Corte di Cassazione Ord., 25/07/2023, n. 22399 – Medici convenzionati

Con sentenza n. 31 del 2018, la Corte d’appello di Firenze, confermando la decisione assunta dal Tribunale di Siena, rigettava il gravame proposto dall’Azienda USL e dichiarava non dovuta dai lavoratori appellati – tutti medici di medicina generale convenzionati con il SSN presso la medesima Azienda – la restituzione degli importi che la stessa USL, invece, aveva affermato essere stati loro indebitamente corrisposti tra il 2001 e il 2011; quindi, condannava l’Azienda sanitaria a restituire ai medici gli stessi importi, già trattenuti sulle rispettive competenze mensili dal marzo 2013.

Viene affermato il principio secondo cui grava su chi invoca la ripetizione dell’indebito, ancorché sia convenuto in giudizio e non attore, l’onere di dimostrare non solo l’esecuzione del pagamento, ma anche la mancanza di una causa che lo giustifichi, con l’ulteriore specificazione che tale prova può essere fornita dimostrando l’esistenza di un fatto negativo contrario, o anche mediante presunzioni.

Invero, nel caso di specie, il piano processuale rende un’immagine capovolta della corrispondente situazione sostanziale, dove il datore di lavoro, sulla base di accertamenti da lui stesso effettuati e a distanza di anni dall’adempimento dell’obbligo retributivo, è già di fatto pervenuto ad una ripetizione dell’indebito mediante la trattenuta mensile di una parte dello stipendio dei lavoratori. Dunque, è solo a seguito di una, “ripetizione sostanziale dell’indebito”, che i medici agiscono in giudizio, vedendo mutare la propria posizione da soggetti passivi delle ritenute stipendiali ad attori nell’azione di accertamento negativo di un indebito oggettivo.

Secondo la Suprema Corte, dunque, l’onere di provare il carattere indebito delle somme non poteva che gravare sull’Azienda USL che aveva un vero e proprio obbligo negoziale (ex D.P.R. n. 270 del 2000, art. 30 e delle disposizioni dei successivi ACN del 23.3.2005 e del 27.05.2009 che, per quanto qui rileva, sono sostanzialmente riproduttive delle norme di cui al D.P.R. n.) di verificare la correttezza degli elenchi nominativi degli assistiti e la congruenza con le somme liquidate mensilmente ai medici ai sensi dell’art. 15 ter e D.P.R. n. 270 del 2000, 45 e degli artt. 8, 43, 44 e 59 dei successivi ACN del 23.3.2005 e del 27.5.2009, tanto più che gli elenchi inviati dall’appellante ai ricorrenti (nella parte che qui rileva ovvero con riferimento alla quota fissa e capitaria) erano pienamente corrispondenti alle somme loro liquidate mensilmente, retribuzione conseguente alla loro (non contestata) qualifica di medici di medicina generale a convenzione.

In altri termini, non essendo il medico ad avere la disponibilità degli elenchi ed essendo svolte dall’Azienda le stesse operazioni di aggiornamento dell’elenco degli assistiti rispetto alla scelta e alla revoca, per ogni credito derivante da verifiche sopravvenute relative ai suddetti elenchi la prova non può che ricadere sull’amministrazione che ha posto in essere la procedura di recupero.

 

 

Autore: Chiara di Lorenzo - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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