La Cassazione ha affermato che “in tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, in base all’art. 2, quarto comma, cod. pen.: le argomentazioni della sentenza di merito devono indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza), appurare se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali”.
FATTO E DIRITTO 1. La Corte di Appello di B., con la sentenza in epigrafe, ha confermato la pronuncia di condanna emessa dal Gup del Tribunale di M., il 31.02.2018, all’esito di giudizio abbreviato (nei confronti di F. G., nella qualità di medico di medicina generale, convenzionato con il Servizio Sanitario Nazionale Azienda Asl M., cui si contesta l’omicidio colposo ai danni di D. D., portatore di familiarità con patologie cardiache, di cui conosceva la storia clinica, per colpa specifica consistita nell’omessa prescrizione di accertamenti e controlli strumentali e diagnostici (ECG / esami enzimatici) a fronte di un dolore interno all’altezza della spalla destra / lamentato nella visita del 25.03.2013 e in quella successiva del 29.03.2013, all’esito delle quali si limitava a prescrivere l’uso di antinfiammatori e antidolorifici, nonché per generica imprudenza, negligenza e imperizia, a causa delle quali, il 29.03.2013 si è verificata la morte del paziente per infarto del miocardio acuto in coronopatia arterosclerotica di grado severo e di ipertrofia miocardica, complicazioni sopravvenute in conseguenza della mancata e tempestiva diagnosi della patologia cardiaca. 2. Il fatto è stato ricostruito nelle fasi di merito come segue: Il F. dopo aver visitato il 25.03.2019 il D. che lamentava un forte dolore interno / all’altezza della spalla sinistra, altezza scapolare, gli aveva prescritto un antidolorifico riconducendo il dolore a un colpo di aria; successivamente/ il 29.03.2013/ alle 9,39 il paziente si era ripresentato in ambulatorio perchè il dolore persisteva ma il medico aveva confermato la diagnosi/ senza eseguire alcun controllo ulteriore e aveva prescritto un altro antidolorifico, pur sapendo che dal 2004 il D. aveva problemi di colesterolemia e ipertensione a causa dei quali si sottoponeva periodicamente a controlli specialistici cardiologici e esami specifici, che lo stesso F. gli prescriveva, e assumeva terapia dal 2009. Il D. decedeva il 29.03.2013, mentre nel primo pomeriggio, avendo lamentando un intenso dolore al petto, si stava recando al Pronto soccorso. 3. Il Tribunale ha ritenuto che l’evento fosse ascrivibile all’imputato in quanto, anche in presenza di una storia clinica di lunga data, relativa a rischi cardiovascolari, constatata dopo la prima visita l’inutilità degli antidolorifici, avrebbe dovuto prescrivere un ECG di urgenza che avrebbe consentito / attraverso la diagnosi differenziai di identificare la patologia coronarica e disporre anche accertamenti di laboratorio i giungendo ad una percentuale di sopravvivenza del 96,98%. La Corte di Appello ha sviluppato i profili della colpa e del nesso di causa, rimarcando quanto segue: la letteratura scientifica è concorde nel ritenere che, in presenza di un dolore toracico, la diagnosi sia spesso difficoltosa, per cui una corretta diagnosi deve essere formulata non solo sulla base della localizzazione, irradiazione e qualità del dolore ma anche tenendo conto del «comportamento» del dolore stesso (insorgenza, regressione, durata, frequenza, sintomi associati); la sintomatologia del tipo di quella lamentata determinava quanto meno una situazione di particolare attenzione e diligenza in relazione alla storia pregressa, alle sue patologie, al dolore presentato/ che non si attenuava con gli antidolorifici ( e che richiedeva la prescrizione al paziente dell’ Ecg d’urgenza, con invio al pronto soccorso per convalidare o meno una diagnosi differenziale ed alternativa di dolore anginoso. Ha ritenuto che il comportamento del F. sia qualificabile come colpa gravemente negligente e superficiale in violazione delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica ma anche del sapere comune diffuso. 4 G. F. ricorre per cassazione/censurando la sentenza impugnata con i seguenti motivi: I) per inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 40 cod. pen. in quanto la condotta colposa omissiva si è concretizzata nell’omessa prescrizione dell’ECG e quindi nel mancato inserimento della sindrome coronarica acuta tra le diagnosi differenziali. Deduce che al momento della visita mancavano i sintomi cardiologici di sofferenza anginosa premonitori di un accesso infartuale; i Giudici di merito omettono di indicare la legge scientifica in base alla quale i sintomi erano patognomici della patologia cardiaca che portò il paziente a morire d’infarto; II) vizio di motivazione; a tal riguardo riporta i motivi di appello e censura la sentenza impugnata in quanto manca di motivazione specifica soprattutto con riferimento alla circostanza dedotta che alle ore 8,45 del 29.03.2013 non era in atto alcun fatto ischemico infartuale e quindi non potevano essere presenti sintomi che imponevano al F. di attivarsi secondo la contestazione di cui al capo di accusa; III) vizio di motivazione in ordine alla sussistenza di nesso causale tra la mancata richiesta dell’ECG e la visita cardiologica urgente e la probabilità concreta di sopravvivenza; IV) vizio di motivazione e sussistenza della colpa lieve accertata dal perito con incidente probatorio rilevante ai sensi del decreto Balduzzi in considerazione della peculiarità del caso concreto e delle specifiche condizioni del paziente (richiama le conclusioni dello stesso perito di ufficio a pag. 27 e 28 che ha ricondotto l’errore di valutazione diagnostica nell’ambito della colpa lieve). 5. Il Procuratore generale in sede ha chiesto /con requisitoria scritta ai sensi dell’art. 23 comma 8 DL 28.10.2020 n.1371 dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. 5.1. In data 16.11.2020 sono pervenute le conclusioni scritte del difensore di fiducia di F. G., Avv. G. P., che ha richiesto l’accoglimento dei motivi di ricorso. Il ricorso è fondato nei termini che seguono. 2. I primi tre motivi, che possono essere trattati congiuntamente e che attengono al tema nesso di causalità, colgono nel segno. i 2.1. Al riguardo, la motivazione della sentenza impugnata è sicuramente carente ed illogica, oltre che non corretta in diritto, laddove si limita a definire gravemente colposo il comportamento del medico di base che, difronte a un paziente che lamentava anche a distanza di giorni dalla prima visita un dolore alla spalla, dolore che lo stesso perito di ufficio aveva definito aspecifico e non caratteristico (fol 8 sentenza impugnata), non aveva formulato una possibile diagnosi alternativa al dolore osteoarticolare ovvero non aveva qualificato quel dolore come anginoso e significativo di un problema cardiaco e quindi non aveva inviato il D. al Pronto soccorso per effettuare un ECG di urgenza ed accertamenti di laboratorio; e ha indicato una percentuale di sopravvivenza del paziente pari al 86- 98%; dato statistico, di per sé x chiaramente insufficiente per affermare con certezza la sussistenza del nesso causale nel caso concreto fra il comportamento colposo per omissione addebitato al prevenuto e l’evento morte del paziente. Manca da parte di entrambi i giudici di merito l’accertamento se la condotta doverosa omessa, qualora eseguita, avrebbe potuto evitare l’evento; cioè il giudizio necessario a ricostruire, con precisione, la sequenza fattuale che ha condotto all’evento, chiedendosi poi se, ipotizzando come realizzata la condotta dovuta dall’agente, l’evento lesivo sarebbe stato o meno evitato o posticipato (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4-10-2012, Rv. 255008). Le Sezioni unite, con impostazione sostanzialmente confermata dalla giurisprudenza successiva, hanno enucleato, per quanto, attiene alla responsabilità professionale del medico, relativamente al profilo eziologico, i seguenti principi di diritto: il nesso causale può essere ravvisato quando, alla stregua del giudizio controfattuale, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica – universale o statistica -, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa, l’evento non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Non è però consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile, cosicché, all’esito del ragionamento probatorio, che abbia altresì escluso l’interferenza di fattori eziologici alternativi, risulti giustificata e processualmente certa la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell’evento lesivo con “alto grado di credibilità razionale”. L’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale, quindi il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante della condotta del medico rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo, comportano la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio del. giudizio (Sez. U. 10.7.2002, Franzese). Ne deriva che, nelle ipotesi di omicidio o lesioni colpose in campo medico, il ragionamento controfattuale deve essere svolto dal giudice in riferimento alla specifica attività che era specificamente richiesta al sanitario e che si assume idonea, se realizzata, a scongiurare o ritardare l’evento lesivo, come in concreto verificatosi, con alto grado di credibilità razionale (Cass.,Sez.4,n. 30649 del 13- 6-2014, Rv. 262239). Sussiste, pertanto, il nesso di causalità tra l’omessa adozione, da parte del medico, di misure atte a rallentare o bloccare il decorso della patologia e il decesso del paziente, allorché risulti accertato, secondo il principio di controfattualità, condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica, universale o statistica, che la condotta doverosa avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con modalità migliorative, anche sotto il profilo dell’intensità della sintomatologia dolorosa ( Cass., Sez. 4, n. 18573 del 14-2-2013, Rv. 256338). 2.2. Nel caso di specie, come già visto, il giudice a quo non ha fatto buon governo dei principi appena delineati. La Corte d’appello non ha accertato se, al momento del secondo accesso del paziente all’ambulatorio medico del F., alle 8,45 del 29 marzo 2013, fossero in atto i sintomi di sofferenza anginosa premonitori di un accesso infartuale: è noto infatti che in tema di responsabilità medica, è indispensabile accertare il momento iniziale e la successiva evoluzione della malattia, in quanto solo in tal modo è possibile verificare se, ipotizzandosi come realizzata la condotta dovuta dal sanitario, l’evento lesivo sarebbe stato evitato o differito (Cass., Sez. 4, n. 43459 del 4-10-2012, Rv. 255008); così come non ha argomentato in relazione alle valutazioni medico legali dei consulenti della difesa, condivise dal perito di ufficio e dal suo ausiliario specialista cardiologo, secondo i quali il dolore protrattosi da oltre 72 ore non era compatibile con un dolore da infarto acuto del miocardio; e soprattutto, l’argomentazione adottata dalla Corte territoriale trascura di considerare i precisi insegnamenti della Suprema Corte in tema di nesso causale, riguardo alla necessità, come si ricordava innanzi, di corroborare i dati statistici provenienti dalle leggi scientifiche utilizzate, con precisi elementi fattuali, di carattere indiziario, idonei a comprovare, con elevato grado di credibilità razionale, che una tempestiva diagnosi differenziale del medico avrebbe certamente salvato la vita del paziente oppure, l’evento lesivo sarebbe stato ragionevolmente evitato o differito con (umana) certezza (cfr. Sez. 4, n. 5901 del 18/01/2019, Rv. 275122). Nel caso in esame manca un’adeguata motivazione in ordine all’effetto salvifico della condotta omessa, prescrizione dell’elettrocardiogramma e degli esami enzimatici, sulla base degli eventi clinici, delle contingenze logistiche significative del caso concreto, delle condizioni specifiche del paziente ( riottoso a rivolgersi al sanitario, a seguire le prescrizioni e le terapie suggerite e che non si presentava da tempo in ambulatorio 1, fol 10), del lasso temporale intercorso dal momento in cui sarebbe insorta la doverosità dell’accertamento diagnostico specifico ed il momento del decesso. 3. Con riferimento all’ultimo motivo deve ritenersi che la motivazione della sentenza impugnata non soddisfa i criteri che la giurisprudenza più recente ha considerato debbano essere seguiti in tema di responsabilità degli esercenti la professione sanitaria, in base all’art. 2, quarto comma, cod. pen.: le argomentazioni della sentenza di merito devono indicare se il caso concreto sia regolato da linee-guida o, in mancanza, da buone pratiche clinico-assistenziali, valutare il nesso di causa tenendo conto del comportamento salvifico indicato dai predetti parametri, specificare di quale forma di colpa si tratti (se di colpa generica o specifica, e se di colpa per imperizia, o per negligenza o imprudenza), appurare se ed in quale misura la condotta del sanitario si sia discostata da linee-guida o da buone pratiche clinico-assistenziali (Sez. 4, n. 37794 del 22/06/2018, De Renzo, Rv. 27346301). Di contro, la tematica delle linee-guida o delle buone pratiche clinico-assistenziali è affrontati in modo generico e confuso dai Giudici di merito che sul punto disattendono con argomentazioni apodittiche gli accertamenti svolti dal perito in incidente probatorio secondo il quale il grado della colpa doveva ritenersi lieve in ragione del fatto che il dolore lamentato non presentava univoche indicazioni, che in percentuali molto modeste la sintomatologie riferita era riferibile a crisi cardiache che anche la esecuzione di un ECG poteva non essere risolutiva, che la sintomatologia di per sé atipica non risulta fosse accompagnata da sintomi neurovegetativi e che si trattava di medico non specialista che non aveva e non doveva avere a disposizione strumentazioni tecniche e di laboratorio idonee per orientarsi correttamente, in caso di un dolore toracico con presentazione non classica e inusuale ( cioè atipico) , verso una diagnosi di possibile genesi cardiaca. 4. Conclusivamente, gli evidenziati vizi logico-giuridici della sentenza impugnata ne impongono l’annullamento con rinvio alla Corte di appello di B. al fine di affrontare compiutamente i temi del nesso di causalità e della colpa omissiva del medesimo, secondo i principi di diritto dianzi indicati. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’appello di B..