CORTE DEI CONTI (Sez. Lombardia) – Il falso medico deve restituire i compensi percepiti dall’Asl -Il Procuratore regionale della Corte dei Conti per la Regione Lombardia ha promosso azione di responsabilità nei confronti del sig. ——-per ottenerne la condanna al pagamento della somma di euro 199.999,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento del danno arrecato all’Azienda sanitaria locale di Como. Espone l’attore che il convenuto risulta affidatario, dal 1998 al 2008, di incarichi presso la suddetta Azienda in materia medico-fiscale nonostante fosse privo del diploma di laurea in medicina e chirurgia e dell’iscrizione all’Ordine provinciale dei medici. Il Collegio ha rilevato che “nel caso concreto, dunque, l’evento danno non si è realizzato con la semplice erogazione dei corrispettivi versati dall’ASL in ragione dell’attività di volta in volta espletata dal falso professionista, ma è emerso solo quando, all’esito di un’istruttoria successivamente condotta, è divenuta conoscibile all’Amministrazione la falsa autocertificazione resa dal soggetto incaricato e la conseguente indebita percezione del corrispettivo erogato per un’attività compiuta in assenza della prescritta qualificazione professionale. In tali fattispecie, caratterizzate dalla celata assenza dei requisiti legittimanti l’erogazione, si deve ritenere in re ipsa la sussistenza di un doloso occultamento del danno (ex art. 1 comma 2 della legge 14.1.1994, n. 20) che ha comportato un obiettivo impedimento ad agire, di carattere giuridico e non di mero fatto. Secondo il richiamato orientamento, a nulla rileva la circostanza che gli emolumenti percepiti abbiano corrisposto a prestazioni effettivamente svolte”. Il Collegio ha inoltre rilevato che “Infatti, nei casi come quello in esame il possesso dei requisiti culturali e professionali si pone come necessaria premessa per l’utile svolgimento della relativa attività, in assenza del quale il sinallagma tra prestazione e retribuzione deve considerarsi irrimediabilmente e integralmente mancante. Talché “l’assenza di titoli culturali e professionali preclude in partenza la possibilità di valutazione dell’utilità delle prestazioni svolte, diversamente dal caso di prestazioni effettuate, in assenza di posto in organico, da sanitari comunque muniti degli adeguati titoli professionali. […] Non rileva in contrario il fatto che lo svolgimento di queste mansioni non abbia dato luogo a censure. Non è infatti l’assenza di censure che si richiede in attività di tal genere ma il fatto che esse possano essere esplicate al meglio” (3^ centrale, n. 279/2001 cit.). Il danno è, per quanto sin qui esposto, in re ipsa e consiste nell’avere corrisposto una retribuzione ad un soggetto che in sé non era idoneo a fornire la prestazione richiesta e ciò indipendentemente dal grado di abilità comunque maturato o dalla ridotta difficoltà della prestazione sanitaria concretamente richiesta (sentenza nr. 280/13).
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