CORTE DI CASSAZIONE CIVILE – Responsabilità medica: esame endoscopico e inadempimento del medico in merito al consenso informato. La violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente può causare un danno alla salute nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente (sentenza nr. 20547/14).
FATTO: Con atto notificato nel 1999, O.E., A., G., Gi., rispettivamente marito e figli di M.O., convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Brescia, l’Azienda Ospedaliera di Desenzano del (OMISSIS) nonché il medico P. W., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni quantificati in L. 1.967.000.000, ovvero nella diversa somma di giustizia, oltre interessi e rivalutazione. Deducevano gli attori che nel marzo del 1998 la M. era stata sottoposta ad un esame endoscopico, non necessario e senza consenso informato, da parte del Dott. P., a seguito del quale si era verificata un’ampia lacerazione del duodeno che aveva reso necessario un successivo intervento di suturazione; dopo qualche giorno era sopravvenuta la morte della paziente; nella specie era configurabile una responsabilità professionale, dovuta ad imperizia, da parte del medico e del personale sanitario dell’ente convenuto.
DIRITTO: In tema di consenso informato la Corte Suprema di Cassazione ha affermato che la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in se stesso, il quale sussiste quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute (Cass. 16 maggio 2013, n. 11950; v.anche Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847). Inoltre la Corte di Cassazione ha evidenziato che la difettosa tenuta della cartella clinica naturalmente non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e la morte, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla, ma consente anzi il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova ed al rilievo che assume a tal fine la "vicinanza alla prova", e cioè la effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla (Cass. 21 luglio 2003, n. 11316).