Equiparazione psicologi ai medici psichiatri

Consiglio di Stato Sentenza n. 6118/17 – Equiparazione psicologi ai medici psichiatri – Recupero somme indebitamente percepite – La disposizione contenuta nella legge 20 maggio 1985, n. 207, concernente l’inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle U.S.L ha carattere eccezionale, derogatorio del sistema delineato a regime dalla riforma sanitaria, che ha introdotto una netta distinzione tra il profilo professionale dei medici psichiatri e quello degli psicologi (D.P.R. n. 761/1979), e dunque è ad efficacia temporaneamente limitata, perché volta ad evitare una reformatio in pejus dello status giuridico di chi, essendo già stato ‘equiparato’, in ragione delle mansioni svolte e del luogo del loro svolgimento, al personale medico, sarebbe stato sostanzialmente ‘declassato’ al momento del transito nei ruoli delle U.S.L.. E d’altro canto, proprio la circostanza dell’avvenuta collocazione in una determinata funzione ‘superiore’ consente al TAR di riconoscere la sussistenza dell’interesse degli psichiatri ricorrenti, per le astratte potenzialità lesive future di tale inquadramento (certo non del trattamento giuridico economico conseguitone), legittimante, ad esempio, istanze di mobilità in posizioni assimilabili.  La delibera n. 394/1987, da esaminare in questa sede contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non si è limitata a riconoscere –erroneamente-agli interessati il trattamento giuridico-economico di equiparazione, ma li ha ‘inquadrati’ nella posizione funzionale ‘equiparata’ ad aiuto corresponsabile ospedaliero di psichiatria. La delibera, cioè, ha un doppio contenuto precettivo: da un lato l’equiparazione degli interessati psicologi psichiatri agli psichiatri “in quanto hanno svolto ‘funzioni psicoterapiche’, in un quadro di collaborazione e corresponsabilità con il Neuropsichiatra e con gli altri operatori del Servizio” (funzioni che dichiaratamente essi continuerebbero a svolgere presso la U.S.L.); dall’altro, l’”inquadramento” nella relativa funzione, che peraltro attiene allo specifico dell’organizzazione di quella U.S.L. e non sarebbe conseguita in automatico all’equiparazione medesima. Il TAR, limitandosi a ribadire l’insussistenza dei presupposti anche di fatto (l’esercizio pregresso di attività di tipo medico) legittimanti l’avvenuta equiparazione, non ha formulato valutazioni sulla mancanza di indicazioni circa l’attività concretamente svolta dai ricorrenti. L’accoglimento dell’appello e di conseguenza del ricorso di primo grado, rende superfluo esaminare l’ultimo profilo di doglianza: non emergendo dagli atti il mancato svolgimento delle funzioni per cui c’è stato l’inquadramento, poi annullato, non si rende necessario valutare la ragionevolezza delle statuite modalità di ripetizione, essendo illegittima, in assenza di istruttoria sul punto, la ripetizione ex se.

FATTO E DIRITTO: I ricorrenti sono tutti psicologi transitati nei ruoli della ex A.U.S.L. n.28 ‘Bologna nord’ da Consorzi socio sanitari tra enti territoriali, presso cui prestavano servizio in precedenza. Con deliberazione del Comitato di gestione della U.S.L. n. 394 del 24 febbraio 1987, essi venivano equiparati agli psichiatri sulla base della -erronea- applicazione dell’art. 14, comma 3, della legge 20 maggio 1985, n. 207. Avverso tale inquadramento ha proposto ricorso un gruppo di medici psichiatri. Con la sentenza n. 166 dell’8 giugno 1992 del Tar Emilia-Romagna, sez. di Bologna, confermata in appello dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 599 del 7 giugno 1999, la delibera in questione veniva annullata. Già nelle more della definizione del giudizio d’appello, la U.S.L. n. 28, con deliberazione n. 3026 del 18 giugno 1992, provvedeva a ripristinare il corretto inquadramento degli interessati quali psicologi coadiutori; solo a distanza di anni, tuttavia, ovvero con la impugnata delibera n. 894/1997, l’Amministrazione disponeva anche il recupero delle somme erogate in ragione di tale illegittimo inquadramento. Nel caso di specie non troverebbe applicazione l’art. 2126 c.c., in quanto «non vi è stato alcun esercizio di mansioni superiori tanto che la sentenza di questo TAR confermata in appello, che ha annullato la delibera di conferimento dell’inquadramento come psicologi-psichiatri, fonda la sua motivazione sul fatto che nessuna delle ricorrenti abbia svolto un servizio presso quelle strutture che sole davano diritto alla equiparazione prevista dall’art. 14 L.207/85».Con l’appello in esame, i ricorrenti hanno impugnato la sentenza del TAR ed hanno chiesto che, in sua riforma, il ricorso di primo grado sia accolto. Alla base del ricordato contenzioso, si pone la corretta lettura della disciplina transitoria contenuta nella l. 20 maggio 1985, n. 207, concernente l’inquadramento diretto nei ruoli nominativi regionali del personale non di ruolo delle U.S.L.: in relazione a quella specifica categoria di personale all’epoca denominata degli ‘psicologi psichiatrici’ o, più correttamente, degli ‘psicologi psichiatri’ , l’art. 14, comma 3, ha espressamente previsto che, ove fossero già stati «equiparati agli psichiatri a norma delle leggi 18 marzo 1968, n. 431, e 21 giugno 1970, n.515, in quanto svolgenti funzioni psicoterapiche», avrebbero avuto diritto al «trattamento giuridico-normativo di equiparazione anche ai fini dell’inquadramento nei ruoli nominativi regionali». La disposizione ha carattere eccezionale, derogatorio del sistema delineato a regime dalla riforma sanitaria, che ha introdotto una netta distinzione tra il profilo professionale dei medici psichiatri e quello degli psicologi ( d. P.R. n. 761/1979), e dunque è ad efficacia temporaneamente limitata, perché volta ad evitare una reformatio in pejus dello status giuridico di chi, essendo già stato ‘equiparato’, in ragione delle mansioni svolte e del luogo del loro svolgimento, al personale medico, sarebbe stato sostanzialmente ‘declassato’ al momento del transito nei ruoli delle U.S.L. (sulla lettura della norma come eccezionale e transitoria, cfr. ex plurimis Cons. Stato, Sez. II, n. 2536 del 19 maggio 2015; id., n. 4264 dell’11 giugno 2015). All’esame del Collegio è dunque la sola conseguenza che l’Amministrazione ha inteso trarre da tale annullamento, ovvero l’obbligatorietà del recupero delle somme eccedentarie indebitamente erogate, di cui alla deliberazione n. 894/1997. Salvi gli effetti della sentenza che ha annullato la delibera di inquadramento, nella specie i lavoratori avevano effettuato le prestazioni riconducibili agli atti – sia pure illegittimi – di inquadramento. Sul punto, il Consiglio di Stato ha già avuto modo di affermare che «gli emolumenti erogati per tali funzioni» (conseguenti ad illegittimo inquadramento, poi annullato, «oltre ad essere stati percepiti in perfetta buona fede, sono da considerare quali controprestazioni delle mansioni effettivamente e legittimamente (per la presunzione di legittimità che assiste gli atti amministrativi fino al loro annullamento) svolte». Qualora il recupero derivi dall’annullamento in autotutela di un illegittimo inquadramento, «la P.A. deve tener conto del principio di corrispettività delle prestazioni di lavoro subordinato medio tempore espletate dal dipendente stesso e, in particolare, non deve effettuare la ripetizione, se accerti che quest’ultimo abbia svolto, nel periodo considerato, le mansioni effettivamente corrispondenti alla qualifica superiore illegittimamente attribuita». Se da un lato, infatti, allo scopo di negare l’equiparabilità, proprio in relazione all’attività pregressa, si afferma che «Nessun riscontro probatorio è dato poi rinvenire dalla generica affermazione che gli appellanti godessero presso gli enti di provenienza di un trattamento giuridico-economico equiparato a quello spettante al personale medico (il quale, peraltro, neppure avrebbe potuto essere concesso» (cfr. la sentenza del Cons. Stato), dall’altro, si ribadisce anche che gli psicologi psichiatrici «beneficiano della posizione funzionale equiparata ad aiuto corresponsabile ospedaliero di psichiatria e che il dipendente è assunto nella funzione, non nel posto per cui (in base alla normativa sulla mobilità del personale dipendente delle UU.SS.LL.) può essere trasferito presso altri servizi della USL purché nella stessa funzione» (v. la sentenza del TAR per l’Emilia Romagna).

Tant’è che, si legge ancora in sentenza, nelle more del giudizio, ad una delle appellanti è stato attribuito l’incarico di responsabile del cosiddetto ‘Servizio materno infantile’ (S.I.M.A.D.), con ciò ponendola in posizione sovraordinata al personale medico che in tale servizio operava.

E d’altro canto, proprio la circostanza dell’avvenuta collocazione in una determinata funzione ‘superiore’ consente al TAR di riconoscere la sussistenza dell’interesse degli psichiatri ricorrenti, per le astratte potenzialità lesive future di tale inquadramento (certo non del trattamento giuridico economico conseguitone), legittimante, ad esempio, istanze di mobilità in posizioni assimilabili.

 La delibera n. 394/1987, da esaminare in questa sede contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, non si è limitata a riconoscere –erroneamente-agli interessati il trattamento giuridico-economico di equiparazione, ma li ha ‘inquadrati’ nella posizione funzionale ‘equiparata’ ad aiuto corresponsabile ospedaliero di psichiatria.

La delibera, cioè, ha un doppio contenuto precettivo: da un lato l’equiparazione degli interessati psicologi psichiatri agli psichiatri «in quanto hanno svolto ‘funzioni psicoterapiche’, in un quadro di collaborazione e corresponsabilità con il Neuropsichiatra e con gli altri operatori del Servizio» (funzioni che dichiaratamente essi continuerebbero a svolgere presso la U.S.L.); dall’altro, l’«inquadramento» nella relativa funzione, che peraltro attiene allo specifico dell’organizzazione di quella U.S.L. e non sarebbe conseguita in automatico all’equiparazione medesima).

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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