• Home
  • Articoli in evidenza
  • Equità e universalità per un servizio sanitario a misura d’uomo. Il valore della cura del malato al centro del discorso del Papa a due associazioni di medici italiani

Equità e universalità per un servizio sanitario a misura d’uomo. Il valore della cura del malato al centro del discorso del Papa a due associazioni di medici italiani

A 45 anni dalla sua strutturazione, con la legge 833 del 1978, il Servizio sanitario nazionale italiano (Ssn) appare in buona forma ma è evidente che cominciano anche ad emergere una serie di malfunzionamenti che, in alcuni casi, potrebbero dirsi noti o addirittura ormai cronicizzati. Lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a Torino, ha definito il Ssn un «patrimonio prezioso da difendere e adeguare».

L’incontro con i membri dell’Associazione otorinolaringologi ospedalieri italiani (Aooi) e della Federazione italiana medici pediatrici (Fimp) dello scorso 18 novembre ha offerto al Pontefice una nuova occasione per affrontare il tema dello stato di salute della sanità in Italia e in particolare del Ssn.

Nel suo discorso Papa Francesco coglie da un lato le criticità del sistema, dall’altro alcuni tratti essenziali del mondo della cura. La recente esperienza pandemica ha inciso profondamente sulle popolazioni, senza esclusione. Nei curanti si è vissuto un iniziale senso di disorientamento e di impotenza al quale si è subito reagito con dedizione, ricerca, scienza e clinica. Questo ha avuto un costo elevato in termini di fatica e sacrificio. Fino a coloro che hanno consegnato la loro vita alla storia: ad oggi il conteggio ha raggiunto il numero di quasi 500 morti tra medici e infermieri in pandemia da Covid-19, oltre gli altri professionisti sanitari.

La carenza di personale sanitario non incide solo sulla quantità e sulla qualità della cura offerta alla popolazione, ma anche sulle condizioni di lavoro e sui carichi di stress correlato dei sanitari stessi. Mentre appare superabile la carenza dei medici che nei prossimi anni, entro il 2026-2028, verranno integrati dai giovani laureati che entreranno in servizio, risulta invece sempre più allarmante la carenza di infermieri che entro il 2030 potrebbe arrivare fino ad un fabbisogno di 100 mila risorse. È necessaria una ridistribuzione degli impegni e delle mansioni nelle professioni infermieristiche, pensando come meglio integrare figure socio-sanitarie, riconoscere la giusta professionalità agli infermieri ora laureati, ai quali però va anche offerto un percorso di progressione della carriera lavorativa, insieme a percorsi di specializzazione che li preparino alle nuove mansioni.

Il Papa incoraggia i giovani a scegliere per i loro studi le professioni di cura, che risulta essere un modo peculiare anche di vivere il Vangelo servendo il prossimo, i fratelli e le sorelle sofferenti. Un sano antidoto ad una società individualistica che fatica ad anteporre il bene dell’altro agli interessi propri.

Una conseguenza di medio periodo del tempo pandemico, rileva il Santo Padre, sono anche tutti i percorsi di screening e prevenzione che non si sono potuti effettuare. La prevenzione è uno strumento eccezionale per difendere la salute della popolazione e una diagnosi precoce porta più facilmente a cure adeguate e percorsi di guarigione possibili. Se le liste di attesa per test diagnostici e percorsi di cura erano già affollate, ora risultano inaccettabili. Il pericolo è di veder aumentare le povertà sanitarie, con la crescita della spesa sanitaria privata e, inevitabilmente, una maggiore disparità tra chi ha risorse economiche per curarsi e i poveri, rischiando di tradire quel principio universalistico su cui è basato il Ssn, nonché quell’articolo 32 della Costituzione italiana che ci chiede cure «gratuite per gli indigenti». Questo si intende per equità in salute.

Non ci può essere discrimine alcuno nell’accesso alle cure, in quanto lo stesso dettato costituzionale le configura come diritto dell’individuo ed interesse della collettività, in quanto il benessere individuale concorre al benessere comune.

Come mantenere e migliorare un sistema così necessario per la salvaguardia e la cura della persona? Molto spesso vengono offerte visioni e proposte di tipo economico, come aumentare le risorse, oppure di tipo gestionale, cambiare le organizzazioni, infine di tipo strategico, curare alcune patologie piuttosto che altre. L’allocazione delle risorse, che non sono per loro natura infinite, è un problema etico prima che economico-organizzativo. Si deve intervenire prima a livello culturale e poi normativo. Il riconoscimento della fragilità come naturale condizione antropologica della persona aiuterà a combattere un modello falsato di “sempre sano, sempre vincente” presente nella cultura, ci riconcilierà con le nostre ferite e ci porterà ad accogliere quel limite che è proprio di ogni individuo. Potremo allora vedere la malattia come esperienza dell’umana vulnerabilità, e la morte come compimento del magnifico percorso che è la vita, ricevuta e donata ancora, per poi realizzarsi “alla sera della vita”, come vita piena dopo il termine dell’esperienza terrena.

Tanti cappellani e assistenti spirituali, sacerdoti, diaconi, religiose e laici, sono presenti nei luoghi della sofferenza per farsi carico della cura spirituale delle persone malate. Anche loro, curanti della dimensione spirituale, portano compassione, in quella relazione empatica che è elemento indispensabile di cura.

I professionisti della cura sono chiamati a rileggere il senso ultimo della loro scelta, a recuperare quella dinamica relazionale che è propria della medicina, scienza e arte insieme, nella quale se prevale una delle due si decade in uno sterile scientismo che disumanizza la cura oppure in improbabili percorsi privi dei necessari fondamenti scientifici su cui si basa lo stesso progresso della medicina e delle possibilità di cura.

Non si abbia timore di accogliere l’invito di Papa Francesco ad adottare stili di cura con atteggiamenti di vicinanza, compassione, tenerezza. Vale per le persone malate così come per tutti i curanti, in una nuova alleanza di reciproco rispetto che riumanizzi le relazioni tra curanti e curati. Ne abbiamo tutti bisogno. In fondo si tratta di persone che curano persone.

di Massimo Angelelli
Direttore dell’Ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana (Cei) per la pastorale della salute


Pubblicato su L’Osservatore romano 

Autore: Redazione

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.