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Conseguenze dell’incompleta tenuta della cartella clinica

Cassazione Civile Sentenza n. 6209/16 – Conseguenze dell’incompleta tenuta della cartella clinica – La Corte di Cassazione ha affermato che l’imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (anziché per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile), traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all’esattezza del proprio adempimento.

FATTO: T.A. e M.P. agirono, in proprio e in qualità di genitori esercenti la potestà sui minori I. ed A., per il risarcimento dei danni conseguiti alle lesioni subite dalla figlia I. in occasione del parto, avvenuto presso l’Ospedale Civile di (OMISSIS), che erano esitate in tetraparesi e grave insufficienza mentale causate da asfissia perinatale. Gli attori avevano prospettato la responsabilità dei sanitari e della struttura ospedaliera per non aver prestato alla T. un’adeguata assistenza al parto e per non avere assicurato alla bambina un idoneo trattamento post-natale. La Corte di Appello ha ritenuto che non potesse ascriversi a responsabilità dei sanitari la mancata effettuazione del tracciato cardiotocografico in luogo della mera auscultazione del battito cardiaco fetale (giacché le condizioni della T. non ne comportavano la necessità e, comunque, il tracciato di controllo non avrebbe potuto rilevare la presenza dell’asfissia) ed ha parimenti affermato che "la fase post-natale fu gestita con corretta predisposizione di diagnosi e terapie nel momento in cui si evidenziò il peggioramento della bambina", rilevando altresì che "il trasferimento al reparto di rianimazione fu disposto con tempistica ragionevole, né un suo anticipo avrebbe condotto a risultati terapeutici migliori"; ha concluso, pertanto, che non poteva ravvisarsi "la sussistenza di nesso di causalità tra attività posta in essere dai sanitari e quanto ebbe a verificarsi in danno della neonata".

DIRITTO: È noto che – secondo i princìpi che governano la responsabilità contrattuale – la struttura e i sanitari che siano convenuti in giudizio per ipotesi di malpractice sono tenuti a fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 1218 c.c., con la conseguenza che il mancato raggiungimento di tale prova (compreso il mero dubbio sull’esattezza dell’adempimento) non può che ricadere a loro carico. È noto, altresì, che la difettosa tenuta della cartella clinica da parte dei sanitari non può tradursi, sul piano processuale, in un pregiudizio per il paziente e che è anzi consentito il ricorso alle presunzioni "in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato"; tali principi, che costituiscono espressione del criterio della vicinanza alla prova nel più ampio quadro della distribuzione degli oneri probatori, assumono speciale pregnanza in quanto sono destinati ad operare non soltanto ai fini della valutazione della condotta del sanitario (ossia dell’accertamento della colpa), ma anche in relazione alla stessa individuazione del nesso eziologico fra la condotta medica e le conseguenze dannose subite dal paziente. Tanto premesso, deve ritenersi che la Corte abbia errato laddove, a fronte di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica, ha ritenuto di condividere l’ipotesi – formulata dai consulenti d’ufficio – che la neonata non potesse essere stata lasciata senza assistenza e non "avesse avuto problemi, anche perché al mattino le condizioni cliniche erano stabili". Tali conclusioni meritano censura sia sotto il profilo del vizio motivazionale (anche nei ristretti termini in cui esso assume rilevanza ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., n. 5) che sotto quello della violazione dei criteri di distribuzione dell’onere della prova, alla luce della pacifica carenza di annotazioni nella cartella clinica. Non può sfuggire, infatti, l’irriducibile antinomia esistente fra la constatazione della carenza delle annotazioni e l’affermazione della plausibilità dell’ipotesi che – ciononostante – la neonata fosse stata ben monitorata: si tratta, infatti, di una conclusione che è contraria alle effettive risultanze documentali e che vìola il criterio secondo cui l’imperfetta compilazione della cartella clinica non può tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente (anziché per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile), traducendosi in un inammissibile vulnus al criterio che onera la parte convenuta della prova liberatoria in merito all’esattezza del proprio adempimento.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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