CORTE COSTITUZIONALE – L’interruzione di gravidanza provocata da responsabilità dei medici resta un reato perseguibile d’ufficio. FATTO: il Tribunale di Treviso ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 17, comma 1, della legge 22 maggio 1978, n. 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza), nella parte in cui prevede, per il reato di interruzione colposa della gravidanza, la procedibilità d’ufficio, invece che a querela di parte; la vicenda ha ad oggetto il procedimento penale a carico di alcuni medici del reparto di ostetricia e ginecologia dell’Ospedale civile di —– (TV), imputati del delitto di cui all’art. 17, comma 1, della legge n. 194 del 1978, per aver cagionato colposamente a una paziente, ormai prossima al parto, l’interruzione della gravidanza e la morte intrauterina del feto. Prima dell’emissione del decreto di citazione, la persona offesa aveva rimesso la querela presentata nei confronti dei medici, essendo stata integralmente risarcita dei danni subiti, ma il processo era proseguito, perché il reato contestato agli imputati era procedibile d’ufficio.
DIRITTO: l’aborto – costituendo in seguito alla riforma del 1978 un reato autonomo e non più una circostanza aggravante del delitto di lesioni personali – anche se colposo, è procedibile d’ufficio, e non a querela di parte, diversamente dalle varie ipotesi di lesioni personali colpose gravissime previste dagli artt. 583, secondo comma, e 590, secondo comma, del codice penale, tra le quali era originariamente inserito anche l’aborto. In questa prospettiva, la scelta della procedibilità d’ufficio per il delitto di interruzione colposa della gravidanza si risolve in un’opzione di politica legislativa, che si sottrae a una possibile censura di legittimità costituzionale (ordinanza nr. 324/13).
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