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Corte dei Conti Reg. Toscana Sent. N. 63/2020 – Medico di medicina generale e prestazioni mediche di particolare impegno (PPI)

La Corte dei Conti ha affermato che “non è possibile ipotizzare l’automatica sussistenza del danno da disservizio, essendo sempre necessaria la prova che la condotta illecita del dipendente ha causato un pregiudizio al corretto funzionamento dell’apparato pubblico”.

 

FATTO E DIRITTO: Con atto di citazione depositato in data 11.10.2018, notificato in data 8.11.2018, preceduto dalla notifica dell’invito a dedurre ai sensi dell’art. 67 CGC, il Procuratore Regionale ha evocato in giudizio P. G. S., medico di medicina generale in regime di convenzione con l’Azienda USL T. nord ovest, al fine di sentirlo condannare al risarcimento di € 15.862,32 in favore dell’Azienda stessa, per l’indebita percezione di emolumenti per prestazioni mediche di particolare impegno (PPI).

Le indagini, avviate in seguito a denuncia pervenuta dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute, hanno consentito di accertare quanto segue.

Le prestazioni mediche di particolare impegno sono prestazioni sanitarie supplementari, come ad esempio la sutura di una ferita superficiale, l’effettuazione di una fleboclisi, che il medico di medicina generale effettua per i propri pazienti al loro domicilio o in studio, che vengono remunerate a parte dall’Azienda sanitaria, sulla base di un tariffario delle prestazioni mediche aggiuntive.

Nel corso delle indagini sono stati escussi a sommarie informazioni n. 67 pazienti del convenuto dalle quali è emerso che il dott. P. ha attestato falsamente di avere eseguito un totale di n. 565 prestazioni aggiuntive, in realtà mai eseguite, incassando a tale titolo, indebitamente, nel corso del 2015-2016 l’importo di € 3.862,32.

A tale voce di danno si deve aggiungere, secondo la Procura, il danno connesso alla grave violazione del sinallagma di cui si è reso responsabile il convenuto, con riferimento alla convenzione con l’Azienda sanitaria. La condotta del dott. P. avrebbe, infatti, minato il rapporto di fiducia su cui deve basarsi la relazione tra medico e paziente. Tale posta di danno, da quantificarsi equitativamente ai sensi dell’art. 1226 c.c. considerando la gravità dei fatti, il numero di assistiti coinvolti nella truffa, la continuità della stessa per tutto il periodo delle indagini e la misura del trattamento economico erogato dall’azienda sanitaria al convenuto, è stata quantificata dalla Procura in € 12.000,00, pari a un terzo del trattamento economico percepito dal dott. P. nel 2015.

Parte attrice ha chiesto, quindi, la condanna del convenuto al risarcimento della somma complessiva di € 15.862,32, oltre rivalutazione, interessi e spese.

Il convenuto P. G. S. si è costituito in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 3.10.2019 con il patrocinio dell’avv. A. B.. Il convenuto ha richiamato le difese già svolte nelle controdeduzioni all’invito a dedurre. In particolare, ha richiamato il provvedimento di archiviazione del procedimento penale emesso in quanto in quella sede è emerso che le prestazioni erano state effettivamente eseguite ma a favore di pazienti diversi da quelli indicati nelle richieste di rimborso, per errore indicati con altro nome, come risulta dall’agenda del medico e dalle dichiarazioni della dott. T. S..

Il convenuto ha eccepito, poi, la prescrizione dell’azione di responsabilità in quanto i fatti sono stati accertati nel 2012 e si riferiscono ad anni precedenti.

In subordine, in ordine al quantum del danno, ha eccepito che dall’importo di € 3.862,00 deve essere detratto l’importo per le prestazioni effettuate, come dichiarato dai pazienti. Conseguentemente la Procura avrebbe dovuto produrre tutte le dichiarazioni dei pazienti che hanno disconosciuto le prestazioni e non presumere che tutte le n. 565 prestazioni aggiuntive elencate dal medico fossero false, e solo su queste calcolare il maggiore introito del dott. P..

Ha contestato che l’Asl abbia subito alcun danno di immagine, trattandosi di vicenda che non ha avuto alcun risalto pubblico e che avrebbe eventualmente causato sfiducia nei confronti del medico e non dell’ASL.

Comunque, il danno erariale sarebbe già stato risarcito, avendo l’ASL, tramite la sanzione disciplinare della decurtazione del 20% dello stipendio per cinque mesi, incassato circa € 3.000,00.

Ha chiesto, pertanto, il rigetto della domanda attorea in quanto infondata e, comunque, per la prescrizione, con il rimborso delle spese di giudizio.

All’odierna udienza di discussione la Procura Regionale ha insistito per l’accoglimento integrale della domanda precisando, in replica alle difese di parte convenuta, che la voce di danno di € 12.000,00 in aggiunta al danno patrimoniale diretto, è a titolo di danno da disservizio e non di danno all’immagine.

La causa è stata, quindi, trattenuta in decisione.

1.Il Collegio è chiamato a decidere in merito alla presunta responsabilità del dott. P. G. S., medico di medicina generale in regime di convenzione con l’Azienda USL T. nord ovest, per il danno causato all’Amministrazione stessa dal convenuto per avere indebitamente percepito emolumenti per prestazioni mediche di particolare impegno (PPI), in realtà mai eseguite, nel periodo 1.1.2015-31.8.2016, e per essere venuto meno, con il suo comportamento illecito, al rapporto contrattuale in essere con l’Azienda sanitaria.

2. Preliminarmente occorre esaminare l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto il quale sostiene che i fatti sarebbero stati accertati nell’anno 2012 con la conseguenza che già alla data del 31.12.2017 sarebbe maturata la prescrizione. Produce, in proposito, copia del procedimento sanzionatorio del Collegio Arbitrale Medicina Generale del 12.7.2012. E’ facile osservare, tuttavia, che i fatti oggetto del presente giudizio sono diversi e successivi a quelli cui fa riferimento il P., in quanto la domanda attorea si riferisce a prestazioni (PPI) asseritamente eseguite dal convenuto dal 1.1.2015 al 31.8.2016, con la conseguenza che l’azione della Procura è stata esercitata entro il termine di prescrizione. L’eccezione è, quindi, infondata.

3. Sussiste pacificamente, nella specie, il rapporto di servizio tra il convenuto e l’Amministrazione. I medici di medicina generale che, ai sensi dell’art. 8 D.Lgs 502/1992, abbiano stipulato con il Servizio Sanitario Nazionale apposite convenzioni di durata triennale, conformi agli accordi collettivi nazionali, nell’ambito dell’attività prestata in regime di convenzionamento “sono tenuti all’osservanza di procedure amministrative di carattere pubblicistico finalizzate all’espletamento del predetto servizio, disponendo ed impegnando, con la loro attività, risorse sanitarie e finanziarie pubbliche e inserendosi, pertanto e in modo continuativo, nell’organizzazione strutturale, operativa e procedimentale dell’unità sanitaria locale, così da potersi configurare tra gli stessi e quest’ultima, un vero e proprio rapporto di servizio” (sez. Veneto, 18.2.2016; sez. II app. 20.12.2018 n. 695; sez. Toscana, 25.7.2018 n. 208).

4. Vi è anche la prova della condotta illecita e dell’elemento soggettivo del dolo. Per le prestazioni di particolare impegno professionale eseguibili dai medici di base, elencate in calce all’allegato D dell’Accordo collettivo nazionale 29.7.2009, in base all’Accordo stesso “al medico spettano compensi onnicomprensivi indicati nel nomenclatore-tariffario”. A tal fine è previsto che “Ai fini del pagamento dei compensi per le prestazioni aggiuntive il medico è tenuto ad inviare entro il giorno 15 di ciascun mese il riepilogo delle prestazioni eseguite nel corso del mese precedente. Per ciascuna prestazione, la distinta deve indicare data di effettuazione, nome, cognome, indirizzo e numero di codice regionale dell’assistito”. Dalle indagini eseguite dal Comando Carabinieri per la Tutela della Salute-NAS di L. è risultato che, nel periodo dal 1.1.2015 al 31.8.2016, il convenuto ha attestato falsamente di avere eseguito un notevole numero di prestazioni aggiuntive. La circostanza è emersa dalle dichiarazioni che un campione di n. 65 pazienti del medico, escussi a s.i.t., hanno rilasciato ai militari. Come risulta dai relativi verbali, gli assistiti hanno negato di avere ricevuto prestazioni elencate dal convenuto per un numero complessivo pari a 565.

Il convenuto ha sostenuto che le prestazioni erano vere ma che per l’imprecisione degli appunti contenuti nell’agenda del medico, nella quale venivano annotate le visite e le prestazioni aggiuntive, i dati inviati sarebbero stati semplicemente imprecisi, come riferito a s.i.t. dalla dott. T. S.. Tuttavia, le dichiarazioni della testimone si riferiscono al 2012 e, conseguentemente, non riguardano i fatti oggetto del presente giudizio che sono avvenuti successivamente.

L’elemento soggettivo è il dolo trattandosi di condotta intenzionalmente e consapevolmente volta alla violazione degli obblighi di servizio.

5. Quanto al danno, la domanda della Procura di risarcimento del danno patrimoniale diretto merita integrale accoglimento. I Carabinieri del N.A.S. hanno calcolato in complessivi € 3.862,32

il danno erariale causato per l’indebita percezione dei compensi relativi alle prestazioni non realmente eseguite. Il convenuto ha eccepito che parte dei pazienti hanno riconosciuto come veritiere le prestazioni e, conseguentemente, la Procura non avrebbe dovuto presumere che tutte le 565 prestazioni fossero false. L’eccezione è infondata in quanto il conteggio del danno non si basa su presunzioni, ma è stato calcolato dai Carabinieri N.A.S. prestazione per prestazione, tenendo conto non di tutte le prestazioni comunicate dal medico, e nemmeno di tutte le prestazioni riferite ai n. 65 pazienti escussi a campione, ma soltanto di quelle prestazioni che i pazienti hanno dichiarato di non avere ricevuto, come da verbali di s.i.t. prodotti.

Parimenti infondata è l’eccezione che il danno sarebbe venuto meno con il pagamento della sanzione della decurtazione del 20% dello stipendio per cinque mesi, per un totale di circa € 3.000,00, che l’ASL avrebbe inflitto al convenuto. In disparte la circostanza che il convenuto ha prodotto unicamente la deliberazione n. 7 del 12.7.2012 del Collegio Arbitrale di Medicina Generale che contiene la proposta di tale sanzione, ma non ha prodotto la documentazione contabile attestante l’effettivo pagamento della sanzione, si tratta, nuovamente, di vicende precedenti ed estranee, anche se analoghe, a quelle oggetto di giudizio.

6. La domanda di risarcimento del danno da disservizio è, invece, infondata per l’assenza della prova dell’elemento del danno erariale. La giurisprudenza contabile, costante e consolidata, anche di questa Sezione, afferma che il danno da disservizio “è da intendersi sia in termini di inadempimento contrattuale, quindi di lesione del rapporto sinallagmatico che lega il dipendente alla Pubblica Amministrazione, sia in termini dell’alterazione burocratica al cui buon andamento il dipendente stesso deve concorrere con il suo apporto lavorativo…il pregiudizio coincide con il maggior costo dell’attività amministrativa, ossia la perdita patrimoniale tangibile nelle casse dell’ente, in termini di somme inutilmente spese per conseguire gli obiettivi stabiliti ma non raggiunti o di spese sostenute per riorganizzare l’attività” (sez. Toscana, 22.5.2019 n. 214;sez. I app. 15.5.2019 n. 144; sez. Toscana, 24.5.2019 n. 216). Anche nel caso di commissione di reati non è possibile ipotizzare l’automatica sussistenza del danno da disservizio, essendo sempre necessaria la prova che la condotta illecita del dipendente ha causato un pregiudizio al corretto funzionamento dell’apparato pubblico “ad esempio in caso di mancato conseguimento della legalità, della efficienza, della efficacia, della economicità e della produttività dell’azione e della attività di una Pubblica Amministrazione, di dispendio di energie per la ricostruzione del corretto procedimento amministrativo, di costo sostenuto dall’amministrazione per accertare e contrastare gli effetti negativi sull’organizzazione delle strutture e degli uffici in conseguenza delle condotte di propri dipendenti, di costo affrontato per il ripristino della funzionalità dell’ufficio” (sez. II app., 15.5.2019 n. 144).

La Procura ha sostenuto che la condotta del convenuto avrebbe violato il sinallagma di cui al rapporto convenzionale con l’Amministrazione, minando il rapporto fiduciario che deve sussistere tra medico e paziente. Il servizio di assistenza ai pazienti non sarebbe stato reso, avendo il convenuto sfruttato gli assistiti introitando emolumenti per prestazioni non effettuate. E’, quindi, evidente, sulla base dei principi di cui sopra, che la domanda attorea non si può inquadrare nella fattispecie del danno da disservizio.

Parte attrice, infatti, non ha contestato, né tantomeno provato, che la condotta illecita del medico abbia inciso negativamente sull’attività dell’Amministrazione rendendo un servizio inefficiente, né che l’Amministrazione abbia sostenuto esborsi a causa della condotta del convenuto per ripristinare o riorganizzare alcunchè. Ne consegue che la domanda deve essere respinta).

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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