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E la medicina diventa “slow”: la testimonianza di Antonio Panti

E’ nato ufficialmente mercoledì 29 giugno a Ferrara il movimento per la “Slow Medicine”: un nuovo modo di praticare la medicina, che – in un mondo sempre più drogato dalla frenesia – si prende il tempo necessario per ascoltare il paziente, per accoglierlo, per riflettere, per valutare la terapia migliore.

È un approccio, questo, più umano e più umanistico, che considera la persona nel suo complesso e non come un “caso clinico”, da curare il più velocemente possibile. E implica una diversa accezione dell’efficienza dei sistemi sanitari, intesa non come rapporto tra numero di prestazioni e tempo impiegato, ma come riduzione del rischio clinico, efficacia delle cure, qualità dei servizi.

Dell’associazione ha parlato anche L’Espresso: nel numero attualmente in edicola, quattro pagine (da pag. 128 a 131) sono dedicate al “rapporto medico-paziente”. Alleghiamo, per i nostri lettori, l’articolo, dall’eloquente titolo “Dottore, parlami”.

Tra i fondatori della “Slow Medicine”, Antonio Panti, presidente dell’Ordine di Firenze e da sempre attento ai temi di bioetica. Alla sua voce abbiamo dunque affidato l’”Elogio della lentezza in medicina”. Di seguito, la sua testimonianza.

SLOW MEDICINE OVVERO ELOGIO DELLA LENTEZZA

Il dilemma del dottore. Che vorrebbe battere ogni record, realizzare l’antico detto, citius, fortius, altius, il motto di tutti i campioni, ed ha un sogno: più prestazioni, uguali per qualità, nel minor tempo possibile. Così si agisce in medicina. Ma a quello stesso medico si chiede di ascoltare i pazienti, e l’ascolto richiede tempo, come nella “medicina narrativa”, e di ponderare assai prima di proporre accertamenti inutili o terapie superflue. Nel mondo della frenesia, della velocità, della sfrenata competizione, si è inopinatamente accusati di non saper sostare, di non colloquiare. E’ vero, da molteplici brevissimi incontri non può nascere una concreta alleanza terapeutica.

“La furia la vuol la calma”, è un vecchio adagio fiorentino. E non si tratta tanto di una forma di accortezza nel fare, quanto di riconquistare un atteggiamento interiore. Lento, calmo, accogliente, sereno, equanime.

“Lentitia” significa flessibilità, duttilità, e lento è chi procede piano ma con tenacia, cautamente. “E tu lenta ginestra” ti pieghi di fronte alle avversità per poi rifiorire, umile ma tenace. Elogio della lentezza come abito di chi non ha fretta, è parco, non grida, non corre, non si scontra, preferisce ascoltare, riflettere, essere flessibile, prendersi il tempo necessario.

Alcuni colleghi, anch’io, hanno fondata una associazione per la “slow medicine”, per marcare il contrasto con la medicina di oggi ma anche per indicare una via di riflessione, un “mettere la palla al centro” per ricominciare con minor esasperazione, con toni più bassi, competitività ma anche tolleranza, per dare il giusto valore alle cose. E’ importante vincere la malattia almeno quanto restituire dignità, libertà e un pizzico di felicità all’uomo che soffre. L’uomo deve sentirsi compreso oltre che curato.

La lentezza applica tre virtù, la sobrietà, cioè l’abitudine a fare il necessario, non il superfluo (l’accanimento diagnostico e terapeutico è ubiquitario nella medicina moderna); il rispetto, cioè l’attitudine umana e mentale all’ascolto, alla tolleranza, all’evitare giudizi morali, a considerare il tempo del colloquio come tempo di cura, forse il più importante nel rapporto col paziente; la giustizia, cioè la capacità e la voglia di battersi contro ogni discriminazione, di fare soltanto ciò che serve, avendo sempre in mente i diritti di tutti e della collettività.

In un pronto soccorso moderno, di quelli da 200 accessi al giorno, queste sembrano ingenue elucubrazioni; non c’è scampo alla medicina fast, anzi bisogna perseguire ritmi sempre più veloci. Con tutti i limiti delle situazioni estreme, è l’abitudine mentale alla lentezza che deve essere riconquistata. Nel grande ospedale e nella medicina generale. Anche per resistere razionalmente alle immani pressioni che ogni giorno gravano sulla sanità.

Star dietro alla vere o presunte conquiste della scienza o ai mirabolanti progressi, applicabili o no, della tecnica, costringe i medici a una continua rincorsa, in un clima sempre più enfatizzato e illusorio verso una quasi conquistata immortalità. E’ eccessivo proporre una moratoria alle notizie di stampa in modo da valutare intanto quello che c’è di veramente nuovo in medicina?

Un fatto è certo, che questo cambiamento non può passare dai soli medici. Si riflette male se manca la solidità economica e si deve lottare quotidianamente per la sopravvivenza dei servizi, se latita l’impegno delle direzioni e si insiste a valutare i medici per la quantità e non la qualità dei risultati, se è carente la formazione, dimentica degli aspetti umanistici della medicina, se, infine, non sono coinvolti i professionisti, che per primi debbono essere convinti del processo di cambiamento.

I vantaggi della Slow Medicine sono evidenti: diminuire il rischio clinico, implementare la medicina narrativa e quindi la comprensione del paziente, acquistare tempo, il tempo per promuovere la salute, educare alla sanità, prevenire le malattie.

Ribelliamoci a una medicina che ci condiziona come uomini, fautrice di disaffezione. Oggi il ritmo di lavoro lo dettano alla professione politici, amministratori, giornalisti, associazioni di pazienti, aziende chimiche, magistrati. E i medici? Riconquistiamo il dominio del nostro tempo! Chi vuol fondare un’associazione per il tempo di cura? Slow Medicine.

Antonio Panti

Autore: Redazione FNOMCeO

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