La Corte dei Conti ha affermato che “sussiste la giurisdizione di questa Corte dei conti a fronte di danni erariali cagionati da soggetti legati da rapporto di servizio alla P.A., quali sono i medici di base o i medici convenzionati con il SSN.”
FATTO E DIRITTO. 1. Con atto di citazione del 18.3.2019, la Procura Regionale citava in giudizio il dr. F. D. L., esponendo quanto segue: a) che, a seguito di denuncia 11.10.2017 n.0595747/2017, la Guardia di Finanza di M. aveva segnalato alla Procura contabile un possibile danno erariale prodotto dal dr .F. D. L., medico convenzionato con il SSN come medico di medicina generale con incarico per il servizio di emergenza ed urgenza; b) che tale danno si sarebbe configurato in relazione alla violazione dell’art.53, co.6-7bis, d.lgs. n.165 del 2001, avendo il dr. D. L., nel periodo 1.1.2010-31.12.2013, svolto attività libero professionali non autorizzabili presso strutture private accreditate con il SSN, pur prestando il servizio convenzionato sub a) con le seguenti aziende: – ASL M. (ora ATS V.) dal 1.01.2010 al 30.6.2010 a tempo indeterminato per 38 h settimanali, percependo un compenso pari ad euro 36.924,00; – A.O. Spedali Civili di B. dal 1.07.2010 al 31.05.2012 a tempo indeterminato per 38 h settimanali, percependo un compenso pari ad euro 120.158,52; – ASP M. dal 1.6.2012 alla data dell’accertamento a tempo indeterminato per 38 h settimanali, percependo un compenso pari ad euro 81.049,75; c) che tali attività libero professionali, non autorizzabili, erano state svolte presso le seguenti strutture sanitarie: – Ospedale S. P. di C. S. dal 28.11.2008 al 28.2.2013, in qualità di medico di guardia presso il PS, percependo un 3 compenso, per il periodo 1.01.2010-28.02.2013, pari ad euro 90.773,12 al lordo delle ritenute; – S. S.p.a. (già Casa di Cura Polispecialistica dott. P. S.p.a.) dal 2.1.2010 al 31.5.2012 per copertura di turni di guardia medica in favore del servizio di pronto soccorso, percependo un compenso per tale periodo pari ad euro 38.340,00; d) che l’illiceità comportamentale nasceva dalla violazione dell’Accordo Contrattuale Nazionale (ACN) per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generali, il cui art.93 stabiliva che “gli incarichi a tempo indeterminato sono conferiti per 38 ore settimanali, presso una sola Azienda, e comportano l’esclusività del rapporto” mentre l’art.95, co.10 ed 11, stabiliva che “Il medico incaricato per le attività di emergenza sanitaria territoriale può esercitare la libera professione al di fuori degli orari di servizio, purché essa non rechi pregiudizio alcuno al corretto e puntuale svolgimento dei compiti convenzionali”, ma deve “rilasciare alla Azienda apposita dichiarazione”; e) che l’illiceità comportamentale nasceva altresì dalla violazione dell’art.4, co.7, l. 412 del 1991 richiamato dall’art.17 dell’ACN, che prevedeva una incompatibilità con attività svolte a qualsiasi titolo in presidi, strutture sanitarie, stabilimenti o istituzioni private convenzionate; f) che tali violazioni, comportanti un evidente conflitto di interesse dolosamente occultato con mendaci autocertificazioni, oltre a comportare decadenza/cessazione dal rapporto convenzionale in base agli artt.17, co.5 e 19 dell’ACN e originare possibili risvolti penali, implicavano un obbligo, per il dr. D. L., legato da rapporto di lavoro parasubordinato al SSN, di 4 riversare alle tre amministrazioni di appartenenza succedutesi nel tempo delle somme ricevute dalle strutture private convenzionate, pari ad euro 129.113,12 complessivi, ai sensi dell’art.53, co.7 e 7 bis, d.lgs. n.165 del 2001; g) che tali condotte avevano poi arrecato un ulteriore danno corrispondente all’importo percepito per 7 giorni di ferie fruiti il 10.12.2012; dal 26.10.2012 al 31.10.2012; il 19.01.2013 e il 23.02.2013, durante i quali il dott. D. L. aveva prestato attività professionale incompatibile presso l’Ospedale S. P. di C. S., danno calcolato, sulla base di 12 ore giornaliere per 33,46 euro l’ora, in euro 2.810,64; h) che il predetto importo di euro 131.923,76 (euro 129.113,12 + euro 2.810,64) andava ripartito, in sede di versamento da parte del D. L. alla PA, tra le tre strutture sanitarie datoriali in relazione al periodo di conferimento dell’incarico convenzionato al convenuto presso ciascuna di esse, secondo il seguente riparto: – alla ASL M. (ora ATS V.) dal 1.01.2010 al 30.6.2010, € 9.056,56 (percepiti dall’Ospedale S.P.) e € 5.760,00 (percepiti dalla Salus S.p.a) per un totale di € 14.816,56; – all’A.O. Ospedali Civili di B. (ora ASST ospedali Civili di B.) dal 1.07.2010 al 31.05.2012, € 46.769,06 (percepiti dall’Ospedale S. P.) ed € 32.580,00 (percepiti dalla Salus S.p.a) per un totale di €. 79.349,06; – alla ASP M. dal 1.6.2012 al 31.12.2013, € 34.947,50 (percepiti dall’Ospedale S. P.). A tale ultima posta di danno andava aggiunto anche l’importo di € 2.810,64 per le ferie utilizzate per lo svolgimento di attività professionale incompatibile; 5 i) che le deduzioni pervenute in riscontro all’invito a dedurre non erano risultate idonee a superare l’ipotesi accusatoria. Tutto ciò premesso, la Procura chiedeva la condanna del convenuto al pagamento a favore delle tre strutture sanitarie, secondo i criteri indicati sub h), della complessiva somma di euro 131.923,76 oltre accessori e spese di lite. 2. Si costituiva il medico convenuto, difeso dagli avv. M. di C. e A., eccependo quanto segue: a) il difetto di giurisdizione di questa Corte a fronte di condotte poste in essere, quasi del tutto, prima della modifica apportata all’art.53, d.lgs. n.165 dalla legge 190 del 2012, sebbene la giurisprudenza avesse in tempi più recenti riconosciuto anche per condotte pregresse la giurisdizione contabile; b) l’assenza di un danno erariale sia in capo ai soggetti privati eroganti le somme contestate dalla Procura, sia in capo alle aziende pubbliche presso le quali il D. L. era medico convenzionato senza fruire di indennità di esclusiva o di benefici previdenziali; c) la mancanza di una previa richiesta di versamento delle somme oggetto di causa da parte dei tre soggetti pubblici presso i quali il dr. D. L. aveva lavorato; d) la prescrizione del credito reclamato, a fronte di un invito a dedurre notificato in data 19.10.2018 e di una attività della quale il deducente era stato chiamato a rispondere risalente al periodo che va dal 01.01.2010 al 31.12.2013, di una denuncia di tali fatti effettuata alla AG con missiva del 2012 (originante indagini della GdF) e in assenza di occultamento doloso delle attività svolte presso privati, note all’azienda di M. e non 6 segnalate dal D. L. per mero errore alla azienda di B. in sede di autocertificazione; e) l’assenza di colpa grave a fronte di normativa complessa e non chiara, nonchè di inserimento del D. L., a seguito di protocollo e delibera indicati in comparsa di costituzione, in un elenco di medici convenzionati con l’Azienda di M. autorizzati a svolgere attività libero professionali, nonché di espletamento di incarichi esterni, in buona fede, solo presso pronto soccorso aperto al pubblico in strutture pur private; f) che la normativa vigente, poco lineare, non imponeva un dovere di esclusiva se non ai medici convenzionati strutturati, quale non era il dr. D. L. e che, anzi, l’art. 6 del regolamento dell’Asl di M., rubricato “Incompatibilità”, espressamente prevedeva la possibilità per l’ASL di mantenere il rapporto convenzionale anche con quei medici che esercitino la libera professione presso strutture private accreditate diverse dalle RSA; g) che la condotta era stata comunque connotata da inerzia in punto di vigilanza delle Aziende sanitarie ove prestava servizio convenzionato e delle strutture private accreditate, consapevoli dello status del D. L. di medico convenzionato; h) di aver svolto attività presso l’Ospedale S. P., subentrato all’Ospedale C. P., sino al 2015 presidio ospedaliero dell’Azienda ospedaliera di M. al pari del C. P., ed era già autorizzato dalla ASL di M. a valersi del dr. D. L.; i) che alcun danno erariale era ipotizzabile, avendo il dr D. L. svolto la contestata libera professione al di fuori degli orari di servizio e senza pregiudizio alcuno al corretto e puntuale svolgimento della prestazione 7 pubblica, venendo pagato solo da strutture private beneficiarie della prestazione professionale. Ciò premesso, la difesa chiedeva preliminarmente che venisse dichiarato il difetto di giurisdizione e, nel merito, che la domanda venisse respinta. In via gradata, chiedeva un congruo esercizio del potere riduttivo dell’addebito. 3. All’udienza del 22 gennaio 2020, udita la relazione del Magistrato designato, le parti ribadivano e sviluppavano i rispettivi argomenti. Quindi la causa veniva trattenuta in decisione. 1. La fattispecie sub iudice riguarda un asserito danno erariale per l’espletamento non autorizzato (e non autorizzabile) di attività libero professionali presso strutture private accreditate con il SSN da parte di un medico convenzionato con il SSN come medico di medicina generale con incarico per il servizio di emergenza ed urgenza, il tutto, secondo la pretesa attorea, in violazione dell’art.53, co.6-7bis, d.lgs. n.165 del 2001. Ritiene il Collegio di dover valutare preliminarmente la sussistenza o meno della giurisdizione di questa Corte dei Conti nel peculiare caso in esame, in cui la condotta violativa dell’art.53, co.6-7bis, d.lgs. n.165 del 2001 viene dalla Procura ascritta ad un pubblico dipendente (sul quale la giurisdizione contabile è assolutamente pacifica: v. infra), ma ad un medico convenzionato con il SSN. Per rispondere a tale assorbente quesito, oggetto di rare pronunce di questa Corte che si sono espresse in modo affermativo sulla base del mero ricorso a tradizionali, ma qui insufficienti (v. infra), approdi sul generale 8 rapporto di servizio con medici convenzionati (v. C.conti, sez. Veneto, 15.12.2016 n.217; id. 25.10.2016 n.124; id., 18.2.2016 n.24; id., sez.Toscana, 5.9.2018 n.216), occorre effettuare una duplice premessa. 1.1. In primo luogo, dopo alcune incertezze iniziali, è oggi pacifica la giurisdizione esclusiva di questa Corte sul mancato versamento delle somme dovute dal pubblico dipendente alla propria amministrazione ai sensi dell’art.53, co.7, d.lgs. n165, e che la disposizione di cui al comma 7 bis dell’art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, introdotta dalla legge n. 190 del 2012, nell’attribuire testualmente la giurisdizione alla Corte dei Conti, non riveste carattere innovativo, ma si pone in “rapporto di continuità regolativa” con l’orientamento giurisprudenziale già delineatosi, con la conseguenza che la regola da essa esplicitata a livello di fonte legale era valida anche in precedenza, sia nell’attuale che nella pregressa formulazione (anteriore alla novella apportata dalla l. n.190 del 2012): così Cass., sez.un., 14.1.2020 n. 415; id., sez.un., 26.6.2019 n.17124; id., sez.un., 2.11.2011 n.22688; id., sez.un., 22 dicembre 2015, n. 25769, in sintonia con pregresso e lungimirante indirizzo di questa sezione espresso, tra le altre, con sentenza C.conti, sez.Lombardia, 25 novembre 2014 n. 216. Pertanto, al pari di quanto ritenuto dalle Sezioni Unite della Cassazione in riferimento all’art. 58 della legge 8 giugno 1990, n. 142, il quale ha disposto per gli amministratori degli enti locali l’osservanza delle disposizioni vigenti in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, con l’effetto di estendere al settore della responsabilità per danno erariale arrecato dall’amministratore all’ente locale le norme di carattere processuale attribuenti la giurisdizione alla Corte dei conti (Cass. sez.un., 30 9 giugno 1999, n. 360, Cass., sez.un., 6 giugno 2002, n. 8229, Cass., sez.un., 9 febbraio 2010, n. 2786), l’anzidetta disposizione del comma 7 bis, per il principio tempus regit actum, è da ritenersi applicabile comunque ai giudizi di responsabilità instaurati dopo l’entrata in vigore della legge (che lo ha introdotto: legge n. 190 del 2012), ancorché per fatti commessi in epoca anteriore (così testualmente Cass., sez.un., 26.6.2019 n.17124 cit.). Quanto, poi, al profilo che attiene alla posizione della P.A. di appartenenza del dipendente che ha percepito il compenso in difetto di autorizzazione, se tale Amministrazione non si attivi, anche in via giudiziale, facendo valere l’inadempimento degli obblighi del rapporto di lavoro, per ottenerne il riversamento nel proprio bilancio e abbia, invece, a tal fine agito il Procuratore contabile, in ragione della responsabilità erariale di cui alla tipizzata fattispecie legale ex art. 53, commi 7 e 7 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, non potrà più la medesima Amministrazione promuovere azione per ottenere detto riversamento, con conseguente sterilizzazione della possibilità di un conflitto di giudicati. Infatti, è da escludere, stante il divieto del bis in idem, una duplicità di azioni attivate contestualmente che – seppure recanti la propria specificità – tendono a conseguire, dinanzi al giudice munito di giurisdizione per ciascuna di esse, lo stesso identico petitum (predeterminato dal legislatore) in danno del medesimo soggetto obbligato in base ad un’unica fonte (quella legale) e cioè i compensi percepiti dal dipendente pubblico in difetto di autorizzazione allo svolgimento dell’incarico che li ha determinati, i quali una volta soltanto possono essere oggetto di recupero al fine di essere destinati al bilancio dell’amministrazione di appartenenza di quel dipendente. 10 Per concludere sul punto, la giurisdizione di questa Corte sussiste oggi per il danno erariale nascente dal mancato versamento delle somme dovute dal pubblico dipendente alla propria amministrazione ai sensi dell’art.53, co.7, d.lgs. n165, quale che sia la data di espletamento delle attività extralavorative. 1.2. Va in secondo luogo, sempre in via preliminare, ribadito il pacifico indirizzo giurisprudenziale, ma intervenuto su fattispecie ben diverse da quella in esame (in quanto ancorate a referenti normativi violati dai convenuti ben differenti), secondo il quale sussiste la giurisdizione di questa Corte dei conti a fronte di danni erariali cagionati da soggetti legati da rapporto di servizio alla P.A., quali sono i medici di base o i medici convenzionati con il SSN (sul rapporto di servizio con il servizio sanitario nazionale dei medici di base, v. C. conti, Sez. Lombardia, 12 aprile 2016, n. 64; id, sez. Lombardia, 14 dicembre 2016, n. 216 e n. 217; in terminis, per i medici convenzionati, C.conti, sez. I app., 9.7.2014 n.947; Cass., sez.un., 9/8/2010, n. 18477; Cass., sez.un., 2.4.2007 n.8093; C.conti, sez.Puglia, 23.6.2009 n.492; id., sez.I, 13.4.2006 n.131). 2. Alla luce di tali chiare e univoche coordinate ermeneutiche in punto di giurisdizione, tuttavia la soluzione favorevole ad una loro conferma in questo giudizio, con ricadute in ordine al merito della questione sub iudice, è impedita da un basilare ostacolo testuale, rappresentato dallo stesso articolo 53, co.6, secondo il quale “I commi da 7 a 13 del presente articolo si applicano ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, compresi quelli di cui all’articolo 3, con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non 11 superiore al cinquanta per cento di quella a tempo pieno, dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali”. Orbene, i medici convenzionati con il SSN, come il convenuto dr. D. L., pur giudicabili in astratto da questa Corte che ha su di essi generale giurisdizione, non sono qualificabili, sul piano giuridico, “dipendenti delle amministrazioni pubbliche”, con conseguente inapplicabilità, nel merito, agli stessi dell’art.53, co.7 e 7-bis, d.lgs. n.165. Ed invero, un pacifico indirizzo della Cassazione, dal quale non vi è motivo per discostarsi, qualifica il rapporto di detti medici convenzionati con il SSN (ergo con la P.A.) come un rapporto di parasubordinazione, ritenendo che lo stesso, pur se costituito in vista dell’interesse pubblico di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale, è un rapporto liberoprofessionale parasubordinato che si svolge di regola su un piano di parità con le aziende sanitarie locali e, pertanto, non permette di ravvisare un datore di lavoro (così Cass., sez. lav., 24.9.2015, n.18975; id., sez.un., 21.10.2005 n.20344, 18.10.2002 n.14810, 8.8.2001 n.10960, 3.8.2000 n.532, 3.6.1997 n.4955, 4.8.1995 n.8547). “Pertanto, detto rapporto di lavoro esula dall’ambito del pubblico impiego (difettando il presupposto della subordinazione) e configura un rapporto di prestazione d’opera professionale, sia pure con i connotati della collaborazione continuativa e coordinata (art. 409 c.p.c., n. 3)” (così testualmente Cass., sez. lav., 24.9.2015, n.18975 cit.). 12 E’ dunque principio costante nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, qui condivisa, che il rapporto di lavoro parasubordinato resta soggetto alla sola disciplina sostanziale dettata per il lavoro autonomo, essendo la parasubordinazione rilevante esclusivamente ai fini processuali ex art. 409 c.p.c., n. 3, onde debbono ritenersi eccezione ai principi generali eventuali leggi estensive delle garanzie tipiche del lavoro subordinato a quello parasubordinato (Cass. n. 1459 del 1997). La prestazione lavorativa personale, continuativa e coordinata, non rappresenta un distinto tipo contrattuale, assimilabile al lavoro dipendente, ma una peculiare ipotesi di lavoro autonomo, parificato al lavoro subordinato soltanto agli effetti di specifiche forme di tutela rafforzata testualmente previste (v. tra le altre, Cass., sez. lav., 24.9.2015, n.18975 cit; Cass. 12259 del 1995; Cass. n. 9614 del 2001, n. 5738 del 2001). Se, dunque, è incontestato che il rapporto del dr. D. L. con le tre aziende indicate in fatto era di mera “convenzione” come medico di medicina generale con incarico per il servizio di emergenza ed urgenza e non configurava un “rapporto di lavoro subordinato”, egli non era tecnicamente un “dipendente” della P.A. a cui solo è testualmente applicabile l’art.53, co.6 segg., d.lgs. n.165 del 2001. A ciò aggiungasi che la natura palesemente afflittiva della norma da ultimo citata, riconosciuta da univoca giurisprudenza (“Si vede, infatti, secondo quanto fatto palese dal comma 7 bis del citato art. 53, in ipotesi di responsabilità erariale, che il legislatore ha tipizzato non solo nella condotta, ma annettendo, altresì, valenza sanzionatoria alla predeterminazione, legale anch’essa, del danno, forfettizzato in misura pari ai compensi percepiti dal 13 dipendente, attraverso la quale si è inteso tutelare……la compatibilità dell’incarico extraistituzionale in termini di conflitto di interesse e il proficuo svolgimento di quello principale in termini di adeguata destinazione di energie lavorative verso il rapporto pubblico”: così Cass., sez.un., 26.6.2019 n.17124) e da concorde dottrina, non consente assolutamente una interpretazione estensiva, sul piano soggettivo, del precetto sanzionatorio di cui all’art.53, co.6 segg., destinato testualmente, nella sua portata afflittiva, ai soli “dipendenti delle amministrazioni pubbliche”. Del resto, sul piano punitivo, la normativa settoriale concernente i medici convenzionati non prevede altro, in caso di violazione del regime di esclusività, se non la revoca del convenzionamento previo contraddittorio (art.17, co.5 e 8, Accordo contrattuale nazionale medici di medicina generale del 2005 e succ mod.), salvi eventuali profili penali. La giurisprudenza ha dunque nitidamente affermato che in materia di medici convenzionati, va escluso che nell’ordinamento sia rinvenibile un principio generale, ancorché settoriale, di assimilazione delle prestazioni svolte presso enti sanitari dai medici in base a convenzioni, ex art. 48 legge n. 833 del 1978, a quelle rientranti nell’ambito del rapporto di pubblico impiego, attesa l’assenza nei rapporti d’opera professionale (pur caratterizzati da collaborazione coordinata e continuativa) del requisito della subordinazione, dovendosi ritenere che le disposizioni che estendono l’applicabilità della normativa del pubblico impiego con equiparazione alle prestazioni subordinate abbiano carattere speciale ed eccezionale e siano insuscettibili di essere applicate al di fuori dei casi considerati (così Cass., sez.lav., 29.7.2008, n.20581). 14 E tale condivisibile approdo non può non valere, secondo questa Sezione, a maggior ragione, per la afflittiva previsione dell’art.53, co.6 segg. d.lgs. n.165 destinata testualmente a pubblici dipendenti in senso tecnico. 3. Ne consegue, in consapevole contrasto con i rari pregressi approdi di altre sezioni di questa Corte (v. C.conti, sez. Veneto, 15.12.2016 n.217; id. 25.10.2016 n.124; id., 18.2.2016 n.24; id., sez.Toscana, 5.9.2018 n.216 citt.), il rigetto nel merito della domanda attorea, in quanto, pur avendo questa Corte dei conti giurisdizione sui medici convenzionati con il SSN, la norma azionata dalla Procura (art.53, co.7-7bis cit.) non trova applicazione nei confronti degli stessi. Tale conclusione dispensa il Collegio dal valutare le restanti eccezioni di parte convenuta. La novità della questione e le oscillazioni interpretative nei rari precedenti specifici concernenti medici convenzionati (qui smentiti con innovativa lettura, maggiormente conforme ai canoni normativi ed alla giurisprudenza di legittimità), giustificano la integrale compensazione delle spese di lite. P. Q. M. La Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Lombardia, definitivamente pronunciando, RIGETTA la domanda proposta nei confronti di D. L. F., nato a M., il 5.3.1964, C.F. DLCFNC64C05F158M e compensa integralmente le spese di lite. Così deciso in Milano il 22.1.2020 Il Relatore Il Presidente Vito Tenore Antonio Caruso 15 DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 03.02.2020 IL PREPOSTO DELLA SEGRETERIA dott. Salvatore Carvelli.