Donne in Medicina. Le tappe di una riconquista

Un articolo di Franco Lupano, medico e storico della medicina.


Le premesse parevano buone: La donna ha l’istituto, ha l’arte del medicare, anche quando non ha la scienza; ma questa potendosi avere da ogni cervello sano, ne viene che essa costituisce il medico perfetto; mancando spesso nell’uomo l’arte, spessissimo il cuore. Così, nel suo “Le tre Grazie” del 1883, il famoso medico igienista Paolo Mantegazza delineava chiaramente il concetto che aveva della donna medico.

Ma solo dieci anni dopo doveva riconoscere in “Fisiologia della donna” che L’Italia aspetta dalle donne dell’avvenire ciò che le donne del presente non vogliono fare; più che altro, paurose delle critiche degli uomini, che continuano a volerle femmine, non donne!

La resistenza opposta dalla comunità maschile alla riconquista da parte delle donne dell’arte di guarire dopo secoli di emarginazione, è un chiaro esempio dell’importanza del potere insito nella professione medica. Finché si trattava di letterate o pittrici la cosa non disturbava granché; le donne che si occupavano di scienza erano già più sospette, perché entravano in un campo ritenuto “naturalmente” maschile, e inadatto allo spirito femminile, come affermava nel Settecento il reverendo inglese Richard Polwhele: Come possa accordarsi con la modestia femminile lo studio del sistema sessuale delle piante, io non riesco a capirlo. Figuriamoci dunque che cosa si poteva pensare di donne che andavano a scrutare nell’animo e nel corpo umano, compreso il sistema sessuale degli uomini…

La prima breccia venne aperta, manco a dirlo, negli Stati Uniti, dove nel 1849 si laureò in medicina la prima donna dell’epoca moderna, Elisabeth Blackwell. In Europa si dovette aspettare gli ultimi decenni del secolo: in Italia la prima laureata in medicina è Ernestina Paper, nel 1877 e Firenze, e la seconda Maria Farnè Velleda nel 1878, a Torino. Anna Kuliscioff, nota come esponente del partito socialista e compagna di Filippo Turati, conseguì la laurea in Medicina aNapoli nel 1885 e si specializzò in ginecologia a Torino; una testimonianzascritta delle difficoltà incontrate nell’ambiente medico dell’epoca ci giunge da Aldina Francolini, laurea a Firenze nel 1889, che ricorda come prima della laurea le donne dovessero affrontare scherzi ed allusioni pesanti da parte degli studenti maschi e,successivamente, incontrare unacontrarietà strana, una riluttanza inesplicabile, una sfiducia direi quasiinsultante da parte dellagente, nonché l’irritazione dei colleghi che ponevano ostacoli in tutti imodi, con tutti i mezzi più o meno leali e dignitosi (A. Francolini, Come diventai dottoressa, in Cordelia, XXII, n.8, 07 dicembre 1902, pag.94). La Francia nel 1885 vantava già 78 ragazze iscritte alla facoltà di Parigi; in Inghilterra furono ammesse ufficialmente nel 1888, mentre in Germania di fatto l’accesso fu loro precluso fino alla fine dell’Ottocento, probabilmente attraverso cavilli amministrativi più che dal punto di vista legale: infatti, nel 1882 il chirurgo berlinese Von Bergmann affermava che non accettava studentesse ai suoi corsi perché lo statuto universitario contemplava solo l’istruzione della gioventù maschile.

Superato comunque lo scogliodell’ufficialità, la resistenza si spostò sul piano della derisione e della asserita inferiorità dell’intelletto femminile.

Il dottor G. B. Ughetti, laureato a Torino e docente all’Università di Messina, in un suo libro di memorie del 1899 dedica un intero capitolo alle dottoresse. Tanto per cominciare, afferma candidamente: Ho delle donne idee più che lombrosiane. Poi si lancia in alcune previsioni azzardate: Chi non potrà mai esercitare in campagna, chi non potrà mai levarsi molto in alto in città, nonostante tutta la buona volontà degli emancipatori, è la donna medico. Da uomo di scienza, si preoccupa di avvalorare le sue tesi con dati precisi: Da una ventina d’anni in molte Università d’Italia è inscritta qualche studentessa che diventa dottoressa. Ebbene e poi? che ne è stato? Tranne uno o due pianeti satelliti, nessuna è salita ad astra; perciò nè scienziate nè pratiche; giacché non ne ho sentito parlare, mi auguro che siano ritornate donne (perché, come è noto, diventando medici entravano in uno stadio diessere asessuato). Ma quanta impazienza! Se solo avesse atteso ancora cinque avrebbe trovato una certa Maria Montessori, laureata in Medicina e Pedagogia, che, nominata assistente all’Università di Roma, sperimentava il suo nuovo metodo educativo divenuto famoso in tutto il mondo; agli inizi del nuovo secolo Giuseppina Cattani fu libera docente di patologia generale all’Università di Bologna, Anna Foà assistente al gabinetto di anatomia comparata dell’Università di Roma, Rina Monti libera docente di anatomia e fisiologia comparata dell’Università di Roma. Il Dott. Ughetti deve però riconoscere che la sig.na Klumpke, americana ma laureata a Parigi ha trovato delle cose bellissime sulla struttura dei nervi nelle cosiddette paralisi radiculari ma subito dopo aggiunge: Allato al microscopio poi ha trovato un eccellente marito nella persona del dott. Déjérine, che studiava lo stesso argomento côte-á-côte, e che oggi è una illustrazione della scienza naturalmente lui, non lei. Il dottor Ughetti, poi, ci informa che in un altro paese più fortunato del nostro, il Regno Unito, è stata formulata un’interessante proposta per fronteggiare la marea montante delle donne medico, durante il discorso inaugurale del Cancelliere dell’Università d’Irlanda nel 1898: Quando si rifletta che nei possedimenti orientali della Gran Bretagna vi hanno milioni di donne che si lascerebbero morire fra i più strazianti dolori, anziché permettere ad un medico di guardarle in faccia e di aver che fare con essi in qualsiasi modo, si può intendere quale largo campo sia aperto alle donne inglesi medichesse in quella parte del mondo.

La conclusione di Ughetti è lapidaria: Chi non potrà mai esercitare in campagna, chi non potrà mai levarsi molto in alto in città (…) è la donna medico.

La prima clamorosa smentita giunge nel 1915, quando una donna per la prima volta diventa medico condotto in campagna. E non in un tranquillo paesino ma a Lollove, frazione di Nuoro, dove il precedente medico era stato ucciso con una fucilata: a presentarsi fu Adelasia Cocco, laurea a Sassari nel 1913. Il prefetto non voleva crederci e cercò di dissuaderla: Ci dev’essere un errore; questo decreto non posso firmarlo. Una donna non può svolgere la professione di medico condotto in una terra così difficile come la Barbagia… ci ripensi signorina, ci ripensi…. Adelasia non ebbe alcun ripensamento, e così rievocava, a 92 anni, la sua esperienza: Lollove è stata per me la più grossa rivincita, una vittoria del femminismo, come si dice oggi. Lungo la mulattiera che conduce alla frazione venne assassinato a fucilate il dottor Romagna. Gli altri colleghi sanitari, dato il clima di tensione e di paura, si rifiutarono di prestare servizio a Lollove, e quando il comune rivolse a me l’invito, accettai. Sul dorso di un cavallo, scortata dall’assessore comunale Predu Ferru, ogni giorno portavo il conforto della medicina alla popolazione abbandonata a se stessa. Ero costretta quotidianamente a guadare un fiume, a correre in aperta campagna tra rovi e macchioni. Il medico in quei tempi in un paesetto come Nuoro, non ancora capoluogo, era considerato un deus ex machina, un dio stregone. L’ospedale non era stato ancora aperto ed isanitari dovevano effettuare spesso difficili interventi chirurgici a casa o in ambulatorio, ed essere preparati in tutte le branche della medicina.
Prima fra le donne sarde, nel 1919 ottenne la patente automobilistica e con essa l’autonomia e la libertà di movimento. Nel 1928 divenne ufficiale sanitario di Nuoro e nel 1932 vinse il concorso a direttore del Laboratorio Medico Micrografico Provinciale, incarico che coprì fino al pensionamento nel 1955.

Autore: Redazione FNOMCeO

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.