La Suprema Corte ha affermato che nessun piano di rientro messo in campo dalle Regioni per contenere la spesa sanitaria, compresi i provvedimenti dei commissari ad acta, può tagliare le indennità di reperibilità domiciliare previste dagli accordi collettivi nazionali e integrativi in favore dei pediatri di libera scelta e dei medici di famiglia. La Cassazione precisa, infatti, che il rapporto convenzionale dei pediatri di libera scelta e dei medici di medicina generale con il SSN è disciplinato, quanto agli aspetti economici, dagli accordi collettivi nazionali ed integrativi, ai quali devono conformarsi, a pena di nullità, i contratti individuali come stabilito dalle normative del 1978 e del 1992. Ne consegue che tale disciplina non può essere derogata da quella speciale prevista per il rientro da disavanzi economici e che le sopravvenute esigenze di riduzione della spesa devono essere fatte valere nel rispetto delle procedure di negoziazione collettiva e degli ambiti di competenza dei diversi livelli di contrattazione. Pertanto, deve considerarsi illegittimo l’atto unilaterale di riduzione del compenso adottato dalla P.A., posto che il rapporto convenzionale si svolge su un piano di parità ed i comportamenti delle parti vanno valutati secondo i principi propri che regolano l’esercizio dell’autonomia privata.
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