Consiglio di Stato Sentenza n. 2616/19 – Formazione specifica in medicina generale

Il Consiglio di Stato ha affermato che nella formazione delle graduatorie per il conferimento degli incarichi di medicina generale è causa di esclusione la mancata presentazione, a corredo della domanda di partecipazione, dell’attestato di formazione specifica in medicina generale e/o dell’autocertificazione di titolo equipollente considerato dalla lex specialis come requisito di ammissione.

FATTO e DIRITTO.

1. Gli appellanti chiedono la riforma della sentenza del TAR per la Liguria, Sezione Seconda, n° 249/2016, pubblicata il 14/3/2016, con la quale è stato respinto il ricorso proposto avverso la graduatoria regionale provvisoria per il conferimento degli incarichi di medicina generale, valevole per l’anno 2015 e pubblicata sul BURL, in data 5/11/2014, nella parte in cui ha inserito i medesimi appellanti nell’elenco dei medici esclusi.

1.1. La suddetta misura espulsiva è stata adottata a cagione della mancata presentazione, a corredo della domanda di partecipazione, dell’attestato di formazione specifica in medicina generale e/o dell’autocertificazione di titolo equipollente considerato dalla lex specialis come requisito di ammissione.

1.2. All’esito del giudizio di primo grado, il TAR ha respinto il ricorso muovendo dal dato ostativo rinveniente dagli artt. 21 e 30 del D. Lgs. n. 368/1999 che riservano l’attività di medico chirurgo di medicina generale a coloro che siano in possesso del relativo diploma di formazione specifica, con la sola eccezione dei medici abilitati all’esercizio professionale entro il 31.12.1994.

In applicazione dei suindicati precetti il giudice territoriale ha, dunque, stimato come non dirimente il fatto che i ricorrenti avessero esercitato, di fatto, da anni e con continuità – in qualità di titolari di incarichi di sostituzione – attività di medicina generale.

Il giudice di prime cure ha, altresì, escluso un contrasto della suindicata disciplina di settore sia con l’art. 28 comma 5.2 della direttiva del parlamento europeo e del Consiglio n. 2005/36/ del 7.9.2005 sia con l’art. 6 della direttiva 86/457/CEE nella parte in cui prevedono la possibilità per gli Stati membri di attribuire all’esperienza professionale acquisita rilevanza sostitutiva rispetto al requisito della formazione specifica in medicina generale. A tale conclusioni il predetto giudice è giunto considerando che l’art. 28 comma 5.2 della direttiva n. 2005/36/CE, da un lato, richiedendo l’intervento di ulteriori atti normativi da parte dei singoli Stati membri, non ha effetto diretto (non è – come suol dirsi – self-executing), e dunque non è idoneo ad attribuire direttamente in capo ai singoli diritti ed obblighi e, dall’altro, si applica ai cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare, come lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in uno Stato membro “diverso” da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali, mentre in questo caso la situazione di riferimento è di ordine puramente interno e non presenta elementi transfrontalieri

Ad analoghe conclusioni di manifesta infondatezza il TAR è, poi, pervenuto con riferimento all’ulteriore questione del prospettato contrasto tra le suindicate disposizioni e gli artt. 11 e 117 della Costituzione.

2. Avvero tale decisione, con il mezzo in epigrafe, gli appellanti hanno articolato i seguenti motivi di gravame:

1) Erroneità della sentenza di I grado alla luce dei principi in tema di interpretazione conforme statuiti da questo Consiglio di Stato nella sentenza della Sezione III del 25/11/2015 n° 5359.

Il primo rilievo ostativo (id est direttiva non self-executing) sarebbe infondato in quanto il tempo di recepimento delle direttive in argomento sarebbe oramai scaduto e, comunque, i principi in esse affermati avrebbero dovuto, anche nel torno di tempo antecedente alla loro vincolatività, orientare il giudice di primo grado a privilegiare un’opzione ermeneutica conforme alle norme eurounitarie;

2) Erroneità della sentenza di I grado, alla luce dei principi statuiti con le sentenze Centrosteel (Corte di Giustizia 13/7/2000, causa C-456/98) e Osterreichischer Rundfunk e a. (Corte di Giustizia 20/5/2003, cause riunite C-465/00, C¬138-01 e C- 139/01).

Le direttive invocate si prefiggerebbero obiettivi di armonizzazione più specifici rispetto a quelli paventati dal giudice di primo grado, quali nella specie quello della omogeneizzazione della valorizzazione dell’esperienza professionale, che prescindono dall’elemento transfrontaliero e che ostano a che una normativa nazionale ne limiti la piena attuazione;

3) Violazione e falsa applicazione della Direttiva 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7/9/2005.

Alla stregua della citata disciplina comunitaria l’esercizio di una professione può essere sottoposto a condizioni a patto che queste non siano discriminatorie e siano obiettivamente giustificate e proporzionate. Nel caso di specie la suddetta disciplina ammetterebbe la valorizzazione in via sostitutiva (rispetto all’attestazione di formazione specifica) dell’esperienza professionale.

La citata normativa comunitaria sarebbe stata violata dalla Regione Liguria nel momento in cui ha escluso i ricorrenti dalla graduatoria impugnata, attribuendo un valore sproporzionato al possesso del diploma di formazione specifica e svilendo, in maniera ingiustificata, il ruolo dell’esperienza professionale acquisita;

4) Violazione e falsa applicazione della Direttiva 86/457/CEE del Consiglio del 15/9/1986.

Analoghi principi rispetto a quelli indicati al punto 3, da intendersi qui richiamati, sarebbero contenuti anche nella direttiva 86/457/CEE;

5) Illegittimita’ costituzionale per contrarieta’ all’ordinamento europeo degli artt. 21 e 30 d.lgs. n° 368/1999 e dell’art. 36 d.lgs. n° 206/2007.

Il contrasto della disciplina nazionale suindicata con l’ordinamento comunitario renderebbe le norme indicate in rubrica costituzionalmente illegittime per contrasto con gli artt. 11 e 17 della Costituzione.

Le parti intimate non si sono costituite in giudizio.

3. Con ordinanza n. 6328 del 9.11.2018, il Collegio, rilevando la possibile inammissibilità dell’azione spiegata dagli appellanti in ragione del fatto che la domanda risultava proposta direttamente ed avverso la sola graduatoria regionale provvisoria senza attrarre nel fuoco della contestazione anche il contenuto precettivo dell’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale sancito in sede di Conferenza Stato – Regioni del 29.7.2009, reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, e contenente, all’articolo 15, le prescrizioni, anche in tema di requisiti, che governano la selezione in argomento, ha assegnato, ai sensi dell’articolo 73 del c.p.a., un termine alla parte appellante per controdedurre, facoltà esercitata con la memoria depositata il 5.12.2018. L’appello va respinto.

4. Tanto in ragione, anzitutto, della inammissibilità della domanda proposta in primo grado siccome spiegata avverso l’atto applicativo (id est la graduatoria regionale provvisoria per il conferimento degli incarichi di medicina generale, valevole per l’anno 2015 e pubblicata sul BURL, in data 5/11/2014, nella parte in cui ha inserito i medesimi appellanti nell’elenco dei medici esclusi) della procedura selettiva indetta dalla Regione Liguria senza attrarre nel fuoco della contestazione, e nel rispetto dei prescritti termini decadenziali, l’atto organizzativo della suddetta procedura.

4.1. Sul punto, deve, anzitutto, rilevarsi come sia nell’oggetto della domanda spiegata dagli appellanti che nel petitumnon risulta menzionato, tra gli atti espressamente impugnati, l’ANC per la disciplina dei rapporti con i Medici di Medicina Generale, sancito con intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni del 29/7/2009 recante le regole che governano la procedura de qua.

4.2. Ciò nondimeno, anche a voler ritenere comunque implicitamente contenute nella contestazione attorea anche le disposizioni compendiate nel suddetto atto, segnatamente nella parte in cui fissano i requisiti selettivi per la partecipazione alla procedura in argomento, la sanzione dell’inammissibilità andrebbe confermata siccome tardivamente introdotta, avendo gli appellanti comunque proposto un’azione impugnatoria solo a seguito e per effetto dell’approvazione della graduatoria provvisoria che, però, sul punto, ha una valenza meramente ricognitiva di clausole escludenti contenuti nell’atto organizzativo della procedura e che avrebbero dovuto ab imis essere impugnate.Vale, al riguardo, evidenziare che l’art. 15 dell’ACN per la disciplina dei rapporti con i Medici di Medicina Generale sancito con intesa in Conferenza Stato-Regioni del 29/7/2009 stabilisce per quanto qui di più diretto interesse:“..3.I medici che aspirano all’iscrizione nelle graduatorie di cui al comma 1, devono possedere i seguenti requisiti alla scadenza del termine per la presentazione delle domande: a) iscrizione all’albo professionale; b) essere in possesso dell’attestato di formazione in medicina generale, o titolo equipollente, come previsto dai decreti legislativi 8 agosto 1991 n. 256, 17 agosto 1999 n. 368 e 8 luglio 2003 n. 277”.

Orbene, appare di tutta evidenza che l’attestato di formazione in medicina generale, prima ancora che titolo valutabile (a mente dell’articolo 16 dell’ACN), costituiva, ai sensi del comma 3 dell’art. 15 dell’ACN, requisito di ammissione.

Tanto imponeva a carico degli odierni appellanti un onere di immediata impugnazione.

Di contro i predetti hanno presentato domanda di partecipazione rispettivamente in data 16.1.2014, la dr. B., ed il 21.1.2014, il dr. R., convogliando le proprie doglianze avverso tale atto solo all’esito della pubblicazione della graduatoria (in data 5.11.2014) con il ricorso notificato il 2.1.2015, sebbene fossero a conoscenza, fin dall’inizio, della prescrizione che condizionava la loro partecipazione al possesso di requisiti di ammissione che non erano nella loro disponiiblità.

Com’è noto, ai fini dell’affermazione dell’esistenza di un onere di tempestiva impugnazione, rileva la sussistenza di una lesione concreta ed attuale della situazione soggettiva dell’interessato, che determina, a sua volta, la sussistenza di un interesse concreto ed attuale all’impugnazione. La declinazione di siffatto principio generale non muta in relazione ai bandi di gara (o di concorso), essendo la legittimazione ad un’immediata impugnazione accordata esclusivamente in presenza di un’effettiva e chiara attitudine di una o più clausole contenute nel bando a provocare una lesione di tal genere.

Il suddetto effetto, di immediata lesione dell’altrui sfera giuridica, ricorre, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nei soli casi in cui il bando introduca regole che, in modo certo ed obiettivamente apprezzabile, abbiano una portata preclusiva impedendo la partecipazione degli interessati alla procedura selettiva.Tale avviso è stato, di recente, ribadito dall’Adunanza Plenaria, che, con la sentenza 26 aprile 2018, n. 4, confermando l’orientamento tradizionale (sviluppatosi sulla scia di altre fondamentali pronunce rese della medesima Adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 29 gennaio 2003 n. 1; e del 7 aprile 2011, n. 4 e del 25 febbraio 2014 n. 9), ha rilevato che “le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura”.

E tale è la situazione qui in rilievo dal momento che le clausole che si sostanziano nella previsione di requisiti di ammissione predeterminano un esito vincolato della selezione valutativa che, quanto all’adozione della sanzione espulsiva per il mancato possesso del detto requisito, non può non essere ritenuto, ex post, meramente confermativo e ricognitivo di una lesione già in precedenza predeterminata e certa.

In conclusione il ricorso proposto in prime cure dagli appellanti andava dichiarato inammissibile.

5. In disparte i rilievi suesposti, da ritenersi assorbenti, il Collegio rileva che l’appello è, comunque, infondato anche nel merito.

5.1. Il corso di formazione specifica in medicina generale riservato ai laureati in medicina e chirurgia, abilitati all’esercizio professionale, è stato istituito dal decreto Legislativo 8 agosto 1991 n.256 in attuazione della direttiva CEE n.86/457.

Nelle originarie previsioni normative tale corso, della durata di due anni, si concludeva con il rilascio dell’attestato di formazione in medicina generale, il cui possesso, a decorrere dall’1.1.1995, fatti salvi i diritti acquisiti, costituiva titolo necessario per l’esercizio della medicina generale (cfr. art. 2). A tale attestato veniva espressamente equiparato l’attestato di compiuto tirocinio teorico pratico per la formazione specifica in medicina generale rilasciato ai sensi del secondo comma dell’art. 8 del decreto ministeriale 10 ottobre 1988.

5.2. La relativa disciplina è stata integralmente riformata dal d. lgs. 17 agosto 1999, n. 368, adottato in attuazione della direttiva 93/16/CE e successivamente modificato ed integrato dal d.lgs. 8 luglio 2003, n. 277.

Il suddetto corpo normativo ruota attorno alla previsione centrale di cui all’articolo 21 del d. Lgs. 17.8.1999, n. 368 a mente del quale “Per l’esercizio dell’attività di medico chirurgo di medicina generale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale è necessario il possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale fermo restando la validità degli attestati già rilasciati ai sensi del decreto del Ministro della sanità di concerto con il Ministro della pubblica istruzione 10 ottobre 1988, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, serie generale n. 267 del 14 novembre 1988 e del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 256”.

Alla disciplina della formazione specifica in medicina generale sono dedicati gli artt. 22 e ss. del D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 368 che, in sintesi, si occupano:

– del riconoscimento dei titoli equipollenti rilasciati in uno Stato membro (artt. 22 e 23);

– della disciplina dei requisiti di accesso e delle condizioni minimali di modulazione del corso (art. 24), dei meccanismi di selezione (articolo 25), dell’articolazione e dell’organizzazione formativa con indicazione delle modalità di valutazione intermedia (art.26) e finale (art. 29);

– della devoluzione della relativa competenza organizzativa alle Regioni (art. 28);

Il principio suddetto dell’indispensabilità del possesso del diploma di formazione specifica in medicina generale patisce eccezione nei soli casi di cui all’articolo 30 a mente del quale “ In deroga a quanto previsto dall’articolo 21, hanno diritto ad esercitare l’attività professionale in qualità di medico di medicina generale i medici chirurghi abilitati all’esercizio professionale entro il 31 dicembre 1994. Detto diritto è esteso ai medici cittadini di un Paese membro già iscritti all’albo dei medici chirurghi ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 217, e che erano titolari, alla data del 31 dicembre 1996 di un rapporto convenzionale per l’attività di medico in medicina generale.”.

5.3. La materia è stata ulteriormente regolata con il d. lgs n. 206 del 9.11.2007 di attuazione della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, il cui ambito di applicazione è riferito ai cittadini degli Stati membri dell’Unione europea che vogliano esercitare sul territorio nazionale, quali lavoratori subordinati o autonomi, compresi i liberi professionisti, una professione regolamentata in base a qualifiche professionali conseguite in uno Stato membro dell’Unione europea e che, nello Stato d’origine, li abilita all’esercizio di detta professione.

Per quanto di più immediato rilievo il predetto decreto prevede:

– all’articolo 31 comma 4 il cd. principio di riconoscimento automatico dei titoli equipollenti rilasciati da altro Stato membro, prescrivendo espressamente che I diplomi e i certificati rilasciati da altri Stati membri conformemente all’articolo 36 ed elencati nell’allegato V punto 5.1.4, sono riconosciuti con gli stessi effetti dei diplomi rilasciati in Italia per l’accesso all’attività di medico di medicina generale nel quadro del regime nazionale di previdenza sociale; sono fatti comunque salvi i diritti acquisiti di cui all’articolo 37;

– all’articolo 32 la salvaguardia dei diritti acquisiti;

– all’articolo 36 le condizioni minime per il conseguimento del diploma di formazione specifica in medicina generale. La disposizione in commento prevede la riduzione di un anno dell’ordinaria durata del corso, pari a 3 anni, se detta formazione è stata dispensata in un centro ospedaliero riconosciuto, che disponga di attrezzature e di servizi adeguati di medicina generale o nell’ambito di uno studio di medicina generale riconosciuto o in un centro riconosciuto in cui i medici dispensano cure primarie;

– all’articolo 37 il riconoscimento del diritto acquisito ad esercitare l’attività professionale in qualità di medico di medicina generale in favore dei medici chirurghi abilitati all’esercizio professionale entro il 31 dicembre 1994. Detto diritto è esteso ai medici, cittadini di un altro Stato membro già iscritti all’albo dei medici chirurghi ai sensi della legge 22 maggio 1978, n. 217, e che erano titolari, alla data del 31 dicembre 1996, di un rapporto convenzionale per l’attività di medico in medicina generale.

5.4. Sulla materia è, altresì, intervenuto, in attuazione dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, di riordino della disciplina in materia sanitaria il cui art. 8 ha stabilito, al primo comma, che ” Il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale, i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è disciplinato da apposite convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati, ai sensi dell’articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale“.

Lo stesso articolo 8, comma 1, alla lettera h), ha previsto che i predetti accordi collettivi devono “prevedere che l’accesso al ruolo unico per le funzioni di medico di medicina generale del Servizio sanitario nazionale avvenga attraverso una graduatoria unica per titoli, predisposta annualmente a livello regionale e secondo un rapporto ottimale definito nell’ambito degli accordi regionali, in modo che l’accesso medesimo sia consentito ai medici forniti dell’attestato o del diploma di cui all’articolo 21 del decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368, e a quelli in possesso di titolo equipollente, ai sensi dell’articolo 30 del medesimo decreto. Ai medici forniti dell’attestato o del diploma è comunque riservata una percentuale prevalente di posti in sede di copertura delle zone carenti, con l’attribuzione di un adeguato punteggio, che tenga conto anche dello specifico impegno richiesto per il conseguimento dell’attestato o del diploma”.

5.5. In coerenza con il suddetto quadro normativo risulta strutturato l’accordo collettivo nazionale (sancito con intesa in conferenza Stato Regioni del 29.7.2009) che governa la procedura selettiva qui in rilievo.

La piana lettura delle disposizioni sopra passate in rassegna rendono di tutta evidenza la piena coerenza con la disciplina di riferimento dell’accordo suindicato nella parte in cui ha previsto come requisito di ammissione il possesso dell’attestato in argomento.

Né hanno pregio le doglianze attoree nella parte in cui deducono un contrasto tra la disciplina nazionale e la corrispondente normativa comunitaria.

6. Sul versante dell’ordinamento europeo, vale, anzitutto, premettere che la dir. 15 settembre 1986, n. 86/457/CEE – relativa alle formazione specifica in medicina generale e su cui parte ricorrente ha, in parte, costruito le proprie censure – risulta abrogata dall’articolo 44 della Dir. 05/04/1993, n. 93/16/CEE, nata dall’esigenza di procedere alla codificazione di tutte le direttive operanti in subiecta materiariunendole in un testo unico ed intesa al riconoscimento dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico che danno accesso all’esercizio della medicina nonché dei diplomi, certificati ed altri titoli di medico specialista.

In tale ambito, il legislatore eurounitario ha avvertito la necessità, in una prima fase, di instaurare in ogni Stato membro una formazione specifica in medicina generale che risponda ad esigenze minime tanto qualitative che quantitative e che completi la formazione minima di base che il medico deve avere. Ha, dunque, previsto che, in una seconda fase, l’esercizio delle attività di medico in qualità di medico generico nell’ambito di un regime di sicurezza sociale sia subordinato al possesso della formazione specifica in medicina generale.

In conformità di tale obiettivo, la direttiva impone che, a decorrere dall’1.1.1995, fatti salvi i diritti acquisiti, l’esercizio delle attività di medico in qualità di medico generico nell’ambito del regime nazionale di sicurezza sociale sia subordinato al possesso di un diploma, di un certificato o di un altro titolo che attesti la detta formazione specifica.

Segnatamente, ai sensi dell’art. 2 della direttiva 93/16, ogni Stato membro riconosce i diplomi, i certificati e gli altri titoli rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri conformemente all’articolo 23 ed elencati nell’allegato A (7), attribuendo loro, sul proprio territorio, lo stesso effetto dei diplomi, certificati ed altri titoli da esso rilasciati per quanto concerne l’accesso alle attività del medico ed al loro esercizio.

L’art. 30 della direttiva 93/16 prescrive che “Ogni Stato membro che dispensa nel suo territorio il ciclo completo di formazione di cui all’articolo 23 istituisce una formazione specifica in medicina generale conforme almeno alle condizioni di cui agli articoli 31 e 32, in modo che i primi diplomi, certificati od altri titoli che la comprovano siano rilasciati al più tardi il 1° gennaio 2006”.

L’articolo 36 al primo comma dispone, invero, che “A partire dal 1° gennaio 1995, gli Stati membri, fatte salve le disposizioni relative ai diritti acquisiti, subordinano l’esercizio delle attività di medico in qualità di medico generico nell’ambito dei loro regimi di sicurezza sociale al possesso di un diploma, certificato o altro titolo di cui all’articolo 30”.

Dal canto suo, il comma 2 del detto art. 36, che ha sostituito l’art. 7, n. 2, della direttiva 86/457, riprendendo sostanzialmente i termini di quest’ultimo, enuncia quanto segue: Ogni Stato membro determina i diritti acquisiti. Tuttavia esso deve considerare come acquisito il diritto di esercitare le attività di medico in qualità di medico generico nell’ambito del suo regime nazionale di sicurezza sociale senza il diploma, certificato o altro titolo di cui all’articolo 30 per tutti i medici che godano di tale diritto al 31 dicembre 1994 ai sensi degli articoli da 1 a 20 e, alla data menzionata, siano stabiliti nel suo territorio avendo beneficiato delle disposizioni dell’articolo 2 o dell’articolo 9, paragrafo 1.

All’interno di siffatta cornice di riferimento si inserisce, poi, il disposto di cui all’articolo 35 che espressamente prevede la possibilità di una diversa modulazione nel percorso formativo finalizzato al conseguimento del titolo in argomento, all’uopo prevedendo quanto segue:

  1. Indipendentemente dalle disposizioni da essi adottate in merito ai diritti acquisiti, gli Stati membri possono rilasciare il diploma, certificato o altro titolo di cui all’articolo 30 ad un medico che non abbia seguito la formazione prevista dagli articoli 31 e 32 ma che possieda un’altra formazione complementare comprovata da un diploma, certificato o altro titolo rilasciato dalle autorità competenti di uno stato membro; tuttavia essi possono rilasciare il diploma, certificato o altro titolo soltanto se questo comprova conoscenze di livello qualitativamente equivalente a quelle acquisite con la formazione prevista dagli articoli 31 e 32.
  2. Nelle norme che essi adottano conformemente al paragrafo 1, gli Stati membri determinano in particolare in che misura la formazione complementare già acquisita dal richiedente e la sua esperienza professionale possano essere prese in considerazione per sostituire la formazione prevista dagli articoli 31 e 32.
  3. Gli Stati membri possono rilasciare il diploma, certificato o altro titolo di cui all’articolo 30 soltanto se il richiedente ha acquisito in medicina generale un’esperienza di almeno sei mesi presso un ambulatorio di medicina generale o un centro nel quale i medici dispensano cure primarie, conformemente all’articolo 31, paragrafo 1, lettera c).
  4. Anche la presente direttiva è stata abrogata dall’articolo 62 della direttiva 2005/36/CE, con la decorrenza ivi indicata (a decorrere dal 20 ottobre 2007).

Ciò nondimeno, lo schema fin qui esposto è stato replicato in tale ultima direttiva del 07/09/2005, n. 2005/36/CE, come modificata ed integrata dalla Direttiva 2013/55/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, che si pone, pertanto, come fonte normativa di riferimento.

Anche tale direttiva è imperniata sul principio della indispensabilità di un titolo di formazione specifica in medicina generale (acquisito anche in via di riconoscimento) salvi i diritti quesiti.

7.1. Mette conto evidenziare, anzitutto, che la direttiva in argomento, all’articolo 1 comma 1, così delimita il suo oggetto “La presente direttiva fissa le regole con cui uno Stato membro (in seguito denominato «Stato membro ospitante»), che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri (in seguito denominati «Stati membri d’origine») e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione”.

Coerentemente, in ragione di quanto espressamente sancito all’articolo 2, n. 1, la direttiva 2005/36/CE si applica unicamente a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare una «professione regolamentata» in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali, dovendosi precisare che, “professione regolamentata“: deve intendersi le “attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali” e per «qualifiche professionali»: le qualifiche attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza – di cui all’articolo 11, lettera a), punto i) – e/o un’esperienza professionale.

L’ambito in cui si muove la direttiva in commento si evince poi dalla piana lettura dei considerando 1 e 19 a mente dei quali:

– «(1) Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera c), [CE], l’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione di persone e servizi tra Stati membri è uno degli obiettivi dell'[Unione europea]. Per i cittadini degli Stati membri, essa comporta, tra l’altro, la facoltà di esercitare, come lavoratore autonomo o subordinato, una professione in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito la relativa qualifica professionale. Inoltre, l’articolo 47, paragrafo 1, [CE] prevede l’approvazione di direttive miranti al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli.

– 19) La libera circolazione e il riconoscimento reciproco dei titoli di formazione di medico, infermiere responsabile dell’assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica, farmacista e architetto dovrebbero fondarsi sul principio fondamentale del riconoscimento automatico dei titoli di formazione in base al coordinamento delle condizioni minime di formazione. Negli Stati membri poi l’accesso alle professioni di medico, infermiere responsabile dell’assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica e farmacista dovrebbe essere subordinato al possesso di un determinato titolo, il che garantisce che l’interessato ha seguito una formazione che soddisfa i requisiti minimi stabiliti. Tale regime dovrebbe essere completato da una serie di diritti acquisiti di cui i professionisti qualificati beneficiano a certe condizioni».

7.2. Per quanto qui di più diretto interesse, occorre soggiungere che:

– l’articolo 21 comma 2 stabilisce che “2. Ogni Stato membro riconosce, ai fini dell’esercizio della medicina generale in qualità di medico generico nel quadro del suo regime di previdenza sociale nazionale, i titoli di formazione di cui all’allegato V, punto 5.1.4 e rilasciati ai cittadini degli Stati membri dagli altri Stati membri ai sensi delle condizioni minime di formazione di cui all’articolo 28.La disposizione del primo comma non pregiudica i diritti acquisiti di cui all’articolo 30”…..6 Ogni Stato membro subordina l’accesso alle attività professionali di medico, infermiere responsabile dell’assistenza generale, dentista, veterinario, ostetrica e farmacista nonché il relativo esercizio al possesso di uno dei titoli di formazione di cui rispettivamente ai punti 5.1.1, 5.1.2, 5.1.4, 5.2.2, 5.3.2, 5.3.3, 5.4.2, 5.5.2 e 5.6.2 dell’allegato V attestante, se del caso, l’acquisizione nel corso della propria formazione complessiva, da parte del professionista interessato, delle conoscenze, delle abilità e delle competenze di cui all’articolo 24, paragrafo 3, all’articolo 31, paragrafi 6 e 7, all’articolo 34, paragrafo 3, all’articolo 38, paragrafo 3, all’articolo 40, paragrafo 3 e all’articolo 44, paragrafo 3.

– l’articolo 29 della direttiva n. 2005/36/CE prevede che “…ogni Stato membro, fatte salve le norme sui diritti acquisiti, subordina l’esercizio dell’attività di medico di medicina generale al possesso di un titolo di formazione di cui all’allegato V, punto 5.1.4Gli Stati membri possono esentare da questa condizione le persone in corso di formazione specifica in medicina generale”.

– l’articolo 30 prescrive, altresì, che 1. Ogni Stato membro stabilisce i diritti acquisiti ma, nel quadro del suo regime nazionale di previdenza sociale, deve ritenere acquisito il diritto di esercitare l’attività di medico di medicina generale, senza il titolo di formazione di cui all’allegato V, punto 5.1.4, a tutti i medici che godono di questo diritto alla data di riferimento indicata al punto sopraindicato in virtù delle norme applicabili alla professione di medico che consentono l’esercizio dell’attività professionale di medico con formazione di base, e che a tale data sono stabiliti sul suo territorio, avendo beneficiato delle disposizioni dell’articolo 21 o dell’articolo 23.

7.3. All’interno del descritto corpo normativo si innestano, poi, le disposizioni di seguito trascritte qui (ed in particolare il secondo periodo) di più immediato rilievo.

L’articolo 28 comma 5 della Dir. 07/09/2005, n. 2005/36/CE, prescrive che . Gli Stati membri possono rilasciare i titoli di formazione di cui all’allegato V, punto 5.1.4 a un medico che non ha compiuto la formazione di cui al presente articolo ma ha completato un’altra formazione complementare sancita da un titolo di formazione rilasciato dalle autorità competenti di uno Stato membro. Tuttavia, si possono rilasciare titoli di formazione solo se sanciscono conoscenze di livello qualitativamente equivalente a quello delle conoscenze derivanti dalla formazione di cui al presente articolo.

Gli Stati membri stabiliscono tra l’altro in che misura si possa tener conto della formazione complementare e dell’esperienza professionale acquisita dal richiedente in sostituzione della formazione di cui al presente articolo.

8. Così ricostruito, in ambito nazionale ed europeo, il quadro normativo di riferimento, ritiene il Collegio che il raffronto tra i due ordinamenti non consenta di confermare il paventato contrasto.

Ed, invero, come correttamente rilevato dal primo giudice le disposizioni eurounitarie utilizzate dagli appellanti come tertium comparationis sono incentrate sul medesimo principio puntualmente recepito dal legislatore italiano, a mente del quale per l’esercizio della professione medica nell’ambito del SSN, a partire dall’1.1.1995, occorre un diploma conseguito a valle del corso di formazione specifica in medicina generale, dal quale si prescinde solo per il periodo pregresso (cd. diritti acquisiti).

Ferma restando la suddetta condizione, le sopra richiamate direttive rimettono, poi, ai singoli Stati membri il compito di stabilire in che misura si possa tener conto della formazione complementare e dell’esperienza professionale acquisita dal richiedente in sostituzione della formazione (ordinaria) richiesta per il rilascio del diploma.

In altri termine, il percorso formativo ordinario, funzionale all’acquisizione dell’attestato, può variare per effetto della valorizzazione di una formazione complementare, di rilievo sostanzialmente equipollente, ovvero in ragione di qualificate esperienze professionali nella misura che ciascuno Stato membro è libero di fissare.

Orbene, appare di tutta evidenza come la disposizione euronitaria qui evocata, per il suo contenuto, non riflette natura autoesecutiva (cd. self executing), ravvisabile nei soli casi in cui le direttive europee, per chiarezza, precisione, completezza e carattere incondizionato, creano per i singoli situazioni giuridiche soggettive che possano essere fatte valere, nei confronti dello Stato, davanti a un giudice nazionale.

Di contro, la suddetta normativa eurounitaria va chiaramente sussunta nella categoria delle cd. norme – principio che, per essere applicate, necessitano della previa attuazione da parte degli organi politici (europei o statali) competenti, chiamati ad effettuare, sul piano normativo, una scelta tra una pluralità di alternative lasciate ‘aperte’ da un precetto volutamente indeterminato.

Oltretutto, vale soggiungere che, nel caso di specie, mancano nella suddetta norma utili coordinate di riferimento che consentano di orientare la scelta del singolo legislatore, prefigurandosi, di contro, un ventaglio di opzioni ad amplissimo spettro che spaziano da un’applicazione minimale del principio (in teoria finanche declinabile nella misura 0) alla massima valorizzazione di forme alternative di formazione ovvero di dati esperienziali.

Nella detta prospettiva, appare di tutta evidenza, non solo l’impossibilità di predicare qualsivoglia effetto diretto della direttiva in argomento, ma la stessa insussistenza, in apice, di un contrasto apprezzabile con il quadro normativo euronitario della legislazione italiana, tanto più che il legislatore nazionale, e per esso tanto il d. lgs n. 368 del 17.8.1998 (cfr. articolo 24) che il d. lgs 206 del 9.11.2007 (articolo 36), dopo aver strutturato il percorso ordinario della formazione specifica in medicina generale, ha previsto la possibilità di una diversa modulazione del programma formativo, anche nella durata, del suddetto percorso ove venga dispensato in determinati centri in cui evidentemente viene ritenuta maggiormente qualificata, anche dal punto di vista formativo, la partecipazione diretta ai servizi erogati da tali strutture.

D’altro canto, anche a voler ritenere l’insufficienza delle suddette previsioni, evenienza da escludere a cagione della mancanza di un parametro di riferimento vincolante, dovrebbe rilevarsi che nemmeno sarebbe praticabile l’opzione alternativa della rimessione della questione alla Corte Costituzionale ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 11 e 117 della Costituzione.

Il giudice delle leggi verrebbe impropriamente chiamato ad una pronuncia caratterizzata, in partenza, da un corposo tasso di manipolatività e creatività, impropriamente forzandolo ad una abnorme rimodulazione degli effetti regolatori in una materia la cui conformazione è riservata alla ampia discrezionalità del legislatore.

Senza contare che una pronuncia di tal tipo – considerato il contenuto indeterminato della norma di principio e, dunque, la mancanza della previsione di una soglia esperenziale minima da assicurare – nemmeno potrebbe dirsi rilevante ai fini del presente giudizio.

9. Del pari, e sotto diverso profilo, vanno ritenute condivisibili anche gli ulteriori rilievi formulati dal giudice di prime cure nella parte in cui esclude l’applicabilità della direttiva in argomento in ragione della mancanza di un interesse transfrontaliero della controversia, qui da ritenersi predicato rilevante in ragione delle stesse previsioni contenute nella fonte in argomento.

Va, infatti, osservato che la direttiva del 07/09/2005, n. 2005/36/CE modificata ed integrata dalla Direttiva 2013/55/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 novembre 2013, all’articolo 1 comma 1, così delimita il suo oggetto “La presente direttiva fissa le regole con cui uno Stato membro (in seguito denominato «Stato membro ospitante»), che sul proprio territorio subordina l’accesso a una professione regolamentata o il suo esercizio al possesso di determinate qualifiche professionali, riconosce, per l’accesso alla professione e il suo esercizio, le qualifiche professionali acquisite in uno o più Stati membri (in seguito denominati «Stati membri d’origine») e che permettono al titolare di tali qualifiche di esercitarvi la stessa professione”.

Coerentemente, in ragione di quanto espressamente sancito all’articolo 2, n. 1, la direttiva 2005/36/CE si applica unicamente a tutti i cittadini di uno Stato membro che vogliano esercitare una «professione regolamentata» in uno Stato membro diverso da quello in cui hanno acquisito le loro qualifiche professionali, dovendosi precisare che, “professione regolamentata“: deve intendersi le “attività, o insieme di attività professionali, l’accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, sono subordinati direttamente o indirettamente, in forza di norme legislative, regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali” e per «qualifiche professionali»: le qualifiche attestate da un titolo di formazione, un attestato di competenza – di cui all’articolo 11, lettera a), punto i) – e/o un’esperienza professionale.

In ragione di quanto, dunque, espressamente previsto dalla precitata fonte, che ha in tal modo dichiaratamente perimetrato il suo ambito operativo in una dimensione necessariamente transfrontaliera, riferendosi ai cittadini di uno Stato membro (cd. di origine) che intendano esercitare e far valere nel territorio di altro Stato membro (cd. ospitante) il diritto di libera circolazione della persona (diritto di stabilimento) di cui all’art. 45 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, non vi è spazio per una lettura della norma che ne estenda la previsione a fattispecie che, per ogni profilo (quanto cioè sia all’acquisizione della qualifica professionale, che allo svolgimento del tirocinio professionale, che allo svolgimento della professione), esauriscano viceversa la loro rilevanza sul solo versante interno dell’unico paese membro.

Tale è la situazione qui regolata, venendo infatti in rilievo non solo la cittadinanza italiana comune al ricorrente e all’amministrazione resistente ma anche l’assenza di un qualsivoglia elemento ulteriore che agganci, coinvolgendolo, un paese terzo in ragione ad esempio della maturazione in tale diverso Stato del dato esperenziale ovvero di un certificato o diploma di formazione complementare. Il principio di libera circolazione dei lavoratori è infatti efficace anche nei rapporti tra cittadini e Stati di appartenenza, purché un paese terzo sia in qualche modo coinvolto, ad esempio in quanto luogo di rilascio dell’abilitazione (cfr. C. giust. Ce, 31 marzo 1993, C-19/92, Kraus c. Land Baden-Wuerttemberg).

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, l’appello va respinto.Per la peculiarità e la novità della vicenda qui scrutinata le spese possono essere compensate.

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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