CORTE DI CASSAZIONE PENALE – Colpa medica: linfoma scambiato per ansia. Il medico non può invocare come esimente il rifiuto delle cure da parte del paziente deceduto (sentenza nr. 17801/14).
FATTO: La —- era deceduta a causa di un linfoma di Hodgkin giunto ad uno stadio assai avanzato, che non era mai stato diagnosticato dal —-, medico curante della medesima, nonostante le visite mediche da questi eseguite il 28 maggio, il 15 novembre 2008 ed il 14 gennaio 2009, nel corso delle quali la patologia era stata riconoscibile, sia in ragione dell’esito offerto dai mezzi diagnostici qualora attivati, sia per i presenti segni fisici esteriori della malattia, se correttamente rilevati. Per contro, solo in occasione della prima visita il —- aveva prescritto una radiografia del torace, peraltro indicata come da compiersi successivamente; mentre nel complesso egli si era orientato per l’origine psicologica dei disturbi lamentati dalla paziente. Pertanto, al —- era stato attribuito di non aver diagnosticato la malattia, che qualora tempestivamente accertata avrebbe potuto essere contrastata adeguatamente, sino alla sua risoluzione. Una particolare attenzione è stata portata dai giudici territoriali alla tesi difensiva del rifiuto delle cure da parte della —; tesi per la quale nelle ultime settimane di vita la donna avrebbe volontariamente evitato qualunque terapia. La Corte di Appello ha ritenuto infondata la prospettazione, giudicando che dalle diverse testimonianze acquisite al processo, consonanti alla documentazione disponibile, emerge che la —- aveva appreso dal — che le proprie condizioni di salute non avevano base organica e “confidava nella sostanziale esattezza della valutazione del dott. — e riteneva inutile andare da altri specialisti”.
DIRITTO: La Cassazione civile, nel prendere in esame il diritto del paziente di rifiutare le cure mediche che gli vengono somministrate, anche quando tale rifiuto possa causarne la morte, ha precisato che il dissenso alle cure mediche, per essere valido ed esonerare così il medico dal potere-dovere di intervenire, deve essere espresso, inequivoco ed attuale. Nella specie si è quindi giudicato non sufficiente una generica manifestazione di dissenso formulata “ex ante” ed in un momento in cui il paziente non era in pericolo di vita, essendo necessario che il dissenso sia manifestato ex post, ovvero dopo che il paziente sia stato pienamente informato sulla gravità della propria situazione e sui rischi derivanti dal rifiuto delle cure (Sez. 3, Sentenza n. 23676 del 15/09/2008, Rv. 604907; nel senso che il rifiuto delle cure deve essere espresso, libero e consapevole anche Cass. pen. Sez. 1, n. 26446 del 29/05/2002 – dep. 11/07/2002, PG in proc. Volterrani, Rv. 222581).Il principio così posto merita senz’altro di essere condiviso, ed anzi riformulato ai fini che qui occupano nel modo che segue: “in tema di colpa medica, il ‘rifiuto di cure mediche’ consiste nel consapevole e volontario comportamento del paziente, il quale manifesti in forma espressa, senza possibilità di fraintendimenti, la deliberata ed informata scelta di sottrarsi al trattamento medico. Consapevolezza che può ritenersi sussistente solo ove le sue condizioni di salute gli siano state rappresentate per quel che effettivamente sono, quanto meno sotto il profilo della loro gravità”.