Ogni anno, nel nostro Paese, un milione e mezzo di persone si spostano per curarsi o per accompagnare qualcuno a farlo in un’altra regione. Sono i cosiddetti “migranti sanitari” che vanno alla ricerca delle cure di cui hanno bisogno fuori dalla regione di residenza, dove ritengono di poter trovare un’assistenza più adeguata.
La fotografia di questo fenomeno emerge da un’indagine commissionata al Censis dalla Onlus Casamica di Milano, che evidenzia che dei 750 mila pazienti che ogni anno vengono ricoverati fuori dalla regione di residenza, il 12% è a non più di 50 chilometri da casa, uno su quattro non supera i 100 ma quasi altrettanti (il 23%) ne macinano più di 400. Quasi metà dei migranti sanitari non sono motivati dall’assenza di alternative, ma dalla ricerca di cure di qualità, perlopiù non giustificate da patologie gravi. Infatti, 230 mila malati si spostano tra due regioni del Nord, e 119 mila dalle nove meno popolose alle nove più grandi (16 mila arrivano in Lombardia), ad esempio verso i 12 grandi poli ospedalieri che da soli attirano il 25% dei pendolari; due, l’Istituto nazionale dei tumori e il San Raffaele, sono a Milano.
Il 26% dei “migranti sanitari” – più di 1 su 4 – si sposta invece per necessità: nella sua regione non trova cure adeguate o i tempi d’attesa troppo lunghi. In questo caso il flusso è soprattutto da Sud a Nord: 218 mila persone ogni anno percorrono oltre 400 chilometri per raggiungere ospedali pediatrici, ortopedici e oncologici. I pazienti partono soprattutto da Campania (56 mila), Sicilia (43 mila), Calabria e Puglia (40 mila), diretti principalmente in Lombardia (62.7000 migranti). E si ritrovano ad affrontare, oltre alla malattia, trasferimenti lunghi e costosi: l’85% dei migranti a lunga distanza ha un accompagnatore, uno su tre ha speso oltre 500 euro per l’alloggio e oltre 100 per il vitto, il 12% s’è dovuto assentare dal lavoro.
“Serve una riforma che sia capace di ricucire la frattura tra il Nord e il Sud del Paese e di superare le diseguaglianze nell’accesso al diritto alla salute”, ha dichiarato pochi giorni fa Filippo Anelli nella sua prima relazione da Presidente al Consiglio nazionale della Fnomceo. “La garanzia del diritto alla salute non può essere affidata solo a criteri di utilità economica e dinamiche di mercato, perché rischia di perdere per strada i principi di universalità, uguaglianza e giustizia sociale riconosciuti dalla nostra Costituzione. Un sistema sanitario solidale come il nostro – una delle grandi conquiste di civiltà del nostro Paese – deve invece porsi obiettivi di salute e non può accettare differenze così marcate tra Nord e Sud, tra regione e regione, tra Asl e Asl. Nella valutazione dell’efficacia-efficienza delle politiche per la salute il contenimento della spesa sanitaria dovrebbe essere interpretato come vincolo e non come fine. Il paradosso del processo di aziendalizzazione in Sanità è che invece di rendere il sistema più efficiente, lo ha reso sempre meno competitivo rispetto al privato”.
Fonti:
Prima relazione di Anelli al Consiglio nazionale Fnomceo
Autore: Redazione