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Corte dei Conti – Sezione Lazio – Sent. N. 204/2020. Responsabilità medica e autonomia dei giudizi

La Corte dei Conti ha statuito che “l’accertamento dei fatti e della condotta del medico in sede di procedimento penale non può vincolare il giudice del processo civile chiamato alla diversa valutazione dei possibili danni arrecati al paziente dalla condotta del medico.” Ne Consegue che “il giudicato penale non preclude al giudice del risarcimento – e quindi anche nel giudizio di responsabilità contabile – di operare una diversa valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità, pur essendo precluso un nuovo accertamento con una diversa ricostruzione dei fatti come accertati dal giudice penale.”

1. La vicenda in esame prende avvio dalla trasmissione alla Procura regionale, da parte della AUSL di L., della sentenza n.786/2009 del Tribunale di L., Sezione di G., confermata in appello, con cui detta AUSL è stata condannata al risarcimento del danno conseguente al decesso della sig.ra E.F., avvenuto nel maggio del 2002 nell’Ospedale “D. S.” di F. in cui la de cuius era ricoverata. L’AUSL di L. ha provveduto al pagamento, in favore degli eredi della de cuius, della somma di €. 332.107,40, comprensiva degli interessi maturati e spese legali.

1.1. Previa emissione di rituale invito a dedurre, e non ritenendo esaustive le controdeduzioni presentate e le dichiarazioni rese in sede di audizione, la Procura regionale, con atto di citazione del 20 maggio 2019, ritualmente notificato, ha convenuto in giudizio i dottori C. B. e G. C., per sentirli condannare al pagamento, in favore dell’erario pubblico, della somma di €. 120.000,00 (euro centoventimila/00), da addebitare e ripartire tra i predetti, per la quota di €. 60.000,00 ciascuno, ovvero della diversa somma che sarà determinata dal Collegio giudicante, oltre interessi, rivalutazione e spese di giudizio.

1.2. La Procura attrice adduce che l’evento dannoso sia addebitabile alle condotte negligenti e imperite dei medici dell’ospedale, tra i quali gli odierni convenuti dottori C. B. e G. C., i quali avrebbero omesso i necessari accertamenti diagnostici con conseguente aggravamento e successivo decesso della sig.ra F.

2. Si è costituito in giudizio il convenuto C. B., difeso dall’Avv. M. M. C., il quale contesta la ricostruzione della vicenda fatta in citazione dalla Procura attrice e assume la totale assenza di responsabilità del suo assistito, anche sulla base delle risultanze dell’allegata perizia medico-legale di parte, a firma del Dott. G. D. C.. Adduce inoltre che sussiste la responsabilità per l’accaduto del datore di lavoro – la AUSL di F., ora di L., che non avrebbe affatto garantito i suoi dipendenti, omettendo di difendere se stessa e i dipendenti coinvolti nel giudizio civile di danno e risarcendo completamente gli eredi della de cuius. Inoltre, la ASL sarebbe responsabile per non avere azionato le polizze assicurative, com’era suo obbligo. Conclude chiedendo il rigetto della domanda attrice poiché infondata in fatto ed in diritto.

3. E’ rimasto contumace il convenuto C..

4. Ha spiegato intervento adesivo dipendente la AUSL di L., con il patrocinio dell’avv. M. V., il quale si riporta all’atto di citazione aderendo alle conclusioni ivi rassegnate.

5. All’odierna pubblica udienza, il P.M. richiama l’atto di citazione, ripercorre la vicenda che portato al decesso della sig.ra F. e chiede la condanna dei convenuti.

L’avv. M. C., per il convenuto B., precisa che si tratta di un risarcimento non definito nel suo preciso ammontare in quanto il suo assistito è parte nel giudizio civile pendente innanzi al Tribunale di C., promosso dagli eredi della defunta F.E., in danno anche di C. G. e della Asl di L.. Precisa ancora che quest’ultima, quale datore di lavoro, è stata chiamata a garantire e manlevare il convenuto per ogni eventuale e futuro esborso, ed in quanto responsabile, al tempo stesso, di non aver azionato le polizze all’epoca esistenti a copertura dei rischi sanitari.

La Difesa chiede quindi la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio civile, o per lo meno un rinvio della discussione assumendo che solo all’esito di detto processo potrà farsi chiarezza su ogni questione sollevata in questa sede.

La causa viene, quindi, posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

6 La vicenda all’esame attiene, come esposto in narrativa, al risarcimento del danno indiretto da malpractice medica, conseguente al pagamento, da parte dell’AUSL di L., della somma di € 332.107,40 in favore degli eredi della sig.ra F., deceduta per omissioni ed errori diagnostici commessi, tra gli altri, dai due medici dell’Ospedale di F. convenuti innanzi a questa Sezione.

7. In limine litis, deve essere dichiarata la contumacia del convenuto G. C., il quale non si è costituito in giudizio nonostante la regolare notifica dell’atto di citazione.

8. Va preliminarmente rigettata, in quanto infondata, l’istanza di sospensione del giudizio, presentata in udienza dalla Difesa del convenuto B..

Ritiene il Collegio che possa trovare applicazione, nella fattispecie per cui è causa, l’indirizzo consolidatosi in seno alla giurisprudenza contabile che afferma l’autonomia dei giudizi e l’assenza di “pregiudizialità penale” (v. ex multis, Corte Conti, Sez. I App., n.195/2010). In particolare, è stata costantemente evidenziata la piena indipendenza del giudizio contabile rispetto al giudizio civile, penale o amministrativo, con la conseguenza che l’assenza di qualsiasi nesso di pregiudizialità giuridica tra detti giudizi rende, di norma, inapplicabile al processo contabile l’istituto della sospensione ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione dei giudizi che si svolgono in altre sedi (cfr., ex multis, SS.RR., ord. 1/2012; Sez. Giur. Basilicata, sentt. n. 124 del 2012 e n. 61 del 2013; Sez. Giur. Sardegna, sent. n. 869 del 2007; Sez. II d’Appello, sent. n. 195 del 2002; Sez. III d’Appello, sent. n. 192 del 2002; Sez. Giur. Veneto, sent. n. 176 del 2015).

Nel caso di specie, non appare neppure praticabile la sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., in presenza di una condanna penale definitiva che ha accertato la responsabilità penale degli odierni convenuti. Tanto meno si appalesa applicabile, secondo il Collegio, la previsione di cui all’art. 106 del C.G.C., che presuppone la pendenza di simultanei processi tra i quali intercorra un “vincolo di consequenzialità”, atteso che sui fatti materiali oggetto del presente giudizio di responsabilità amministrativo contabile si è già formato un giudicato penale.

9. In assenza di ulteriori istanze ed eccezioni, va esaminato il merito della domanda, che è fondata solo in parte per le considerazioni che seguono.

9.1. Ritiene il Collegio di poter trarre, dagli atti del succitato processo penale versati nel fascicolo di causa, sicuri elementi di prova della fondatezza della domanda di condanna limitatamente al convenuto B., nei confronti del quale ricorrono, nella fattispecie per cui è causa, tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativo-contabile del predetto convenuto: la condotta antigiuridica, il danno erariale, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento dannoso, l’elemento soggettivo della colpa grave.

9.2. Merita di essere qui richiamato il costante indirizzo giurisprudenziale –dal quale non vi è motivo di discostarsi- secondo il quale le risultanze documentali e gli elementi di prova assunti al fascicolo processuale e provenienti dagli atti di altri procedimenti -nel caso di specie, dal procedimento penale sopra indicato- possono essere utilizzati, come prove atipiche, in altro giudizio, ai fini del libero convincimento del giudice (v. ex multis, Cass. Civ., Sez. II, sent. 19 settembre 2000, n. 12422; Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 17.5.2012, n. 2847). Anche di recente, la Suprema Corte (Cass. Sez. III, sent. 2 aprile 2014, n. 7698) ha statuito che “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche le prove raccolte in un diverso giudizio tra le stesse parti o tra altre parti, delle quali la sentenza che in detto giudizio sia stata pronunciata costituisce documentazione. Utilizza anche i documenti in quella sede acquisiti e, liberamente apprezzandoli nell’ambito della formazione del proprio libero convincimento”.

9.3. Nel caso di specie, in presenza di un giudicato penale di condanna degli odierni convenuti, deve essere indagata la portata del vincolo derivante a questo giudicante dall’art. 651 c.p.p., che dispone testualmente: “la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato e del responsabile civile che sia stato citato ovvero sia intervenuto nel processo penale”.

A tale riguardo, la Suprema Corte (nella sentenza n. 15392/2018) ha affermato: “Secondo costante insegnamento, per “fatto” accertato dal giudice penale deve intendersi il nucleo oggettivo del reato nella sua materialità fenomenica costituita dall’accadimento oggettivo, accertato dal giudice penale, configurato dalla condotta, evento e nesso di causalità materiale tra l’una e l’altro (fatto principale) e le circostanze di tempo, luogo e modi di svolgimento di esso. Ne consegue che, mentre nessuna efficacia vincolante esplica nel giudizio civile il giudizio penale – e cioè l’apprezzamento e la valutazione di tali elementi – la ricostruzione storico-dinamica di essi è invece preclusiva di un nuovo accertamento da parte del giudice civile, che non può procedere ad una diversa ed autonoma ricostruzione dell’episodio. Altresì rimesso all’accertamento ed alla valutazione del giudice civile è l’elemento soggettivo del fatto, escluso dalla nozione obbiettiva di esso, e non comprensibile nella nozione di “illiceità penale” di cui all’art. 651 cod. proc. pen.”.

9.4. Pronunciandosi su un caso di responsabilità sanitaria, la Corte di Cassazione, in una recente decisione (Sez. III Civ., sent. n. 22520 del 10 settembre 2019) ha statuito che l’accertamento dei fatti e della condotta del medico in sede di procedimento penale non può vincolare il giudice del processo civile chiamato alla diversa valutazione dei possibili danni arrecati al paziente dalla condotta del medico. Ciò sull’assunto che mentre la tutela giurisdizionale civile garantisce una reazione alla violazione dei diritti della persona, il processo penale non solo persegue l’obiettivo di applicare la legge penale alla fattispecie concreta, ma «riveste una ben più ampia funzione politico-assiologica di tutela di tutti i valori e gli interessi in gioco, a partire dai diritti fondamentali dell’imputato».

Consegue da quanto sopra osservato che il giudicato penale non preclude al giudice del risarcimento –e quindi anche nel giudizio di responsabilità contabile- di operare una diversa valutazione dell’elemento soggettivo della responsabilità, pur essendo precluso un nuovo accertamento con una diversa ricostruzione dei fatti come accertati dal giudice penale.

10. Si riassumono i fatti accertati in sede penale.

i) In data 29 aprile 2002, la sig.ra E.F., dopo essere stata visitata al Pronto soccorso, viene ricoverata nel reparto di Medicina dell’Ospedale “D. S.” di F.. Dalla cartella clinica si evince che i sanitari del nosocomio (tra i quali il primario, dott. A. e il dott. C. B.), a fronte di continui episodi di vomito e di forti dolori addominali accusati dalla degente (la stessa e i suoi familiari riferivano da circa un mese epigastralgie saltuarie accompagnate talora da vomito e pirosi gastrica), effettuavano una diagnosi di “sindrome dispeptico dolorosa”, prescrivevano un’ecografia addome (la cui esecuzione era programmata per il giorno ventiquattro successivo, e comunque dopo le dimissioni dall’ospedale) e facevano eseguire in data 29 e 30 aprile un esame rx del torace, una EGDS e due emocromi;

ii) In data 4 maggio 2002, pur accertando il dott. B. (come da cartella clinica) la presenza di “vomito biliare persistente; dolenzia addominale diffusa”, veniva instaurata terapia farmacologica senza richiedere alcun esame strumentale;

iii) Alle ore 22,00 del 5 maggio, la paziente lamentava forti dolori addominali. Il medico di turno, il dott. G. C., riscontrando alla visita un addome teso non trattabile, richiedeva consulenza chirurgica che veniva effettuata alle ore 0,10 dal Dott. M., il quale, dopo avere riscontrato “addome trattabile, dolente alla palpazione soprattutto al fianco sx e alla fossa iliaca sx; peristalsi presente”, diagnosticava “E.R. fecaloma in ampolla rettale” e prescriveva clistere evacuativo e ulteriore controllo al persistere del problema;

iv) A distanza di poco più di un’ora dalla visita del chirurgo, e precisamente alle ore 1,30 del 6 maggio 2002, la signora F. decedeva.

10.1. I consulenti tecnici nominati dal GIP hanno evidenziato:

– che il riscontro autoptico eseguito dal consulente tecnico nominato dalla Procura della Repubblica di L. (CTPM) dimostra con criterio di certezza che nel caso di specie si è trattato di un volvolo intestinale;

– che il quadro clinico descritto –pur nella carenza di dati di laboratorio e di diagnostica per immagini- appare singolarmente concordante con quanto descritto dai familiari della F. negli atti messi a disposizione dei periti (la paziente accusava forti dolori allo stomaco, vomito continuo, impossibilità di defecare da 7-8 giorni, non riusciva a mangiare ed a bere in quanto vomitava tutto ciò che ingeriva, appariva disidratata, urinava poco);

– che un vomito persistente avrebbe dovuto, ancor più se in presenza di una terapia idratante per via parenterale, fare sospettare una “inspissatio sanguinis”, ovvero il processo di disidratazione che porterà a morte la paziente;

– che il quadro anatomopatologico evidenziato al tavolo settorio appare caratterizzato non già da una perforazione dell’ansa intestinale – con secondaria peritonite e shock settico – ma da un’ischemia con infarto emorragico che ha comportato un progressivo squilibrio idroelettrolitico con scompenso cardiaco terminale.

I periti hanno altresì evidenziato che, a fronte di una sintomatologia perdurante (vomito persistente da giorni, forte disidratazione), nonostante la terapia posta in essere, “la condotta diagnostica dei medici che ebbero in cura la F. appare estremamente deficitaria. Infatti, dopo l’esecuzione della EGDS che aveva escluso l’origine gastrica ed esofagea della sintomatologia addominale, i sanitari avrebbero dovuto, in considerazione della persistenza del vomito, richiedere dei controlli costanti dell’emocromo un esame rx dell’addome ed una consulenza chirurgica tempestiva non limitata al penultimo giorno prima del decesso.

10.2. Il GIP, sulla base dei risultati dell’esame autoptico e degli approfondimenti medico-legali eseguiti dai consulenti tecnici d’ufficio, ha accertato:

a) che la morte della sig.ra F. è stata causata da una acuta insufficienza cardio-respiratoria conseguente allo shock ipovolemico a sua volta conseguente alla occlusione intestinale prodottasi a seguito del volvolo, sviluppatosi in una ernia interna;

b) che la paziente è deceduta per uno squilibrio idro-elettrolitico gravissimo, che è stato lasciato evolvere sino alle estreme conseguenze, senza che venisse posta una diagnosi e impostata una terapia corretta;

c) che, fatta la diagnosi e avviato un trattamento corretto anche poche ore prima dell’exitus, il processo patologico sarebbe stato interrotto e sarebbe stato possibile portare la paziente all’intervento chirurgico di resezione intestinale ed alla guarigione;

d) che nella condotta dei sanitari che hanno avuto in cura la F., globalmente considerati nell’ambito della Divisione di Medicina Donne dell’ospedale di F., è possibile riscontrare elementi difformi dalle doverose regole dell’arte medica in tema di diagnostica differenziale del dolore addominale accompagnato da vomito;

e) che i medici che hanno avuto in cura la F. dal momento del ricovero (29/4) a quello del decesso (5/5) “non hanno adeguatamente indagato la causa della sintomatologia presentata dalla paziente, omettendo di effettuare i semplici e comuni accertamenti che avrebbero condotto alla corretta diagnosi, questa omissione diviene particolarmente evidente a partire dal 3 maggio 2002. In questa data è stato infatti eseguito l’unico esame diagnostico strumentale finalizzato all’identificazione della causa della sintomatologia presentata dalla F. -ovvero la EGDS- che peraltro non è risultata indicativa di una patologia in grado di spiegare in maniera compiuta il quadro sintomatologico presentato dalla F.”;

f) che “l’atteggiamento dei curanti (e precisamente A., B. e C.) avrebbe dovuto richiedere, a priori, una maggiore diligenza e prudenza che doveva sostanziarsi in un attento monitoraggio dei parametri ematologici e nell’esecuzione di una radiografia diretta dell’addome, esami che – nella valutazione di natura deduttiva a posteriori basata sul reperto macroscopico addominale evidenziato al tavolo settorio e sulle conoscenze scientifiche in tema di ‘storia naturale’ del volvolo intestinale – avrebbero consentito di evidenziare, con criterio di elevata probabilità scientifica, lo squilibrio idro- elettrolitico e la presenza di livelli idroaerei elementi utili e sufficienti per porre la corretta diagnosi e la tempestiva terapia sia medica che chirurgica.”.

10.3. Sulla base di tali risultanze, nonché delle acquisizioni testimoniali dei familiari della de cuius e degli operatori sanitari che a vario titolo sono intervenuti nella vicenda, il giudice penale ha fondato il convincimento che la responsabilità determinante del decesso della sig.ra F. fosse riconducibile alla condotta negligente ed imperita dei dottori B. e C., i quali si erano avvicendati nella cura e assistenza della F. (assumendo al riguardo una specifica posizione di garanzia della salute della paziente) nel breve periodo di degenza presso l’ospedale di F..

11. Ritiene il Collegio che non sussistono elementi per mettere in discussione, in questa sede, la responsabilità del dott. B., apparendo incontrovertibili gli elementi di prova, assunti nel processo penale, di una condotta caratterizzata da grave imperizia e negligenza, in considerazione delle ampie ed argomentate motivazioni esplicitate dai periti d’ufficio -che qui si intendono integralmente richiamate- e che non appaiono superabili dalle opposte considerazioni medico legali formulate nel processo dai consulenti tecnici di parte.

Invero, è emerso dagli atti di causa che il dott. B. ha visitato più volte la sig.ra F., concorrendo insieme ad altri sanitari del reparto (in primis, il primario dott. A.) a formulare una diagnosi e ad impostare una terapia che, alla luce della rapida ed infausta evoluzione della malattia, i periti hanno considerato “difformi dalle doverose regole dell’arte medica in tema di diagnostica differenziale del dolore addominale accompagnato da vomito”, per non avere correttamente valutato gli specifici sintomi (dolore addominale diffuso, impossibilità a defecare) dell’occlusione intestinale, lamentati dalla paziente, né nella fase iniziale della degenza (29 aprile 2002) né nei giorni successivi fino al decesso, verificatosi nella notte tra il 5 e il 6 maggio 2002.

12. Ad opposte conclusioni deve pervenirsi invece riguardo al convenuto C..

Il consulente tecnico (dott. A. C.) nominato nella fase pre-processuale dalla Procura regionale, nella relazione del 20 maggio 2019, dopo avere sostanzialmente confermato la ricostruzione dei fatti e le valutazioni espresse dai periti d’ufficio nominati dal GIP, ha ritenuto che “la condotta dei sanitari dell’Ospedale D. S. di F. sia stata caratterizzata da imperizia e negligenza ove si consideri che gli stessi hanno fatto eseguire, nel corso della degenza, solo un esame rx del torace, una EGDS e …. due emocromi in data 29 e 30 aprile.

Infatti, dopo l’esecuzione della EGDS che aveva escluso l’origine gastrica ed esofagea della sintomatologia addominale, i sanitari avrebbero dovuto, in considerazione della persistenza del vomito, richiedere dei controlli costanti dell’emocromo un esame rx dell’addome ed una consulenza chirurgica tempestiva non limitata al penultimo giorno prima del decesso”.

Relativamente al dott. C., il consulente della Procura si è così espresso: “Non si ravvede come si possa ritenere la condotta del dott. C. particolarmente censurabile avendo lo stesso riconosciuto la gravità del quadro la sera del 5/5 per cui ha richiesto subito la consulenza chirurgica che è stata eseguita tre ore dopo la richiesta e, nel corso della quale, non è stata riconosciuta l’importanza del quadro clinico avendo il chirurgo, dott. M., fatto diagnosi di fecaloma, rimosso per via medica, e prescritto una osservazione costante, senza richiedere né un esame rx dell’addome, né un’ecografia addominale, né esami ematochimici appropriati.

Ha quindi rassegnato le seguenti conclusioni:

“- la signora F.E. è deceduta per shock ipovolemico conseguente ad occlusione intestinale;

– la condotta dei sanitari dell’Ospedale “Dono Svizzero” di F., globalmente considerati nell’ambito della Divisione Medicina Donne dell’Ospedale di F.e nello specifico i sanitari tutti che hanno assistito la de cuius dal momento del ricovero (29/4/2002) al momento del decesso (5/5/2002) è da considerare connotata da imperizia e negligenza.

Tale imperizia e negligenza è da ascrivere anche al Primario del Reparto che, certamente, nel corso del ricovero di una settimana deve avere necessariamente visitato la F. o, quantomeno, preso visione della cartella della stessa, e del Chirurgo che, a poche ore dal decesso, si è limitato a consigliare un controllo della paziente senza prescrivere accertamenti specifici.”.

13. Alla stregua della citata relazione tecnica, ben argomentata e motivata ed immune da vizi logici, ritiene il Collegio che la condotta tenuta dal dott. C. non sia affatto connotata da grave negligenza e imperizia, contrariamente a quanto ritenuto dai periti d’ufficio nominati dal GIP. Risulta infatti acclarato (anche in base alle testimonianze dei familiari della de cuius) che il dott. C. ha visitato la sig.ra F. alle ore 21,30 del 5 maggio e, rendendosi conto della gravità della situazione, ha rapidamente approntato una terapia farmacologia e tempestivamente richiesto il consulto del chirurgo (dott. M.), il cui intervento, effettuato dopo oltre due ore (ore 0,10), si è tuttavia rivelato inutile per il rapido sopraggiungere del decesso della paziente (ore 1,30), e cioè a distanza di poche ore dalla visita effettuata dal dott. C..

Deve essere pertanto rigettata la domanda proposta nei confronti del convenuto G. C. per mancanza di colpa grave. Non si fa luogo ad alcuna pronuncia sulle spese poiché detto convenuto non si è costituito in giudizio.

14. Deve essere, invece, integralmente accolta la domanda proposta nei confronti del convenuto C. B., che va quindi condannato a risarcire la somma di € 60.000 (euro sessantamila/00), come quantificata dalla Procura regionale in misura ridotta rispetto all’ammontare complessivo del danno erariale accertato, in considerazione del fattivo concorso di altri sanitari nella causazione del decesso della sig.ra F., e quindi nella produzione del danno per cui è causa.

A tale somma, comprensiva di rivalutazione monetaria, vanno aggiunti gli interessi legali dalla data della presente pronuncia fino al soddisfo, ai sensi dell’art. 1282, 1° comma, c.c.

15. Le spese di sentenza, da liquidarsi con nota a margine a cura della Segreteria (ai sensi dell’art. 31, comma 4, C.G.C.), seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del convenuto condannato.

P.Q.M.

La Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la regione Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione disattese:

DICHIARA

la contumacia del convenuto C. G.;

RIGETTA

la domanda in epigrafe proposta dalla Procura regionale nei confronti del sig. C. G. e, per l’effetto, lo assolve da ogni addebito. Nulla per le spese;

ACCOGLIE

la domanda proposta nei confronti del sig. B. C. e, per l’effetto, lo condanna al pagamento, in favore del pubblico erario, della somma di €. 60.000,00 (euro sessantamila/00), comprensiva di rivalutazione, oltre agli interessi legali dalla data della presente pronuncia fino al soddisfo.

Condanna il convenuto condannato al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in € 396,92 (trecentonovantasei/92).

Manda alla Segreteria per le comunicazioni di rito.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 24 ottobre 2019.

L’Estensore Il Presidente f.f.

F.to Antonio Di Stazio F.to Anna Bombino

Depositata in Segreteria il 27 maggio 2020

Autore: Anna Macchione - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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