Il Consiglio di Stato ha affermato che la ratio dell’obbligo vaccinale per il personale sanitario consiste nella prevalenza accordata alla tutela della salute pubblica e degli utenti della sanità pubblica e privata. Le misure inerenti il contrasto alla pandemia non risultano essere sproporzionate né discriminatorie, né lesive dei diritti fondamentali dei destinatari e che il diritto all’autodeterminazione di quanti abbiano deciso di non vaccinarsi è da ritenersi recessivo rispetto alla tutela di beni supremi quale è la salute pubblica, specie in considerazione del fatto che il provvedimento di sospensione, ove adottato, non ha funzione sanzionatoria e non pregiudica in alcun modo il rapporto di lavoro. I giudici richiamano, infatti, la giurisprudenza costituzionale la quale ha chiarito che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost.: se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri; se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell’ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria» (Corte Cost. n. 258/1994, n. 307/1990, n. 5/2018).
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