Dottore, ma è vero che… L’ivermectina cura Covid-19?

Da qualche mese, un farmaco antiparassitario – l’ivermectina – viene presentato come una possibile opzione per il trattamento di Covid-19. Le istituzioni sanitarie internazionali come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) o l’Agenzia Europea per i medicinali (EMA) raccomandano di non utilizzarlo al di fuori di studi clinici rigorosi. Anche i National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti si erano espressi nella stessa direzione: ma giornali e media online tornano a proporlo con insistenza.

L’ivermectina è un agente antiparassitario ad ampio spettro – in particolare antielmintico (contro i vermi) – incluso nell’elenco dei farmaci essenziali dell’OMS per diverse malattie parassitarie. È usato soprattutto nel trattamento di una malattia chiamata “cecità fluviale”.

Un gruppo di lavoro è stato convocato dall’OMS in risposta alla crescente attenzione internazionale su questo farmaco. Il gruppo è formato da esperti indipendenti di diversi Paesi del mondo e ha esaminato i dati di 16 studi randomizzati controllati che hanno arruolato quasi 2.500 pazienti, sia ricoverati, sia ambulatoriali.

Il lavoro di analisi di questi esperti ha purtroppo verificato che le prove a sostegno dell’efficacia dell’ivermectina relativamente alla possibilità che riduca la mortalità, la necessità di ventilazione meccanica, la necessità di ricovero ospedaliero e il tempo necessario per il miglioramento clinico nei pazienti Covid-19 sono di “qualità molto bassa”.

Come spiegano i National Institutes of Health degli Stati Uniti, è senz’altro vero che i risultati degli studi randomizzati e studi di coorte retrospettivi sull’uso di ivermectina in pazienti con Covid-19 sono stati pubblicati in forma di articolo su riviste indicizzate su banche dati internazionali, o anticipati come articoli in corso di pubblicazione (pre-print). Alcuni studi clinici, però, proprio non hanno mostrato benefici o addirittura hanno evidenziato un peggioramento della malattia dopo l’uso di ivermectina. Altri studi hanno invece mostrato una minore durata della malattia o una maggiore riduzione dei livelli di marker infiammatori nei pazienti trattati con ivermectina rispetto ai pazienti che hanno ricevuto farmaci di confronto o placebo. Ma anche la più importante istituzione di ricerca medica degli Stati Uniti sottolinea che la qualità metodologica di questi studi positivi è tale da non rendere affidabili le conclusioni a cui le ricerche sono arrivate.

Attenzione anche ai possibili effetti collaterali perché, come ricorda l’Agenzia Italiana del Farmaco, “sebbene ivermectina sia generalmente ben tollerata alle dosi autorizzate per altre indicazioni, gli effetti indesiderati potrebbero aumentare se si utilizzassero dosaggi più elevati necessari ad ottenere concentrazioni di medicinale nei polmoni che siano efficaci contro il virus. Non si può pertanto escludere tossicità quando ivermectina è utilizzata a dosi superiori rispetto a quelle approvate”.

 

Leggi la nuova scheda di Dottore ma è vero che?, il sito anti fake-news della FNOMCeO, la Federazione degli Ordini dei Medici.

Autore: Redazione

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