L’approccio di genere non è ancora diventato parte integrante della nostra pratica sanitaria, nonostante il grande interesse e le considerazioni in ambito scientifico e culturale. Sappiamo bene che i farmaci presentano differenze tra uomo e donna nel modo in cui sono assorbiti, distribuiti nel corpo, metabolizzati ed eliminati. Se per anni l’infarto nelle donne è stato sottostimato, mentre la diagnosi e l’ospedalizzazione sono state tardive, oggi permangono disparità di genere negli indicatori di tempestività diagnostica per i tumori urologici.
Il pregiudizio di genere colpisce ugualmente l’uomo. Classico esempio la clinica dell’osteoporosi, che nell’uomo presenta un più elevato tasso di morbilità e mortalità, pur con incidenza complessiva di fratture più bassa. Solo recentemente sono comparse le prime indicazioni posologiche di genere dalle agenzie regolatorie FDA all’EMA all’AIFA.
Quasi tutta la ricerca si basa su singole malattie ed esclude – come purtroppo risaputo – pazienti complessi e anziani. In Italia, un anziano su due oltre i 65 anni assume dai cinque ai nove farmaci al giorno. In Inghilterra la percentuale dei pazienti con 10 o più farmaci è salita, in dieci anni, dall’1,9% al 5,8%, diventando il 17% tra gli ultrasessantacinquenni. Un eccessivo numero di farmaci può contribuire ad una scarsa aderenza terapeutica, e aumenta la possibilità di una ridotta appropriatezza. Persino il destino cellulare ha dimensione di genere. Lo stress ossidativo, stimolo alla base di numerose patologie produce risposte diverse nell’uomo e nella donna. Conoscere il sesso delle cellule su cui si sperimenta è fondamentale, perché anche le cellule staminali, cordonali, hanno un diverso effetto ed efficacia in base al sesso del donatore e al sesso del ricevente.
Oggi donne consapevoli chiedono di poter essere curate in modo appropriato con processi decisionali personalizzati e condivisi, con maggior attenzione alla persona, oltre che alla patologia in sé. Molte donne medico hanno cercato, nei diversi Ordini, strategie per azioni mirate e diversificate, percependo in questo approccio un mezzo per dare significato e valore alle differenze e alla relazioni medico- paziente.
La medicina di genere è diventata il primo passo verso una medicina personalizzata, verso una diagnosi e una terapia su misura per ciascun paziente e non solo una cura per la malattia.
Tanti Ordini si sono impegnanti in eventi di formazione per approfondire la conoscenza della medicina di genere. La Federazione nell’organizzare a Firenze venerdì 6 giugno con il locale Ordine un convegno nazionale dedicato alla Medicina di Genere presenta la medicina di genere come tema rilevante per la vita della professione: con il suo essere primo provider di formazione in Italia, potrà diffondere il contributo delle conoscenze scientifiche nelle decisioni di organizzazioni, operatori sanitari e pazienti. Potrà forse anche istituire un gruppo di lavoro ad hoc per meglio seguire lo sviluppo della medicina di genere.
Nel comitato scientifico del convegno le donne medico e la medicina di genere sono presenti espressioni del locale Ordine con il presidente Antonio Panti, e le colleghe Teresita Mazzei, Maria Antonia Pata e Carla Zamboni insieme ad altre autorevoli colleghe.
L’Osservatorio FNOMCeO della professione femminile è chiamato a partecipare alla tavola rotonda “Politiche sanitarie e medicine di genere: realtà e prospettive”. Per questo invitiamo tutte le colleghe e i colleghi a farci pervenire informazioni su quanto la medicina di genere sia presente nei territori.
Lo facciamo allegando una griglia di domande (cliccare qui per scaricare l’allegato) per fotografare la realtà e meglio comprendere quanto la medicina di genere sia diventata parte integrante della nostra formazione medica e culturale in senso lato.
Autore: Redazione FNOMCeO