Responsabilità medica – La Corte di Cassazione ha affermato che non risponde del reato di omissione di atti di ufficio il dirigente medico che si era rifiutato di proseguire l’intervento – da lui iniziato in assenza del secondo chirurgo – che pacificamente richiedeva, vieppiù in considerazione delle concrete indiscusse condizioni fisiche della paziente (“paziente a rischio per obesità”), tale partecipazione, non intervenuta tempestivamente neanche dopo l’inizio dell’intervento. La sentenza impugnata addebitava al ricorrente l’impazienza nell’attesa del secondo operatore, affermando che egli aveva dato illecita prevalenza alle sue doglianze rispetto alle ragioni di salute della paziente da operare, esposta – invece – ai disagi di un successivo intervento. La Corte di Cassazione ritiene che l’argomentare dei Giudici di merito appena ricordato si pone irragionevolmente al di fuori dell’alveo di legittimità. Quanto alla natura indebita del rifiuto, i Giudici di merito – nel dare rilievo alle ragioni di salute della paziente – omettono del tutto di considerare che tra queste ragioni vi è quella primaria e assolutamente cogente di essere operata in condizioni di sicurezza. Ed arbitrario è l’addebito formulato a riguardo dai Giudici di merito al ricorrente di aver violato il dovere di attendere ancora l’intervento in sala operatoria del collega che, invece, secondo il protocollo operativo, doveva assicurare la sua presenza sin dall’inizio dell’intervento e che – da quanto risulta dalla stessa sentenza – dopo ancora venti minuti dal suo inizio, non si era presentato a prestare la sua dovuta collaborazione, essendo necessario evitare alla paziente una possibile emorragia.
FATTO E DIRITTO: Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce – sez. distaccata di Taranto, a seguito di gravame interposto dall’imputato G. D. avverso la sentenza emessa il 26.11.2015 dal locale Tribunale, in riforma della decisione – riconosciute le attenuanti generiche – ha rideterminato la pena inflitta al predetto riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 328 cod. pen. poiché, quale dirigente medico presso la Divisione di Chirurgia generale dell’Ospedale Civile” Omissis” di M., rifiutava indebitamente di portare a termine l’intervento chirurgico di safenectomia destra sulla paziente S. G., dopo aver già sottoposto la stessa alla prescritta procedura anestesiologica ed averle già praticato l’incisione cutanea e sottocutanea propedeutica all’asportazione della vena grande safena. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato che con atto del difensore deduce: Violazione dell’art. 522 cod. pen. essendo stato il ricorrente condannato – a fronte della sola contestazione di non aver concluso l’operazione – per la doppia contestazione di aver iniziato l’operazione e per non averla conclusa nelle medesime condizioni. Erronea applicazione dell’art. 328 cod. pen. in quanto nella imputazione non si contestava che l’atto di ufficio rifiutato doveva essere compiuto senza ritardo. In ordine a tale indefettibile requisito non risulta essersi effettuato alcun accertamento, peraltro, rispetto ad un intervento programmato e di natura elettiva. Mancanza della motivazione in relazione alla deduzione difensiva in ordine alla mancata esecuzione di alcun atto operativo relativo all’intervento vero e proprio ed alle dichiarazioni dell’imputato secondo le quali egli decideva di non proseguire nell’intervento in quanto si poteva essere al limite della copertura anestetica ed un dolore così intenso quale è quello che si prova intervenendo su una vena, può provocare in soggetto cardiopatico anche il decesso. Non è stato verificato dai Giudici di merito se si potesse, considerando le possibili complicanze di una operazione su persona ipertesa, obesa e cardiopatica, ritenere a priori sufficiente una copertura anestesiologica di circa 2/3 ore. Inoltre, la sentenza ha omesso di motivare in ordine alla consapevole volontà dell’imputato di violare i doveri impostigli rispetto ad un intervento non urgente e sicuramente differibile. Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del secondo e terzo motivo. Secondo la ricostruzione dei giudici di merito il ricorrente si è rifiutato di proseguire l’intervento – da lui iniziato in assenza del secondo chirurgo – che pacificamente richiedeva, vieppiù in considerazione delle concrete indiscusse condizioni fisiche della paziente (“paziente a rischio per obesità”), tale partecipazione, non intervenuta tempestivamente neanche dopo l’inizio dell’intervento. La sentenza, a riguardo del primo requisito, addebita al ricorrente l’impazienza nell’attesa del secondo operatore, affermando che egli ha dato illecita prevalenza alle sue doglianze rispetto alle ragioni di salute della paziente da operare, esposta – invece – ai disagi di un successivo intervento. Ritiene questo Collegio che l’argomentare dei Giudici di merito appena ricordato si pone irragionevolmente al di fuori dell’alveo di legittimità. Quanto alla natura indebita del rifiuto, i Giudici di merito – nel dare rilievo alle ragioni di salute della paziente – omettono del tutto di considerare che tra queste ragioni vi è quella primaria e assolutamente cogente di essere operata in condizioni di sicurezza. Ed arbitrario è l’addebito formulato a riguardo dai Giudici di merito al ricorrente di aver violato il dovere di attendere ancora l’intervento in sala operatoria del collega che, invece, secondo il protocollo operativo, doveva assicurare la sua presenza sin dall’inizio dell’intervento e che – da quanto risulta dalla stessa sentenza – dopo ancora venti minuti dal suo inizio, non si era presentato a prestare la sua dovuta collaborazione, essendo necessario evitare alla paziente una possibile emorragia. Inoltre, gli stessi Giudici affermano la “comprensibilità” delle doglianze del ricorrente e la non immotivatezza del suo comportamento, a loro stesso dire, per essere stato “abbandonato” in sala operatoria dai colleghi, ma relegano inopinatamente siffatto accertamento – sinteticamente ribadito indicando il “quadro poco edificante del reparto” – all’eccentrico tema delle circostanze generiche, laddove – invece – si tratta della causa che ha determinato la condotta del ricorrente, rilevante ai fini della valutazione circa la sua natura indebita. Nessuna considerazione, poi, si rinviene nella sentenza in ordine all’indifferibilità dell’atto rifiutato, della quale non v’è traccia alcuna persino nella stessa contestazione e rispetto alla incontestata natura elettiva dell’intervento chirurgico in ordine al quale nessuna urgenza è stata neanche prospettata e che, certamente, non si giustifica con il disagio della paziente per il successivo intervento. L’assenza di giustificazione in ordine ad entrambi gli elementi la cui sussistenza è necessaria alla integrazione dell’elemento oggettivo del reato in contestazione – non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di merito né versandosi in un emendabile vizio della motivazione – impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non sussiste).