Cassazione Civile Sentenza n. 1391/18 – Cure sanitarie all’estero – Rimborso – Presupposti legislativi – Bilanciamento tra tutela della salute ed esigenze dello Stato di natura finanziaria – La più recente giurisprudenza ha avuto modo di confermare che gli unici parametri, sulla base dei quali è legittimo valutare il diritto al rimborso delle spese mediche all’estero, siano quelli relativi alla urgenza e alla impossibilità di ottenere il medesimo trattamento presso centri italiani. La Corte di appello di Palermo, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha accolto la domanda di A. B. di assistenza sanitaria indiretta ricevuta durante un viaggio, effettuato per motivi di turismo, in Cina ed ha condannato l’Assessorato Sanità della Regione Siciliana (gestione stralcio ex USL n. 51) al rimborso delle spese sanitarie sostenute pari a euro 7.230,40 oltre accessori. La Corte distrettuale, pur rilevando l’assenza di una situazione di indigenza del B., e sottolineando la natura di altissima specializzazione della struttura (sull’implicito rilievo della natura specialistica dell’intervento subito a seguito di infarto ed a fronte di mancata contestazione sul punto), ha ritenuto che la gravità delle condizioni di salute e l’urgenza dell’intervento sanitario consentivano la disapplicazione di ogni disposizione che imponeva adempimenti amministrativi per ottenere il rimborso delle spese sanitaria affrontate all’estero. La Corte di Cassazione ha invece rilevato che l’intervento d’urgenza subito dal B. all’estero non può ritenersi ricompreso tra le prestazioni sanitarie rimborsabili ai cittadini in quanto carente del requisito richiesto dal combinato disposto degli artt. 3, comma 5 della legge n. 595 del 1985, 2 e 7 del d.m. 3.11.1989 consistente nella inclusione in lista di attesa presso strutture del Servizio sanitario nazionale. In conclusione, il ricorso della Regione Siciliana va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata.
FATTO E DIRITTO: Con sentenza depositata il 23.1.2012, la Corte di appello di Palermo, confermando la pronuncia del Tribunale della medesima sede, ha accolto la domanda di A. B. di assistenza sanitaria indiretta ricevuta durante un viaggio, effettuato per motivi di turismo, in Cina ed ha condannato l’Assessorato Sanità della Regione Siciliana (gestione stralcio ex USL n. 51) al rimborso delle spese sanitarie sostenute pari a euro 7.230,40 oltre accessori. La Corte distrettuale, pur rilevando l’assenza di una situazione di indigenza del B., e sottolineando la natura di altissima specializzazione della struttura (sull’implicito rilievo della natura specialistica dell’intervento subito a seguito di infarto ed a fronte di mancata contestazione sul punto), ha ritenuto che la gravità delle condizioni di salute e l’urgenza dell’intervento sanitario consentivano la disapplicazione di ogni disposizione che imponeva adempimenti amministrativi per ottenere il rimborso delle spese sanitaria affrontate all’estero. Avverso tale sentenza l’Assessorato ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a un motivo. il B. ha resistito con controricorso illustrato da memoria. Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 5 della legge n. 595 del 1985, 2 e 7, comma 2 del d.m. 3.11.1989, 2 del d.m. 30.8.1991 (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.), avendo, la Corte distrettuale, erroneamente riconosciuto il rimborso delle spese sanitarie all’estero in carenza dei presupposti legislativi ossia fuori da casi di residenza per lavoro o studio o di espatrio oppure di indigenza. Invero, risulta pacificamente accertato che il B. non era indigente e si trovava all’estero per turismo, mentre la normativa in oggetto consente un’assistenza indiretta ai cittadini che per una oggettiva incapacità del sistema sanitario nazionale siano costretti a recarsi all’estero. La legge 23.10.1985 n. 595 (intitolata “Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-88) prevede all’art. 3, comma 5: “Con decreto del Ministro della sanità, sentito il Consiglio sanitario nazionale, previo parere del Consiglio superiore di sanità, sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta, di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero in favore n. 18432/2012 R.G. di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico. Con lo stesso decreto sono stabiliti i limiti e le modalità per il concorso nella spesa relativa a carico dei bilanci delle singole unità sanitarie locali. Non può far carico al fondo sanitario nazionale la concessione di concorsi nelle spese di carattere non strettamente sanitario. Il d.m. 3.11.1989, adottato in esecuzione della delega, fissa (art. 2) le tipologie di prestazioni erogabili, precisando che devono possedere “specifiche professionalità del personale, non comuni procedure tecniche o curative o attrezzature ad avanzata tecnologia” e non debbono essere “ottenibili tempestivamente o adeguatamente presso i presidi e i servizi di alta specialità italiani” e specificando che “è considerata prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia la prestazione per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento o delle cure”; fornisce (art. 5) la definizione di “centro di altissima specializzazione” che consiste nella “struttura estera, notoriamente riconosciuta in Italia, che sia in grado di assicurare prestazioni sanitarie di altissima specializzazione e che possegga caratteristiche superiori paragonate a standard, criteri e definizioni propri dell’ordinamento sanitario italiano”.La Corte distrettuale ha, peraltro, omesso ogni considerazione circa la ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 2 del d.m. 3.11.1989 con particolare riguardo alla necessità che si tratti di “prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia” nell’accezione chiarita dallo stesso decreto ministeriale ossia che si tratti di cura erogata in Italia con periodi di attesa incompatibili con lo stato di salute dell’assistito. Il suddetto requisito dimostra chiaramente che la normativa è diretta a sopperire ad ipotesi di disfunzioni strutturali del Sistema sanitario nazionale, garantendo in tali casi ai cittadini il ricorso a centri di alta specializzazione all’estero e il rimborso delle spese affrontate. Invero, il requisito della possibilità di ricorrere a centri sanitari posti sul territorio italiano è specificamente previsto dall’art. 3, comma 5, della legge n. 595 del 1985 ai fini del rimborso delle spese sanitarie affrontate all’estero e – come già esaminato dalla Corte Costituzionale – deve ritenersi conforme alle previsioni legislative che regolano il Servizio Sanitario Nazionale (in particolare, gli artt. 19 e 25 della legge n. 833 del 1978, secondo cui le prestazioni vengono erogate ai cittadini direttamente mediante strutture pubbliche organizzate nel territorio oppure da soggetti con i quali le pubbliche amministrazioni stipulano convenzioni), disposizione che realizzano un ragionevole bilanciamento tra diritti costituzionalmente protetti, ossia il diritto alla salute, da una parte, e le esigenze dello Stato di natura finanziaria e, più in generale, organizzativa, dall’altra (cfr. sentenza n. 354/2008: la Corte Costituzionale ha esaminato, nel caso di specie, il caso di un cittadino italiano recatosi all’estero per turismo e ricoverato urgentemente perché colpito da grave patologia). Va segnalato che anche la più recente giurisprudenza ha avuto modo di confermare che gli unici parametri, sulla base dei quali è legittimo valutare il diritto al rimborso delle spese mediche, siano quelli relativi alla urgenza e alla impossibilità di ottenere il medesimo trattamento presso centri italiani (cfr. in particolare, Cass. n. 17134/2016; cfr., inoltre, Cass. n. 6461/2009 avente ad oggetto un caso simile a quello in esame di un cittadino italiano in soggiorno turistico all’estero colpito da grave ed urgente patologia; cfr., inoltre, le sentenze nn. 17309/2016, 27448/2013, 9969/2012, 26609/2011, 12918/2011 che hanno trattato casi diversi dal presente, tutti accomunati dal presupposto che si trattava sempre di cittadini che espatriavano per affrontare delle cure mediche, e non di cittadini che si trovavano in soggiorno turistico all’estero). In ordine al diritto alla tutela della salute, la Corte Costituzionale ha, da un lato, rilevato che la tutela del diritto alla salute nel suo aspetto di pretesa all’erogazione di • n. 18432/2012 R.G. prestazioni “non può non subire i condizionamenti che lo stesso legislatore incontra nel distribuire le risorse finanziarie delle quali dispone”» (sentenze nn. 354/2008 e 309/1999); dall’altro, che le “esigenze della finanza pubblica non possono assumere, nel bilanciamento del legislatore, un peso talmente preponderante da comprimere il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana. L’intervento d’urgenza subito dal B. all’estero non può ritenersi ricompreso tra le prestazioni sanitarie rimborsabili ai cittadini in quanto carente del requisito richiesto dal combinato disposto degli artt. 3, comma 5 della legge n. 595 del 1985, 2 e 7 del d.m. 3.11.1989 consistente nella inclusione in lista di attesa presso strutture del Servizio sanitario nazionale. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata).