La Cassazione Penale ha affermato “la ricorrenza del reato di falso ideologico allorché un medico non convenzionato ASL sostituisca altro medico convenzionato, firmando ricette e prescrizioni redatte con i ricettari e con l’uso di timbri fornitigli dal medico convenzionato, in modo tale da ingenerare la falsa rappresentazione della riconducibilità a quest’ultimo delle visite e delle conseguenti prescrizioni.”
FATTO E DIRITTO.1. La CORTE di APPELLO di L., con sentenza in data 05/10/2018, confermava la condanna alla pena ritenuta di giustizia pronunciata dal TRIBUNALE di B., in data 28/02/2017, nei confronti di D. C. V. in relazione ai reati di truffa aggravata e falso; secondo la conforme ricostruzione del fatto accolta nelle due sentenze di merito, l’imputato, medico anestesista e rianimatore, è stato giudicato responsabile di truffa ai danni della locale ASL perché, in concorso con il fratello D. C. L. (giudicato a parte in quanto patteggiante), medico convenzionato per il servizio di base, si è accordato con quest’ultimo per sostituirlo nelle ore di servizio ambulatoriale pomeridiano allorché il secondo svolgeva la libera professione di odontoiatra. La condotta di falso è invece consistita nel formare false ricette di prescrizione di farmaci apponendo sul timbro intestato al fratello la propria firma, facendo altresì risultare, contrariamente al vero che, per oltre 3000 prescrizioni, l’attività sanitaria di medico di base fosse stata svolta dal fratello L.. Fatti commessi tra l’aprile 2011 e l’aprile 2012. 1.1. Secondo la ricostruzione offerta dei giudici del merito, nonostante che la ASL, nella realtà, avesse corrisposto in favore di un solo medico il compenso per prestazioni mediche comunque espletate a favore dei mutuati, e nonostante ricorressero adeguate competenze mediche in capo al sanitario che le aveva erogate (l’attuale imputato), poteva comunque ravvisarsi la presenza di un danno patrimoniale penalmente rilevante a carico del detto Ente pubblico: in particolare, secondo il Tribunale, il detrimento patrimoniale della ASL, a tacer d’altro, poteva sicuramente ravvisarsi nel fatto che gli emolumenti nella specie corrisposti al medico di base (e dunque a D. C. L.) erano comprensivi di una voce aggiuntiva e variabile, definita come compenso per attività di “medicina in rete” (particolare forma di condivisione e scambio, tra i medici del territorio, di informazioni mediche sui pazienti e di cartelle cliniche) che l’imputato (il D. C. V.) pacificamente non aveva espletato. Secondo la Corte d’appello, inoltre, il danno patrimoniale per l’Ente sanitario poteva anche ravvisarsi nell’inadempimento contrattuale, civilisticamente rilevante ex art. 1218 e segg. c.c. , rispetto alla Convenzione tra ASL e medici di base, avendo il D. C. L., in accordo con il fratello V., attuato fraudolentemente forme di sostituzione non previste e non controllabili. 2. Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi: – violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta responsabilità per il reato di truffa aggravata, avendo la corte territoriale ravvisato la presenza dell’illecito nella ricorrenza di un semplice inadempimento civilistico, così violando il principio di legalità tipico dell’illecito penale; inoltre, la condotta posta in essere dal ricorrente è priva del requisito di offensività penale in quanto non ha leso né posto a rischio il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Comunque, difetta l’elemento costitutivo dell’induzione in errore con artifici e raggiri, in quanto i pazienti visitati erano consapevoli della reale identità del medico curante e la ASL ha erogato compensi a fronte di prestazioni effettivamente svolte. – violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta integrazione del reato di falso; invero, ci si trova in presenza di falso innocuo e comunque vi è carenza di prova sull’elemento psicologico previsto per l’applicazione della norma in questione: il ricorrente non voleva ingannare la ASL apponendo la propria firma sulle ricette mediche recanti il timbro intestato al fratello L.; per giunta sussisteva il consenso di quest’ultimo, la prescrizione medica era legittima e i pazienti interessati erano consapevoli di chi fosse il reale autore della prescrizione né può dirsi sussistere coscienza dell’antigiuridicità della condotta. – violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al trattamento sanzionatorio, caratterizzato da giudizio di equivalenza tra aggravanti ed attenuanti generiche e pena inflitta collocata in prossimità dei massimi edittali; ciò senza motivazione adeguata. Il ricorso è inammissibile perché incentrato su motivi reiterativi, aspecifici e comunque manifestamente infondati. 1. Giova premettere che il Collegio ha avuto modo di rilevare che questa Corte (cfr. Sez. 2, n. 50718 del 2019 del 7/11/2019 ) ha già definito altro procedimento a carico dell’attuale ricorrente, avente ad oggetto la medesima tipologie di condotte, ma antecedenti nel tempo, nell’ambito del quale “i giudici di merito, con doppia pronuncia conforme in punto di responsabilità, hanno individuato gli elementi costitutivi del concorso nella truffa di D. C. L. – che ha definito il processo a suo carico con pronuncia ex art. 444 cod. proc. pen – per entrambi i profili, oggettivo e soggettivo, disattendendo le argomentazioni difensive prospettate in primo grado e reiterate nel grado successivo: in particolare, gli artifici e raggiri, consistiti nell’esercitare il ricorrente nelle ore pomeridiane le prestazioni di medico di base, pur non essendo convenzionato, al posto del fratello; la durata di tale illecita collaborazione, tutt’altro che saltuaria; il danno patrimoniale per l’ente pubblico per la percezione da parte di D. C. L. di emolumenti a fronte di attività mai svolte, in violazione degli obblighi contrattuali; l’irrilevanza della competenza de/ricorrente, anch’egli medico, posto che la prestazione da costui erogata sfuggiva a qualunque parametro di valutazione legata alla verifica dei requisiti posti dalla normativa vigente a presidio dell’instaurazione del rapporto medico / Asl volto ad assicurare la medicina di base ad un numero considerevole di assistiti; la sussistenza del dolo per il consapevole apporto causale alla realizzazione della truffa; il falso materiale per l’apposizione della firma apocrifa su un consistente numero di ricette; l’esclusione del falso innocuo ….”(pag. 6 della sentenza impugnata alla quale si rinvia). Le sottolineature sono dell’estensore. 1.1. Con altra precedente sentenza di questa Corte (Sez. 2, Sentenza n. 51144 del 2013 del 19/9/2013) era invece stata definita la fase cautelare del giudizio a carico dell’attuale giudicabile; in quest’ultima pronuncia si legge che il Tribunale della libertà aveva “spiegato con coerenza logico giuridica le ragioni in base alle quali devono ritenersi sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato contestato. Correttamente la figura D. C. V. è stata inserita all’interno di un quadro di elementi probatori che devono essere valutati non in maniera frazionata, ma in modo complessivo, al fine di una ricostruzione quanto più attendibile della sua attività truffaldina, per l’esercizio della quale è stato necessariamente coinvolto dal fratello L., convenzionato con l’ASL, e in realtà unico abilitato ad essere operativo quale medico di base: al contrario D. C. V., in sostituzione del fratello, ha utilizzato timbri e ricettari a lui non riconducibili. L’affermazione secondo la quale non vi sarebbe stato danno a carico della ASL in quanto il compenso fisso erogato dalla ASL prescinde dalle ricette sottoscritte e dalle prestazioni effettuate, assicurate illegittimamente attraverso le prestazioni in sostituzione del fratello, è una argomentazione suggestiva, ma non convincente in quanto il numero dei pazienti è stato mantenuto solo ed esclusivamente con la presenza del fratello V., mentre diversa sarebbe .stata la reazione dell’utenza nell’ipotesi in cui, non vi fosse stata, come non ci sarebbe potuta essere, alcuna controprestazione formalmente riconducibile all’accordo sottoscritto, visto il contestuale impegno svolto come odontoiatra da D. C. L.. Correttamente dunque il TDL ha evidenziato come ai fini della configurazione del danno non rilevi il carattere necessitato della prestazione patrimoniale da parte del soggetto passivo, ma la legittimità della sua erogazione proprio all’autore dell’induzione in errore. In sostanza la presenza di una controprestazione fornita da un soggetto diverso rispetto all’obbligato non può essere indifferente rispetto alla Qualità dell’aspettativa riposta dall’Ente pubblico, rispetto alla funzionalità del servizio, la cui efficienza va considerata nella complessa struttura operativa organizzata per l’erogazione del servizio. E di cui il “medico persona fisica”, in Questo caso, è parte essenziale. D’altra parte occorre anche sottolineare che il mantenimento della convenzione è stato possibile solo grazie alla dolosa omissione della doverosa comunicazione dell’esercizio dello svolgimento della libera professione di medico dentista, svolta ogni pomeriggio, ed incompatibile con l’attività pubblica….”. Sottolineature a cura dell’estensore. 2. Tanto premesso, e ribaditi integralmente i cennati principi dai quali il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, con riferimento al primo motivo del ricorso in esame, giova comunque rilevare che, nella specie in esame, i giudici del merito hanno radicalmente escluso qualsiasi dubbio in merito alla sussistenza di un profilo di danno in capo alla ASL avendo accertato anche l’erogazione, in favore del medico titolare della convenzione per il servizio di medicina di base (D. C. L.), della quota di compenso aggiuntivo contrattualmente prevista per le attività di c.d. “medicina in rete”, pacificamente non effettuate dall’attuale ricorrente (cfr. pag. 11 della sentenza di primo grado-). Né il ricorso contiene puntuali e specifiche censure al riguardo, soffermandosi invece sul non controverso dato che la retribuzione del medico convenzionato prescinda dalla verifica, nel concreto, del numero di visite mediche concretamente effettuate verso gli assisiti; con ciò integrandosi comunque il vizio di aspecificità del motivo in esame. 2.1. Manifestamente infondato, conseguentemente, è l’argomento difensivo con il quale si contesta la ricorrenza del requisito di offensività penale (in quanto non sarebbe stato posto a rischio il bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice), avendo i giudici del merito accertato sia l’esistenza di condotte truffaldine (gli artifici e raggiri), sia la presenza del danno giuridicamente rilevante in capo all’ente pubblico. 2.2. Non ignora il Collegio che in passato si sono registrati arresti di legittimità che hanno escluso la ricorrenza del reato di truffa in vicende che presentavano qualche analogia in fatto con la fattispecie in esame (cf. Sez. 2, n. 44677/2015 e Sez. 2, n. 38333/2001), essendosi in sostanza affermata l’assenza di un danno patrimoniale in capo al soggetto passivo (la ASL) allorchè non risulti dimostrata l’erogazione di compensi indebiti in favore del medico che si è sostituito al titolare della convenzione o casi di doppia retribuzione (a favore cioè sia del medico sostituito che del sostituto). Tali pronunce tuttavia, oltre che risentire del condizionamento derivante dalle peculiarità probatorie delle relative fattispecie concrete (la prima è relativa a vicenda cautelare; nella seconda si evidenziano precise lacune istruttorie in tema di compensi accessori), non prendono in considerazione molteplici profili di danno giuridicamente rilevante. 2.2.1. Invero, secondo il risalente ma ancora attuale orientamento di legittimità, condiviso dal Collegio, il danno (elemento costitutivo del delitto di truffa) deve avere contenuto patrimoniale, cioè deve concretarsi in un detrimento del patrimonio (inteso come complesso di diritti, rapporti e situazioni giuridiche a contenuto patrimoniale) del soggetto passivo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5465 del 23/02/1972, Rv. 121774; in senso conforme: Sez. 2, Sentenza n. 970 del 01/10/1980, Rv. 151921; Sez. 5, Sentenza n. 16304 del 20/09/1989, Rv. 182648; Sez. 5, Sentenza n. 16304 del 20/09/1989, Rv. 182648; Sez. 2, Sentenza n. 34722 del 14/05/2014, Rv. 260029; Sez. 2, Sentenza n. 29628 del 28/05/2019, Rv. 276670). E dunque, nella fattispecie considerata, i giudici del merito hanno ampiamente evidenziato la ricorrenza di un danno siffatto, derivante dal mancato svolgimento delle prestazioni di c.d. “medicina in rete” (per le quali, invece, il medico convenzionato è stato regolarmente retribuito); inoltre, si è comunque valorizzata anche la violazione della disciplina di Convezione, a cui consegue un danno da inesatto adempimento contrattuale (anch’esso suscettibile di valutazione economica), per essere stata privata la ASL dei previsti poteri di controllo sulla regolarità del servizio offerto dal medico di base e delle “sostituzioni” eventualmente richieste dal medico convenzionato. 3. Del pari, manifestamente infondato è l’argomento con il quale si contesta la presenza dell’induzione in errore con artifici e raggiri, risultando del tutto irrilevante il fatto che i pazienti visitati fossero consapevoli della reale identità del medico curante; infatti, il soggetto destinatario dell’induzione in errore, aspetto necessario per l’integrazione del reato, è chiaramente la ASL e la motivazione offerta dai giudici del merito si diffonde adeguatamente nell’illustrazione del profilo in questione (evidenziando come l’ente pubblico sia stato lungamente ingannato in relazione alla reale identità del soggetto che effettuava le prestazioni in convenzione, prescriveva farmaci e disponeva accertamenti specialistici). 4. Manifestamente infondato è il motivo relativo alla integrazione del reato di falso; nel ricorso si reitera l’argomento relativo alla ricorrenza di un falso innocuo, già adeguatamente escluso dai giudici del gravame (cfr. pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata contenenti puntuali riferimenti giurisprudenziali, condivisi dal Collegio) con i richiami alla idoneità ingannatoria, rispetto alla fede pubblica, di ricette mediche sottoscritte da parte di sanitario diverso da quello indicato nel timbro ASL. 5. Analogamente è a dirsi quanto all’argomento relativo alla ricorrenza del dolo, che nella fattispecie è generico. Del resto, questa Corte ha già condivisibilmente affermato (Sez. 5, n. 48803 del 09/10/2013, Rv. 257552), in vicenda assai simile a quella in esame, la ricorrenza del reato di falso ideologico allorchè un medico non convenzionato ASL sostituisca altro medico convenzionato, firmando ricette e prescrizioni redatte con i ricettari e con l’uso di timbri fornitigli dal medico convenzionato, in modo tale da ingenerare la falsa rappresentazione della riconducibilità a quest’ultimo delle visite e delle conseguenti prescrizioni. Né, in tal caso, è prospettabile l’innocuità del falso, considerata la funzione attestativa degli atti, la quale comprende anche i necessari presupposti di fatto della realtà documentata, in virtù della quale rileva – nel giudizio sulla concreta offensività della condotta nei confronti del bene della fede pubblica – l’indicazione dell’identità fisica del medico responsabile delle prescrizioni, avuto anche riguardo ad eventuali contestazioni in ordine all’operato del sanitario. 6. Quanto infine al motivo inerente al trattamento sanzionatorio, i giudici del merito hanno adeguatamente illustrato le ragioni poste a base della determinazione della pena e del giudizio di equivalenza tra aggravanti e attenuanti generiche, valorizzando i profili dell’obiettiva gravità dei fatti e della ripetizione degli stessi per ampio arco temporale, nonché la considerazione del ruolo pubblico ricoperto dall’imputato. Quanto alla pena, questa è stata individuata, considerando più grave reato di truffa, partendo da quella di anni uno e mesi sei, ben lontana dunque dal limite massimo edittale. Al riguardo, questa corte ha già avuto modo di affermare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Peraltro, una specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: ‘pena congrua’, ‘pena equa’ o ‘congruo aumento’, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere (Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596). Esattamente come avvenuto nella fattispecie. 7. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese.