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Contenzioso decisionale tra chirurgo capo-equipe e anestesista

Cassazione Penale  – Contenzioso decisionale tra chirurgo capo-equipe e anestesista Secondo i giudici di merito il chirurgo capo-equipe, censurabilmente, non si dissociò e non si oppose all’operato degli anestesisti. Egli, responsabile dell’intervento, si sarebbe dovuto rifiutare di compiere un atto chirurgico non quoad vitam in condizioni che sapeva essere altamente rischiose per la paziente. Il sanitario, a fronte delle iniziative anestesiologiche palesemente errate, non avrebbe dovuto tenere un atteggiamento acquiescente, avrebbe dovuto rifiutare di eseguire l’atto operatorio in quelle condizioni ed avrebbe semmai dovuto dar corso a tracheotomia in anestesia locale, estromettendo gli anestesisti. La Corte di Cassazione ha affermato quindi che il principio di affidamento non trova applicazione nei confronti della figura del capo equipe: chi dirige l’attività del gruppo di lavoro ha la responsabilità di una costante e diligente vigilanza in ogni momento. Sentenza n. 33329/15

FATTO: Il processo in esame concerne il reato di omicidio colposo della giovane R.E. imputato a diversi sanitari che la ebbero in cura. Secondo quanto ritenuto dai giudici di merito, la ragazza accusò i primi segni di affezione tonsillare il (OMISSIS); il primo dicembre fu visitata dal medico di famiglia che diagnosticò ascesso tonsillare e prescrisse antibiotico e cortisone. Fece seguito il ricovero ospedaliero il successivo (OMISSIS). La paziente venne visitata dal primario dr. S. e dal dr. Su.. Fu diagnosticato asceso peritonsillare con edema. Venne prescritta terapia con cefalosporine in endovena e cortisonico. Nel prosieguo la giovane venne assistita in diversi momenti dagli imputati. Su. fu presente anche la mattina del (OMISSIS);M. fu di turno di reperibilità notturna il (OMISSIS) nonché in servizio la mattina del (OMISSIS). B. fu presente nel pomeriggio e la notte del (OMISSIS). In quella stessa notte il Mi. effettuò una consulenza anestesiologica. Al mattino del (OMISSIS) la giovane venne condotta in sala operatoria per esecuzione di tracheotomia resa necessaria per l’ingravescenza della patologia. Qui l’anestesista tentò due volte di dar corso ad anestesia generale con somministrazione di curaro ed intubazione; ma senza esito. L’effetto miorilassante del curaro determinò la paralisi dei muscoli respiratori con conseguente totale occlusione delle vie respiratorie. Sopraggiunge anossia con desaturazione. In tale drammatica contingenza il dr. S. tentò l’esecuzione di tracheotomia in emergenza, ma senza esito. Il bisturi incise pure l’esofago e lese alcuni vasi. Sopravvenne l’esito letale per arresto cardiocircolatorio seguito ad asfissia indotta farmacologicamente. Nei confronti dei sanitari sono stati ritenuti addebiti colposi. Essi ricorrono per cassazione.

DIRITTO: Secondo i giudici di merito il chirurgo capo-equipe., censurabilmente, non si dissociò e non si oppose all’operato degli anestesisti. Egli, responsabile dell’intervento, si sarebbe dovuto rifiutare di compiere un atto chirurgico non quoad vitam in condizioni che sapeva essere altamente rischiose per la paziente. Il sanitario, a fronte delle iniziative anestesiologiche palesemente errate, non avrebbe dovuto tenere un atteggiamento acquiescente, avrebbe dovuto rifiutare di eseguire l’atto operatorio in quelle condizioni ed avrebbe semmai dovuto dar corso a tracheotomia in anestesia locale, estromettendo gli anestesisti. Proprio alla luce degli accesi contrasti insorti in sala operatoria circa le modalità dell’esecuzione dell’anestesia, il capo equipe era ben consapevole della alta pericolosità dell’intubazione a rapida sequenza. D’altra arte si era in ambito interdisciplinare, l’errore era ben riconoscibile e dunque non poteva farsi affidamento sul comportamento degli anestesisti. La alternativa condotta omessa avrebbe salvato la vita della paziente e dunque i due indicati profili di colpa fondano la responsabilità. Il primario, inoltre, sin dal momento del ricovero, avrebbe dovuto disporre approfondimento strumentale con l’esecuzione di una Tac che avrebbe permesso di valutare la caratterizzazione e la localizzazione dell’ascesso. Ciò avrebbe impedito di giungere in sala operatoria al buio. Si sarebbe avuta una visione chiara dell’allocazione e delle dimensioni dell’ascesso e ci si sarebbe plausibilmente orientati verso più tempestive e diverse forme di intervento. In particolare il principio di affidamento non trova applicazioni nei confronti della figura del capo equipe: chi dirige l’attività del gruppo di lavoro ha la responsabilità di una costante e diligente vigilanza in ogni momento. In virtù di tali obblighi il chirurgo capo-equipe non potrà esimersi dal valutare l’attività precedente o contestuale svolta da altro collega sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza ponendo se del caso rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali, e come tali rimediabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio.

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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