Interrogazione a risposta scritta – Definizione degli standard qualitativi relativi all’assistenza ospedaliera e accreditamento esclusivo dei centri cardiochirurgici. Nell’interrogazione si rileva che il 25 marzo 2015 il Ministro Lorenzin ha firmato il regolamento sulla definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, in attuazione dell’articolo 1 comma 169 della legge 30 dicembre 2004 n.311 e dell’articolo 15, comma 13 lettera c) del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95, convertito con modificazioni della legge 7 agosto 2012 n.135. Il provvedimento, secondo quanto detto dal Ministro, costituisce l’attuazione del Patto per la salute per gli anni 2014-2016, e avvierebbe il processo di riassetto strutturale e di qualificazione della rete assistenziale ospedaliera italiana, in modo da consentire ai cittadini di poter usufruire nell’erogazione delle prestazioni sanitarie di livelli qualitativi appropriati e sicuri, garantendo l’erogazione dei livelli essenziali di assistenza e nel contempo riducendo significativamente i costi. L’allegato 1 dello schema del succitato regolamento, prevede l’accreditamento esclusivo dei centri cardiochirurgici che effettuano almeno 200 interventi di bypass aortocoronarico all’anno, e che abbiano una mortalità di 30 giorni (aggiustata per rischio) inferiore al 4 per cento sia sul bypass aortocardico isolato sia sulla sostituzione o riparazione valvolare isolata. Questa previsione discende esplicitamente dalla tesi secondo la quale per le procedure chirurgiche di bypass aortocoronarico siano disponibili “prove, documentate dalla revisione sistematico della letteratura scientifica, di associazione tra volumi di attività e migliori esiti delle cure (…)”; sempre secondo il regolamento citato, “sono misurabili sistematicamente (…) gli esiti e possono essere identificati valori di rischi al di sotto (per gli esiti positivi) o al di sopra dei quali alle strutture (…) non possono essere riconosciuti i requisiti di accreditamento specifico”; il citato regolamento ammette, però, che per le linee di produzione ospedaliera per le quali è definita l’associazione volume-esiti “la letteratura scientifica non consente di identificare in modo unico soglie di volume al di sotto delle quali non possano aversi sufficienti garanzie di efficacia e sicurezza”. L’interrogante On. Roberto Capelli evidenzia inoltre che nel documento del Comitato outcomes in cardiochirurgia della Società italiana di chirurgia cardiaca (Sicch) pubblicato il 31 marzo 2015 sul sito www.sicch.it si osserva preliminarmente che esistono al mondo solo due linee guida che forniscono raccomandazioni sull’eventuale livello minimo d’interventi di bypass coronarico che devono essere effettuati in un centro cardiochirurgico; si tratta delle linee guida statunitensi Aha/Acc (American Heart Association/American College of Cardiology) pubblicate nel 2011, e di quelle europee Esc/Eacts (European Society for Cardiology/European Association for Cardio-Thoracic Surgey) pubblicate nel 2014; le due linee guida citate non concordano sulle soglie minime. Infatti, secondo le statunitensi Aha/Acc il cutoff è pari a 125 interventi di bypass aortocoronarico per anno. Altrimenti il centro che ne effettua di meno deve affiliarsi a centri di maggior volume; le linee guida europee, invece, suggeriscono la cifra di 200 interventi di bypass coronarico per anno, come soglia minima per un centro cardochirurgico. L’interrogante sottolinea quindi che appare chiaro che non esistono al momento criteri scientifici condivisi che possano fungere da solida base per le scelte fissate dal regolamento appena firmato dal Ministro. Si chiede se il Ministro della Salute non intenda intervenire per modificare i criteri previsti dal regolamento firmato il 25 marzo 2015, in modo da evitare quelle che l’interrogante giudica la “cancellazione per decreto” della cardiochirurgia in mezza Italia; il Piemonte, larga parte del centrosud, la totalità delle isole, saranno costrette a chiudere i loro centri accreditati, con evidenti conseguenze negative sui livelli di assistenza per i cittadini di quelle regioni, costretti a spostarsi in altre parti d’Italia, con costi rilevanti e forti rischi per la salute, visto che molti interventi di cardiochirurgia devono essere attuati in condizioni di urgenza e su pazienti che non possono sopportare lunghi spostamenti
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