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Consiglio di Stato Sentenza n. 2234/19 – Libertà prescrittiva del medico e raccomandazioni della C.T.R. (Commissione Terapeutica Regionale)

Consiglio di Stato Sentenza n. 2234/19 – Libertà prescrittiva del medico e raccomandazioni della C.T.R. (Commissione Terapeutica Regionale) – Il Consiglio di Stato ha affermato che trattandosi di provvedimenti che finiscono con l’impattare con la libertà prescrittiva del medico e con il diritto alla migliore cura per il paziente, le raccomandazioni sulla prescrizione dei farmaci devono rispettare le direttive dell’AIFA (e quindi il giudizio di equivalenza terapeutica da essa adottato) in caso di farmaci basati su principi attivi differenti. E’ quindi indubitabile che questo tipo di raccomandazioni impattano con la libertà prescrittiva del medico riconosciuta dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 12 luglio 2017 n. 169, laddove ha ribadito fortemente il “carattere personalistico delle cure sanitarie, sicchè la previsione legislativa non può precludere al medico la possibilità di valutare, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, il singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta la terapia ritenuta più idonea ad assicurare la tutela della salute del paziente […]. E’, quindi, assolutamente incompatibile un sindacato politico o meramente finanziario sulle prescrizioni, poiché la discrezionalità legislativa trova il suo limite nelle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicchè, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali” (sentenze n. 338 del 2003 e 282 del 2002).

FATTO e DIRITTO:

1. La ricorrente è un’azienda farmaceutica titolare dei diritti di commercializzazione in Italia della specialità medicinale Suboxone, a base dell’associazione di principi attivi Buprenorfina e Naloxone, indicata per il trattamento sostitutivo della dipendenza da oppioidi e utilizzata nell’ambito del complessivo intervento di tipo medico, sociale e psicologico su adulti e adolescenti di età superiore ai 15 anni che abbiano dato il proprio consenso alla cura della tossicodipendenza.

L’azienda ricorrente commercializza anche il farmaco Subutex fondato sul principio attivo Buprenorfina in monocomponente.

La società ricorrente ha osservato che il proprio farmaco denominato Suboxone presenta caratteristiche particolari in quanto – associando Buprenorfina e Naloxone – sarebbe idoneo a ridurre i casi di c.d. misuso (e cioè dell’uso improprio) del farmaco da parte dei pazienti tossicodipendenti.

Alla categoria terapeutica dei “narcotici” appartengono, oltre ai predetti prodotti, anche altri farmaci, quali il Metadone commercializzato da molti anni, ed il Levometadone che costituisce lo sviluppo del Metadone in grado di ovviare ad alcuni problemi di sicurezza di tale farmaco, ed in particolare, a problemi di aritmia che possono essere molto pericolosi per i pazienti.

2. Con nota del 29 giugno 2017 (inviata ai Direttori dei Dipartimenti interessati), il Direttore Sanitario dell’Azienda U.S.L. T.N. O. ha dettato una direttiva inerente al «Budget 2017: disposizioni per i SerT» dal seguente tenore: «per applicare le raccomandazioni della CTR sulla terapia della dipendenza da oppiacei e per assicurare la copertura dei costi del levometadone per la cura dell’utenza del SerT invito l’U.O. Controlli di Gestione a inserire nel budget 2017 una riduzione di spesa del 10% sul 2016 assegnando a tale obiettivo un peso pari al 5%»; la raccomandazione della C.T.R. (Commissione Terapeutica Regionale) richiamata nel testo del provvedimento è stata individuata dalla ricorrente nel verbale della riunione del 2 dicembre 2015 che, con riferimento ai medicinali contenenti l’associazione precostituita buprenorfina/naloxone (come il Suboxone), aveva così concluso (punto n. 4 del verbale): «dopo ampia discussione la CTR raccomanda metadone quale farmaco di prima scelta nella terapia della dipendenza da oppiacei; per i pazienti non eleggibili a trattamento con metadone, data la considerevole differenza di prezzo tra l’associazione precostituita buprenorfina/naloxone e il medicinale a base di sola buprenorfina, la CTR raccomanda che venga considerato per ciascun paziente il rapporto beneficio/costo e che ci sia un’attenta valutazione e selezione dei pazienti al fine di evitare che la terapia associativa risulti di prima scelta».

3. Con ricorso proposto dinanzi al TAR Toscana, la società I. I. S.r.l. ha impugnato detti atti deducendo le seguenti censure: 1) violazione dell’art. 15, comma 11-ter, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in l. n. 135/2012, inserito dall’articolo 13-bis, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito in l. n. 221/2012, violazione dell’art. 117 Cost., incompetenza, violazione diretta dell’art. 32 Cost, eccesso di potere per difetto dei necessari presupposti di fatto e di diritto; 2) illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione del principio della libertà prescrittiva del medico curante, espressione dell’art. 32 Cost, sviamento di potere; 3) sviamento di potere per avere inteso l’amministrazione dettare indirizzi prescrittivi motivati solo con riferimento al minore costo per il SSN, violazione art. 32 Cost., eccesso di potere per illogicità e irragionevolezza e difetto dei necessari presupposti di fatto e di diritto, eccesso di potere per difetto di istruttoria. Si sono costituite in giudizio l’A.U.S.L. T. N. O. e la L. M. & C. dei F. A. S. di E. S.p.A. (evocata in giudizio dalla stessa ricorrente), controdeducendo sul merito del ricorso ed articolando eccezioni preliminari di inammissibilità e irricevibilità del ricorso, sotto vari profili.

4. Con sentenza n. 567 del 20 aprile 2018 il TAR ha respinto il ricorso rigettando le eccezioni preliminari ed accogliendo i primi due motivi di gravame con assorbimento del terzo motivo.

5. Avverso tale decisione l’Azienda USL T. N. O. ha proposto appello chiedendone la riforma.

La società appellata si è costituita in giudizio e, con memoria ex art. 101, comma 2, c.p.a., ha riproposto la doglianza assorbita dal TAR.

Ha quindi controdedotto in merito ai motivi di appello chiedendone il rigetto.

Entrambe le parti hanno depositato scritti difensivi a sostegno delle rispettive tesi.

6. All’udienza pubblica del 7 febbraio 2019 l’appello è stato trattenuto in decisione.

7. L’appello è infondato e va, dunque, respinto.

8. Prima di procedere alla disamina delle doglianze sollevate dall’appellante, ritiene il Collegio di dover richiamare – in estrema sintesi – i presupposti sui quali si fonda la motivazione della sentenza appellata. Il TAR ha ritenuto infondate le eccezioni preliminari di inammissibilità ed irricevibilità del ricorso ritenendo che la nota impugnata, ed il presupposto verbale della CTR contenente le raccomandazioni sulla terapia della dipendenza da oppiacei, non si limitassero alla sola predeterminazione del budget di spesa, ma avessero anche incidenza sulle modalità prescrittive dei farmaci: da ciò ha dedotto l’immediata lesività degli atti ed il relativo interesse alla loro impugnazione. Quanto alla prova dell’effettiva e persistente lesività di tale direttive, il primo giudice ha sottolineato il sostanziale calo delle prescrizioni del Suboxone nel corso del 2017 e l’irrilevanza della loro scadenza, in quanto superate dalle nuove direttive per l’anno 2018, tenuto conto dell’effetto di “trascinamento” sugli anni successivi. Ha quindi respinto l’eccezione di tardività dell’impugnazione del verbale della CTR.

Superati i profili di rito, ha stigmatizzato l’illegittimità delle direttive imposte dall’Amministrazione ritenendole confliggenti con la competenza esclusiva dell’AIFA ai fini del riconoscimento del principio dell’equivalenza terapeutica; ha quindi ritenuto illegittime tali direttive per violazione del principio di continuità terapeutica e di libertà prescrittiva del medico.

Ha quindi accolto i primi due motivi di ricorso richiamando la giurisprudenza di questa Sezione, in tema di equivalenza terapeutica e libertà di prescrizione da parte dei medici.

9. Con i primi tre profili di gravame l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado – nella parte in cui ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio – sotto tre diversi profili, ribadendo che:

– la direttiva del 2017 non avrebbe valenza provvedimentale e non avrebbe assunto alcuna efficienza causale in relazione alla riduzione delle prescrizioni del Suboxone;

– la riduzione delle prescrizioni deriverebbe dalla libera scelta dei medici prescrittori;

– tale delibera avrebbe cessato di produrre effetti dall’inizio del 2018 e non vi sarebbe stato alcun effetto di “trascinamento” per l’anno 2018; – la nota del 29/6/2017 impugnata conterrebbe un mero invito alla riduzione della spesa nel rispetto del budget fissato per il 2017, e quindi non avrebbe alcuna valenza decisoria e vincolante; – il riferimento alla rilevanza pari al 5% del complesso degli obiettivi assegnati alla dirigenza non assumerebbe alcuna efficacia coercitiva, tenuto conto anche del ridotto valore economico della decurtazione prevista per il personale, pari a soli € 125 lordi della indennità di risultato su base annua; – la nota impugnata sarebbe un mero atto di programmazione rivolto ai professionisti operanti all’interno dei SerT aziendali, e dunque non avrebbe avuto alcuna diretta incidenza sulle prescrizioni del farmaco da utilizzare nel caso concreto.

Di tali premesse discenderebbe l’inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse.

10. Le doglianze non possono trovare accoglimento. Correttamente il primo giudice ha rilevato come “il contenuto precettivo dell’impugnata nota 29 giugno 2017 del Direttore Sanitario dell’Azienda U.S.L. T. N. O. non si esaurisca nella sola predeterminazione del budget (come limitativamente sostenuto dalle difese dell’Amministrazione resistente e della L. M. & C. dei F. A. S. di E. s.p.a.), ma contenga evidente riferimento alla volontà (e necessità) di dare applicazione alle <<raccomandazioni della CTR sulla terapia della dipendenza da oppiacei>> ovvero ad una finalità che attribuisce alla nota in questione anche un’evidente efficacia sulle modalità prescrittive dei relativi farmaci. In questa prospettiva, appaiono evidenti, da un lato, l’astratta efficacia lesiva del detto provvedimento (che non si limita a problematiche budgetarie, ma incide sulle modalità prescrittive dei farmaci)”.La comunicazione del 29 giugno 2017, infatti, ha previsto un obiettivo di riduzione del 10% della spesa registrato nell’anno 2016 per l’acquisto del farmaco Suboxone; la CTR ha individuato il principio attivo metadone come farmaco di prima scelta nella terapia della dipendenza da oppioidi in tutta la R. T., raccomandando anche di operare una attenta valutazione e selezione dei pazienti, al fine di evitare che la terapia associativa (assicurata dal prodotto in questione) fosse quella di prima scelta. Tali disposizioni sono palesemente finalizzate a ridurre le prescrizione del prodotto Suboxone, commercializzato dalla società appellata, la quale è chiaramente titolare di legittimazione e di interesse a ricorrere avverso gli atti amministrativi impugnati. La tesi dell’appellante non convince neppure con riferimento alla asserita mancata incidenza causale sul numero delle prescrizioni: come ha correttamente rilevato il primo giudice, la comunicazione del 29 giugno 2017 non si è limitata a fissare l’obiettivo di riduzione del budget di spesa del 10%, ma ha anche espressamente attribuito ad esso una rilevanza in sede di valutazione della performance dei dirigenti, prevedendo in relazione ad esso “un peso pari al 5%”. Il peso è dimostrato dalla flessione del consumo del farmaco (pari al 16% rispetto all’anno precedente) che è stata addirittura maggiore del preventivato 10%; tale flessione è stata accompagnata dall’aumento delle prescrizioni del farmaco monocomponente a base di buprenorfina, proprio come indicato nelle direttive della CTR. I dati numerici sono in grado di confutare quanto affermato dall’appellante; il condizionamento dei medici prescrittori deriva dalla vincolatività della raccomandazione per il personale medico, ed è stata rafforzata anche dalla comminatoria ad essa correlata a prescindere dall’entità della riduzione della remunerazione: ne consegue che la tesi dell’appellante diretta a svalutare la portata delle direttive sotto il profilo economico non può essere condivisa, in quanto meramente assertiva e contrastante con i dati fattuali. In ogni caso la giurisprudenza della Sezione (cfr. Cons. Stato, Sez. III 11 maggio 2018 n. 2820) ha già chiarito – con specifico riferimento alla incidenza delle raccomandazioni in tema di prescrizione dei farmaci – che “al fine di ritenere integrata la violazione dell’art. 15, comma 11-ter, del d.l. n. 95 del 2012 ….non è necessario che le direttive regionali comportino, in caso di inosservanza da parte dei propri destinatari, le conseguenze sanzionatorie di cui sopra…., essendo sufficiente la indubitabile efficacia di forte “moral suasion” (o dissuasion) che esse rivestono in sé”. In sostanza, è sufficiente la mera dissuasione all’utilizzazione di un determinato medicinale ad integrare la violazione dei principi che regolano la prescrizione dei farmaci da parte del personale medico, se non è accompagnata dall’accertata equivalenza terapeutica da parte dell’AIFA.

10.1 – Neppure può condividersi la tesi dell’appellante diretta a sostenere la perdita di efficacia della direttiva fissata per l’anno 2017, in quanto superata da nuovi obiettivi fissati per l’anno 2018. Correttamente la difesa dell’appellata ha rilevato che i nuovi obiettivi sono stati solo proposti e non adottati in sostituzione (doc. n. 10 e 10 bis fasc. doc. di primo grado dell’Amministrazione), ma a prescindere da questo aspetto, anche ove vi fosse stata l’effettiva rimozione della precedente prescrizione, sussisterebbe comunque l’interesse alla decisione da parte della società ricorrente in primo grado sia per gli effetti che l’atto in questione ha prodotto nell’anno 2017, rilevanti anche a fini risarcitori, sia soprattutto – come giustamente rilevato dal TAR – per l’effetto di trascinamento che la comunicazione stessa può avere per gli anni successivi.

E’ ragionevole ipotizzare, infatti, che i medici – facendo applicazione, ad esempio, del principio della continuità terapeutica – continuino a prescrivere anche per gli anni seguenti il medesimo medicinale. A questo proposito è opportuno precisare, alla luce dei rilievi svolti sul punto dall’appellante, che l’informativa effettuata dalla società I. ai medici prescrittori della R. T., sull’esito del giudizio di primo grado avverso la direttiva per la prescrizione dei farmaci per la cura delle tossicodipendenze, ha il solo scopo di informare i medici circa il venir meno dei vincoli prescrittivi sui farmaci, rappresentando che per effetto della sentenza del TAR la possibilità di prescrivere la specialità medicinale Suboxone “ritorna, di conseguenza, ad essere affidata unicamente alla libera scelta del medico, senza alcun indebito condizionamento, anche nella regione T.”. Tale comunicazione, che peraltro si limita a richiamare i principi affermati nella sentenza di primo grado, non può qualificarsi come indebita “pressione” sui medici prescrittori, ma semmai è diretta a contenere il possibile effetto di trascinamento della direttiva relativa all’anno 2017, annullata in sede giurisdizionale, non avendo la società alcuna certezza sull’avvenuta divulgazione, da parte dell’Azienda Sanitaria, presso il personale medico, dell’esito del giudizio di primo grado proposto avverso tale direttiva.

10.2 – Infine, occorre aggiungere che la materia in questione rientra pacificamente nella cognizione del giudice amministrativo (come dimostrano i numerosi precedenti di questa Sezione che saranno richiamati in seguito) e che la sentenza del TAR Piemonte n. 217/2018, citata dall’appellante, è palesemente inconferente, in quanto relativa ad una direttiva sui farmaci biologici e biosimilari a base dello stesso principio attivo, in relazione ai quali l’art. 15, comma 11-ter, del d.l. n. 95/2012 non trova applicazione. In ogni caso, come ha correttamente rilevato la difesa dell’appellata, anche in quella sentenza vengono riaffermati i principi più volte espressi da questa Sezione secondo cui le “Regioni non debbono impartire indicazioni di comportamento contrastanti con norma legislative (ad esempio arrogandosi una valutazione di equivalenza terapeutica che invece è demandata all’AIFA) e con i generali principi vigenti in materia di prestazioni sanitarie (segnatamente il principio della libertà prescrittiva del medico)”. Le doglianze sono, quindi, complessivamente infondate.

11. Altrettanto infondati sono i motivi di appello relativi al capo di sentenza che ha accolto i primi due motivi del ricorso di primo grado. Con tali doglianze (pagg. 28 e seguenti dell’appello) l’appellante ribadisce la propria tesi, secondo cui la direttiva oggetto di impugnazione non avrebbe avuto alcuna valenza prescrittiva, e non avrebbe quindi imposto la sostituzione o la pretermissione di un farmaco; tale direttiva, infatti, avrebbe ribadito la piena libertà prescrittiva del personale medico di utilizzare il miglior farmaco per il caso concreto, avendo semplicemente invitato il personale medico a valutare caso per caso la diversa eleggibilità. Sulla base di tale presupposto l’appellante ha ritenuto non pertinente il richiamo all’art. 15, comma 11-ter, del d.l. n. 95/2012 e la relativa giurisprudenza. In particolare, in relazione al secondo motivo del ricorso di primo grado, l’appellante ha dedotto che non vi sarebbe stata alcuna violazione della libertà prescrittiva del farmaco da parte del medico per perseguire finalità di conseguimento della spesa sanitaria, anziché la miglior cura per il paziente.

12. Le doglianze non possono essere condivise. Correttamente l’appellata ha rilevato che i provvedimenti impugnati presuppongono un’implicita valutazione di equivalenza terapeutica tra i diversi principi attivi che non è stata affermata a livello nazionale dall’AIFA e che si pone, conseguentemente, in palese contrasto con quanto previsto dall’art. 15, comma 11-ter, del d.l. n. 95/2012.

Infatti, l’incentivazione – con una direttiva – dell’utilizzazione come farmaco di prima scelta un determinato prodotto farmaceutico in luogo di un altro (o di altri) per la cura di una determinata patologia, presuppone il giudizio di equivalenza terapeutica, o in parole più semplici, che entrambi i prodotti “vadano bene” allo stesso modo e che, quindi, si possa optare per il prodotto meno costoso in luogo di quello più oneroso per il SSR. Ebbene, come chiarito dalla giurisprudenza della Sezione in relazione a provvedimenti analoghi a quello oggetto di impugnazione in questa sede, tali raccomandazioni presuppongono l’equivalenza tra principi attivi che deve essere accertata dall’AIFA con decisioni che hanno valore a livello nazionale, non potendo accettarsi che vengano assunte valutazioni a livello decentrato, sia in modo palese, che implicito (cfr. Cons. Stato, Sez. III 3 febbraio 2017 n. 477; 29 settembre 2017 n. 4546; id. 10 agosto 2016 n. 3565). In pratica, come già rilevato, trattandosi di provvedimenti che finiscono con l’impattare con la libertà prescrittiva del medico e con il diritto alla migliore cura per il paziente, le raccomandazioni sulla prescrizione dei farmaci devono rispettare le direttive dell’AIFA (e quindi il giudizio di equivalenza terapeutica da essa adottato) in caso di farmaci basati su principi attivi differenti. 13. – In merito all’ultimo motivo di appello è sufficiente rilevare che, come già chiarito, la raccomandazione impugnata presenta connotazioni ben più incisive sulla libertà di prescrizione da parte dei medici rispetto a quanto sostenuto dall’appellante: la direttiva ha un carattere fortemente incentivante per i medici interessati dalle previsioni di spesa, tanto che le loro scelte prescrittive incidono sulla valutazione annuale delle performance individuali. E’ quindi indubitabile che questo tipo di raccomandazioni impattano con la libertà prescrittiva del medico riconosciuta dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 12 luglio 2017 n. 169, laddove ha ribadito fortemente il “carattere personalistico delle cure sanitarie, sicchè la previsione legislativa non può precludere al medico la possibilità di valutare, sulla base delle più aggiornate e accreditate conoscenze tecnico-scientifiche, il singolo caso sottoposto alle sue cure, individuando di volta in volta la terapia ritenuta più idonea ad assicurare la tutela della salute del paziente […]. E’, quindi, assolutamente incompatibile un sindacato politico o meramente finanziario sulle prescrizioni, poiché la discrezionalità legislativa trova il suo limite nelle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicchè, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessaire scelte professionali (sentenze n. 338 del 2003 e 282 del 2002)”.Tali principi sono stati riaffermati anche da questa Sezione nella sentenza del 29 settembre 2017 n. 4546 già richiamata. 14. – L’appello va, quindi, respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza appellata che ha accolto il ricorso di primo grado.

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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