno la cautela di una previa minima sedazione volta a togliere la componente dello stress) che determinò la sindrome di "bassa portata", a sua volta causa dell’arresto cardiocircolatorio. Quanto al secondo aspetto ritiene il Collegio che nel caso di specie ricorre una responsabilità da equipe sia con riferimento alla parte preoperatoria che a quella operatoria. In ordine alla prima, è ben posto in evidenza in sentenza che, secondo le linee guida, richiamate dai periti, con riferimento alla posizione del chirurgo V., questi avrebbe dovuto concordare con il collega anestesista una scelta meditata sul percorso anestesiologico da seguire. In effetti è il chirurgo che deve fornire una serie di indicazioni sul tipo di intervento e sulle possibili interferenze e implicazioni di quella chirurgica su altre patologie o condizioni del paziente; rileva la Corte del merito che il chirurgo e l’anestesista assumono, entrambi, una posizione di garanzia sul paziente, ed entrambi avrebbero dovuto verificare la correttezza della scelta anestesiologica. In ordine alla seconda il chirurgo avrebbe dovuto richiedere che il collega non abbandonasse la sala tanto più che il paziente era stato male sin dall’inizio dell’intervento. E’ rimasto accertato che il R. tornò in sala operatoria, chiamato dalle infermiere, quando le condizioni del paziente erano diventate critiche, dopo che il monitor aveva dato l’allarme relativo alla desaturazione, e dovette procedere alle pratiche rianimatorie. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza impugnata per essere il reato contestato estinto per prescrizione