Negli ultimi anni molte star del mondo dello spettacolo hanno dichiarato di aver adottato una dieta priva di glutine – pur non essendo celiache – al fine di guadagnare in salute o di restare in forma più facilmente. Gwyneth Paltrow, Victoria Beckham, Kim Kardashian, Lady Gaga sono solo alcuni esempi. Una tendenza che ha contribuito a creare una vera e proprio moda del gluten-free: negli Stati Uniti, ad esempio, nel periodo di tempo compreso tra il 2009 e il 2014 il numero di pazienti affetti da celiachia è rimasto stabile, mentre è aumentato il numero delle persone che optano per una dieta priva di glutine [1]. Anche in Italia, tuttavia, questo fenomeno è in aumento: secondo i dati dell’Associazione Italiana di Celiachia, in Italia si spendono ogni anno 320 milioni di euro per prodotti senza glutine, ma solo 215 sono destinati ai soggetti realmente celiaci. In generale, sarebbero circa 6 milioni gli italiani che seguono una dieta priva di glutine senza averne realmente bisogno [2].
Chi può trarre benefici da una dieta priva di glutine?
La celiachia è un’infiammazione cronica dell’intestino tenue innescata dall’ingestione di glutine – sostanza proteica contenuta in cereali quali farro, frumento, segale e orzo – in soggetti geneticamente predisposti. Le manifestazioni cliniche della patologia sono molteplici e vanno dai classici sintomi gastrointestinali (diarrea, dolore addominale, crampi, ulcere della bocca), alle malattie metaboliche delle ossa e all’infertilità [3]. Inoltre, la celiachia si associa a un rischio maggiore di cancro – tra cui una probabilità di 2-4 volte maggiore di sviluppare un linfoma non-Hodgkin e di oltre 30 volte maggiore di sviluppare un adenocarcinoma – e di morte [4]. La prima scelta di trattamento per i pazienti con celiachia consiste nell’aderenza a vita a una dieta priva di glutine, una strategia che in genere si risolve in una scomparsa dei sintomi nel giro di quattro settimane [5]. In aggiunta a questa patologia, si sono poi registrati casi di reazioni patologiche all’ingestione di cereali contenenti glutine in soggetti non celiaci. Questa condizione – denominata “sensibilità al glutine non celiaca” – non si associa alla presenza di allergie o a meccanismi autoimmuni e si manifesta solitamente con sintomi gastrointestinali nelle ore successive a un pasto contenente glutine. Anche i soggetti che soffrono di questi disturbi, quindi, possono avere benefici da una dieta gluten-free.
Una dieta priva di glutine fa bene anche a chi non ha questi problemi?
“Oggi milioni di persone scelgono di eliminare il glutine dalla propria dieta per seguire la moda del momento” spiega Giuseppe Di Fabio, presidente dell’Associazione Italiana Celiachia, “un’idea rafforzata dai sempre più numerosi personaggi noti, non celiaci, che seguono la dieta gluten-free e lo dichiarano pubblicamente, nell’erronea convinzione che garantisca un maggior benessere o che faccia dimagrire. Nessuna ricerca ha finora dimostrato qualsivoglia effetto benefico per i non celiaci nell’alimentarsi senza glutine, anzi. Gli studi scientifici stanno ampiamente dimostrando che in chi non è celiaco l’esclusione del glutine è inutile” [2]. Ad esempio, uno studio pubblicato nel 2017 da The BMJ ha indagato – sulla base di evidenze che avevano dimostrato una possibile azione infiammatoria del glutine in assenza di celiachia o sensibilità [6] – il rischio coronarico associato a una dieta priva di glutine in soggetti non celiaci. Tuttavia, dai risultati è emerso che tale scelta alimentare non si associa ad alcuna riduzione del rischio di andare incontro, a lungo termine, a malattie coronariche [7].
Può, invece, avere degli effetti negativi?
Paradossalmente, chi decide di adottare una dieta priva di glutine per avere dei benefici della salute potrebbe ottenere l’effetto contrario. Nello studio de The BMJ descritto in precedenza, ad esempio, è emersa una relazione tra una minore assunzione di cereali integrali e una maggiore incidenza di malattie coronariche. Per quanto in termini assoluti il rischio individuato fosse molto ridotto, i ricercatori sottolineano come “le persone che riducono drasticamente il consumo di glutine potrebbero ridurre in generale il consumo di cereali integrali, con possibili conseguenze per la salute cardiovascolare” [7]. Infatti, è stato dimostrato che in soggetti non celiaci la presenza di questi alimenti nella dieta si associa a una riduzione della probabilità di andare incontro a malattie coronariche e morte cardiovascolare [8,9].
A cura de Il Pensiero Scientifico Editore su Dottore, ma è vero che…?
- Kim HS, Patel KG, Orozs E, et al., “Time Trends in the Prevalence of Celiac Disease and Gluten-Free Diet in the US Population: Results From the National Health and Nutrition Examination Surveys 2009-2014”, JAMA Intern Med 2016; 176: 1716 -7
- Associazione Italiana Celiachia, “Dal 13 al 21 maggio si svolge la terza edizione della Settimana Nazionale della Celiachia, dedicata alla nutrizione”
- Lebwohl B, Ludvigsson JF, Green PHR., “Celiac disease and non-celiac gluten sensitivity”, BMJ 2015; 351: h4347
- Ludvigsson JF, Montgomery SM, Ekbom A, et al., “Small-intestinal histopathology and mortality risk in celiac disease”, JAMA 2009; 302: 1171-8
- Murray JA, Watson T, Clearman B, et al., “Effect of a gluten-free diet on gastrointestinal symptoms in celiac disease”, Am J Clin Nutr 2004; 79: 669-73
- Jamnik J, García-Bailo B, Borchers CH, El-Sohemy A., “Gluten Intake is Positively Associated with Plasma α2-Macroglobulin in Young Adults”, J Nutr 2015; 145: 1256-62
- Lebwoh B, Cao Y, Zong G, et al., “Long term gluten consumption in adults without celiac disease and risk of coronary heart disease: prospective cohort study”, BMJ 2017; 357: j1892
- Aune D, Keum N, Giovannucci E, et al., “Whole grain consumption and risk of cardiovascular disease, cancer, and all cause and cause specific mortality: systematic review and dose-response metaanalysis of prospective studies”, BMJ 2016; 353: i2716
- Wu H, Flint AJ, Qi Q, et al., “Association between dietary whole grain intake and risk of mortality: two large prospective studies in US men and women”, JAMA Intern Med 2015; 175: 373-84
Autore: Redazione