La Suprema Corte ha affermato che il danno non patrimoniale subito dal soggetto che, a causa di una tardiva diagnosi di una grave malattia, muore senza poter scegliere come autodeterminarsi sul suo fine vita, si quantifica mediante il criterio equitativo. In particolare, la liquidazione equitativa di cui all’art 1226 c.c. è rimessa al giudice quando è impossibile determinare l’ammontare del risarcimento o quando la sua determinazione risulti particolarmente difficoltosa. Infatti, quando per tali motivi non trovino applicazione le tabelle nella valutazione del danno derivante dalla violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta del proprio percorso esistenziale, causato dal colposo ritardo diagnostico della patologia ad esito infausto, occorre che il giudice effettui una quantificazione equitativa del danno tenendo conto di tutte le circostanze specifiche del caso concreto, come l’età del paziente, il ritardo intercorso tra il primo accertamento, la diagnosi della malattia e il successivo decesso, le condizioni generali del paziente risultanti dalla documentazione medica.
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