Corte dei Conti Lombardia – Danno erariale causato dal ginecologo per errata manovra chirurgica – Elemento soggettivo della colpa grave. Perché possa parlarsi di colpa grave occorre accertare che si siano verificati errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione, ovvero abbia difettato quel minimo di perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione medica, oppure vi sia stata ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di tali prestatori d’opera.
FATTO: Con atto di citazione depositato in data 7 ottobre 2014, la Procura regionale presso questa Sezione ha convenuto in giudizio la Sig.ra S. G. e la Dott.ssa D. R. per ivi sentirle condannare al pagamento, in favore dell’Azienda Ospedaliera Bolognini di Seriate, ciascuna della somma capitale pari ad euro 3.227,85, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio, corrispondente al 50% del complessivo danno erariale, pari ad euro 6.455,70, arrecato con condotte ritenute gravemente colpose. Il Requirente ha evidenziato che la stessa compagnia assicuratrice, a seguito di svariati pareri medici, aveva in sostanza individuato una precisa responsabilità dell’Unità organizzativa di Ostetricia di Alzano Lombardo per i danni cagionati alla G. durante l’assistenza al parto del suo secondo figlio, ovvero “… una lacerazione perineale di entità superiore rispetto a quella registrata nella cartella clinica che aveva seriamente interessato lo sfintere anale, determinando perdite fecali e la necessità di un intervento di plastica ricostruttiva del pavimento pelvico e sfinteroplastica con overlapping”. In proposito la Procura riporta ampi stralci della relazione resa dal Prof. F. B. (C.T.P. incaricato dalla G.) che tra le altre cose precisa che “la lacerazione perineale è stata sicuramente determinata da un’imperita assistenza al parto suffragata dagli elementi clinico circostanziali … essenzialmente imputabile alla componente operativa ostetrica, che non ha saputo disimpegnare correttamente e tempestivamente le spalle del feto”. Per il Requirente quindi “nel caso di specie detta responsabilità è imputabile in parte all’errata manovra dell’ostetrica dott.ssa G. che “non ha saputo disimpegnare correttamente e tempestivamente le spalle del feto”, che dopo l’espulsione, mostrava un vistoso dismorfismo alla spalla destra, e, in parte, all’imperizia della ginecologa che aveva prestato l’assistenza al parto, dott.ssa D. R., che non ha provveduto a suturare adeguatamente la lacerazione perineale subita dalla Sig.ra G. secondo le regole dell’arte medica”. Al termine della richiamata attività istruttoria la Procura erariale, ritenendo sussistenti tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, notificava alle odierne convenute specifico invito a dedurre (all. n. 11 del fascicolo della Procura).
DIRITTO: In materia di responsabilità medica, l’orientamento della Suprema Corte, risulta espresso nelle recenti sentenze (Sez. III° n. 24791/2008 e n. 8826/2007) in cui, in conformità a precedente giurisprudenza, si afferma: “La responsabilità del medico in ordine al danno subito dal paziente presuppone la violazione dei doveri inerenti allo svolgimento della professione, tra cui il dovere di diligenza da valutarsi in riferimento alla natura della specifica attività esercitata; tale diligenza non è quella del buon padre di famiglia ma quella del debitore qualificato ai sensi dell’art.1176 c.c., comma 2, che comporta il rispetto degli accorgimenti e delle regole tecniche obbiettivamente connesse all’esercizio della professione … con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonché ad evitare possibili eventi dannosi”. La diligenza del professionista, o la difficoltà di un intervento, vanno valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicché il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo), e, dall’altro, deve adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative incidenti sugli accertamenti diagnostici e sui risultati dell’intervento, e laddove ciò non sia possibile, deve informare il paziente, eventualmente consigliandogli, se manca l’urgenza di intervenire, il ricovero in una struttura più idonea (cfr. Cass. n. 12273 del 5 luglio 2004, n. 11316 del 21 luglio 2003 e n. 6318 del 16 maggio 2000). La giurisprudenza di questa Corte é altrettanto univoca nel definire, nel più specifico ambito della responsabilità amministrativa in campo medico, il concetto di colpa grave. Ai fini dell’individuazione del grado di colpevolezza, il Giudice contabile non può e non deve valutare il rapporto in contestazione alla stregua di immutabili canoni prefissati, non rinvenibili peraltro in alcuna norma dettata al riguardo; egli deve invece prefigurare, nel concreto, l’insieme dei doveri connessi all’esercizio delle funzioni cui l’agente è preposto, attraverso un’indagine che tenga conto dell’organizzazione amministrativa nel suo complesso e delle finalità da perseguire, alla luce di parametri di riferimento da porsi come limite negativo di tollerabilità, potendosi ritenere realizzata una ipotesi di colpa grave ove la condotta posta in essere se ne discosti notevolmente. In definitiva, con particolare riferimento alle attività materiali, quale appunto quella tipicamente sanitaria, la condotta può essere valutata come gravemente colposa allorché il comportamento sia stato del tutto anomalo e inadeguato, tale cioè da costituire una devianza macroscopica dai canoni di diligenza e perizia tecnica e da collocarsi in posizione di sostanziale estraneità rispetto al più elementare modello di attività volta alla realizzazione degli interessi cui i pubblici operatori sono preposti. Ne consegue che, per configurare un’ipotesi di responsabilità a carico di un medico, non basta che il comportamento appaia riprovevole in quanto non rispondente in tutto alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il sanitario, usando la dovuta diligenza, sia stato in condizione di prevedere e prevenire l’evento verificatosi: perché quindi possa parlarsi di colpa grave occorre accertare che si siano verificati errori non scusabili per la loro grossolanità o l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione, ovvero abbia difettato quel minimo di perizia tecnica che non deve mai mancare in chi esercita la professione medica, oppure vi sia stata ogni altra imprudenza che dimostri superficialità e disinteresse per i beni primari affidati alle cure di tali prestatori d’opera”. Al riguardo il Collegio deve effettivamente rilevare la grave imperizia della Dott.ssa R. nel non essersi accorta dell’entità effettiva della lacerazione subita dalla partoriente. In sostanza, trattasi di un caso d’inescusabile superficialità di cui si è resa responsabile la convenuta, difettando nel caso di specie il minimo grado di perizia tecnica utile per rendersi conto che “… quell’eccessiva perdita di sangue dall’utero …” (cfr. dichiarazioni rese dalla Rossi nel verbale di audizione personale), ragion per cui era stata chiamata in sala parto, era dovuta ad una lacerazione di tale gravità da arrivare ad interessare lo sfintere anale. Di conseguenza, il Collegio rileva che da tutta la documentazione in atti risultano concordi e sufficienti elementi idonei a provare l’elemento soggettivo della colpa grave in capo alla Dott.ssa R.. Pertanto per tutte le ragioni sopra esposte l’ipotesi di danno erariale avanzata dalla Procura deve essere accolta solo nei confronti di quest’ultima