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Condannato medico ospedaliero che richiede compensi indebiti

Cassazione PenaleCondannato medico ospedaliero che richiede compensi indebiti – La Corte di Cassazione ha affermato che integra l’ipotesi dell’induzione indebita di cui all’art. 319- quater c.p la condotta del medico volta a richiedere al paziente compensi indebiti. La Corte ha avuto modo di affermare la sussistenza di una condotta induttiva anche in presenza della sola richiesta di compensi indebiti da parte del medico, preposto al pubblico servizio sanitario, rivolta a persone malate o ai loro familiari, dal momento che questi soggetti si trovano particolarmente indifesi di fronte ad un soggetto dalle cui prestazioni dipende la conservazione di un bene fondamentale, quale la salute. Sentenza n. 50248/15

FATTO: L’imputato è stato accusato, in qualità di coordinatore del servizio di Pronto Soccorso dell’Ospedale di X, di avere indotto numerosi pazienti recatisi presso il Pronto Soccorso a rivolgersi all’Ospedale di X, ovvero presso il suo studio privato di X, per essere lì operati, in quanto i tempi di attesa sarebbero stati di gran lunga inferiori; di avere operato personalmente presso l’Ospedale di X i pazienti ivi indirizzati e di avere ricevuto somme di denaro per le prestazioni effettuate in regime ambulatorio pubblico.

DIRITTO: Questa Corte ha avuto modo di affermare la sussistenza di una condotta induttiva anche in presenza della sola richiesta di compensi indebiti da parte del medico, preposto al pubblico servizio sanitario, rivolta a persone malate o ai loro familiari, dal momento che questi soggetti si trovano particolarmente indifesi di fronte ad un soggetto dalle cui prestazioni dipende la conservazione di un bene fondamentale, quale la salute. Situazione che si è verificata nel caso in esame, dovendo riconoscersi che l’induzione non è vincolata a forme predeterminate e tassative, potendo concretizzarsi anche in frasi indirette ovvero in atteggiamenti o comportamenti surrettizi, che si esplicitino in suggestione tacita, ammissioni o silenzi, purché siano idonee ad influenzare la volontà dell’altra parte: nella specie, i pazienti sono stati "convinti" della opportunità di farsi operare presso la struttura ospedaliera di X. In questo modo, l’imputato ha utilizzato la sua posizione di preminenza – dovuta non solo alla sua qualità di medico, ma anche al fatto che nell’ospedale di X era direttore medico incaricato dell’unità operativa di pronto soccorso e che nell’ospedale di  X svolgeva attività di direzione e coordinamento nella divisione di chirurgia – per esercitare un’apprezzabile opera di pressione morale sui pazienti, alludendo, talvolta in maniera implicita, altre volte in modo più esplicito, alla possibilità di ritardi qualora il paziente non avesse aderito alla sua proposta, facendosi corrispondere del denaro per gli interventi eseguiti presso l’ospedale di X. Nel ricorso si contesta che le richieste di pagamento fossero un compenso per un trattamento di favore riservato ai pazienti, assumendo che in realtà altro non erano se non l’importo del ticket per le prestazioni da corrispondere all’ASL. Si tratta di affermazioni che non trovano riscontro negli elementi di prova acquisiti: invero, la sentenza impugnata ha esaminato i numerosi episodi contestati all’imputato, rilevando come al versamento delle somme, peraltro modeste, richieste dall’imputato per i piccoli interventi chirurgici effettuati non seguiva mai la consegna di una ricevuta ovvero di un modulo attestante che si trattasse di pagamenti dovuti per il ticket sanitario. In conclusione, l’ipotesi dell’induzione indebita di cui all’art. 319- quater c.p. risulta non solo corretta dal punto di vista della qualificazione giuridica, ma anche provata in base agli elementi di prova acquisiti e valutati dai giudici di secondo grado. Confermata quindi ai sensi dell’art. 319-quater c.p  la condanna dell’imputato alla pena di un anno e otto mesi di reclusione

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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