La Suprema Corte ha affermato che non risponde del reato ex art. 328, comma 1, cod. pen. il medico di medicina generale per non aver effettuato la visita domiciliare urgente ad un suo assistito, affetto da Parkinson allo stadio avanzato, da problemi cardiaci e da una frattura vertebrale causata da una caduta accidentale. Si rileva quindi la differenza tra la figura professionale c.d. medico di guardia oggi normativamente definito “medico del servizio di continuità assistenziale” e il medico di medicina generale, in quanto al primo i vari accordi collettivi nazionali avvicendatisi nel tempo hanno finora assegnato un obbligo di pronta reperibilità che, invece, non è previsto per il medico di assistenza primaria. In altri termini il delitto di rifiuto di atti d’ufficio è integrato dalla condotta del sanitario in servizio di guardia medica che non aderisca alla richiesta di intervento domiciliare urgente nella persuasione “a priori” della falsità o enfatizzazione dei sintomi denunciati dal paziente, posto che l’esercizio del potere-dovere di valutare la necessità della visita sulla base della sintomatologia esposta, sicuramente spettante al professionista, è comunque sindacabile da parte del giudice al fine di accertare se esso non trasmodi nell’assunzione di deliberazioni ingiustificate ed arbitrarie, scollegate dai basilari elementi di ragionevolezza desumibili dal contesto storico del singolo episodio e dai protocolli sanitari applicabili.
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