Da tempo la Federazione sta seguendo – o meglio: sta stimolando – la riflessione sulla professione medica, interpretando secondo rigore etico e respiro storico i mille diversi incroci tra ars medica, nuova cultura tecnologica, globalizzazione e criticità ad essa connesse, crisi economica e necessità di un approccio solidale. Ad essere in prima linea sulla riflessione culturale strettamente connessa con la necessità di identificare le relazioni più corrette tra “essere medico” e “contemporaneità” è Maurizio Benato, vicepresidente nazionale FNOM. Ecco le sue risposte in questa tornata di interviste di fine anno.
Presidente Benato: anche quest’anno la Federazione ha sviluppato un ampio dibattito sui temi della cultura medica e del "sapere medico": Come possiamo sintetizzare oggi le tematiche guida su cui la FNOM ha svolto la sua "riflessione" quest’anno?
Per rispondere mi è necessaria una breve premessa. La sanità, come si sa, da venti anni a questa parte è un cantiere in continua attività, se non altro per mantenere la sostenibilità del sistema salute. La stessa attenzione non viene posta alla medicina che presenta serie difficoltà epistemologiche nel produrre conoscenza . Oggi la scienza medica moderna da dimostrazioni di fallimento , per cui alle attuali conoscenze e tecniche corrispondono risultati decrescenti rispetto alla totalità degli investimenti. È un paradosso della nostra cultura medica,tant’è che siamo di fronte ad una costante divaricazione dei fini della medicina, rispetto ai fini della sanità. Occorre allora affrontare le problematiche connesse ai cambiamenti della medicina quale scienza e pratica relativa alla salute umana. Ci siamo pertanto chiesti , quali sono le innovazioni di pensiero da introdurre nella pratica medica , che si muove tra sapere scientifico e modalità ermeneutica . Ci siamo interrogati sul perchè dello hiatus sempre più ampio tra efficacia ed efficienza fonte di notevoli problemi. Ci siamo interrogati sullo smarrimento per quanto riguarda lo scopo storico della medicina anche perchè il concetto di "malattia" e di converso quello di "salute" non sono così ovvi come nel passato. Abbiamo indagato la complessità del soggetto malato, inteso come essere e persona e ci siamo posti la domanda i come riconoscerne l’attualità nei contesti al di là delle sue implicazioni biologiche .
Sin qui i molti interrogativi che vi siete posti. Avete identificato alcune risposte?
Diciamo che siamo arrivati ad alcune conclusioni , ne indico le piu’ importanti : la necessita di produrre conoscenza riformulando il metodo ancora saldamente fondato su ragionamenti meccanicistici di tipo fisiopatologico e sviluppato sull’esperienza di una epoca industriale che ormai appartiene alla storia , rivedere i concetti di salute e di malattia in un contesto molto più ampio di quanto fin d’ora preso in considerazione , contesto, da cui non possono essere estranei da un lato l’ambiente ecologico e sociale , dall’altro le modificazioni profonde dello stato ontologico del malato.
L’invadenza della tecnica e la carenza di un atteggiamento umanistico è un tema già approfondito da Karl Jaspers, ma che sta diventando sempre più banco di prova per una medicina che vuole fortemente rimanere una "scienza umana". Quali posso essere i caposaldi di una nuova medicina che cerca di rimanere "atto umano" nell’utilizzazione sempre più cosciente di "tecniche e tecnologie"?
È vero e lo sperimentiamo tutti i giorni. La tradizione biomedica convenzionale considera la medicina come scienza e il medico, in forza di questo, una specie di scienziato che produce diagnosi avvalendosi di un metodo che falsificando di volta in volta le ipotesi arriva alla verità clinica. Dobbiamo prendere atto, per tanti versi, che lo studio dei Sistemi Biologici e delle Scienze Comportamentali non può essere effettuato unicamente attraverso l’approccio meccanicista perché appare chiaro che tali sistemi non si riducono ad una semplice somma delle parti e la comprensione della totalità non può essere conseguita attraverso l’analisi delle singole unità e successiva somma delle stesse. A ben guardare sono tutti concetti che storicamente hanno contribuito a definire gli ambiti della medicina, così la categoria filosofica dell’unità e della totalità del corpo con la sua psiche, così anche la categoria di ambiente. Si tratta solo di farne un terreno di azione dove la medicina deve recuperare il concetto di disciplina idiografica e non nomotetica , deve saper interpretare i fatti umani valorizzando l’intenzionalità degli attori e i contesti. Quanto affermo non significa che i dati desunti da analisi cliniche e dalla moderna diagnostica strumentale non abbiano valore in sé, così come non significa che non valgono le leggi chimiche e fisiche da cui questi dati scaturiscono, si tratta di considerarli strumenti che, pur non fornendo la verità comunque guidano ad essa. La differenza che sussiste tra “medicina scientifica” e la “vera e propria arte medica” si rivela nel divario esistente tra “sapere generale” e “applicazione concreta” di siffatto sapere alla singola persona.
Cooperazione internazionale, contributo dei medici nelle situazioni a forte impatto di povertà e di guerre: il convegno di Roma da lei promosso ha avuto grande seguito e buona eco. Che passi sono stati fatti "dopo" l’evento? L’ipotesi di rendere più agibile un periodo di "servizio medico volontario" in Paesi in via di sviluppo è sempre al centro delle attenzioni?
È di certo presente nelle mie intenzioni , condivise all’interno del comitato centrale, che ha appena licenziato nel bilancio previsionale per il 2014, un capitolo di spesa dedicato alla cooperazione internazionale nell’ottica della formazione di personale medico da inviare nei paesi in via di sviluppo. Il tema della tutela della salute globale è un tema dalle forti implicazioni umane e sociali tali da rendere ineludibile un confronto con la dimensione etica relativa al ruolo politico e alla responsabilità della professione medica. Mi sono impegnato pertanto nel far emergere la necessità di una riflessione sulla dimensione transnazionale della salute, nella convinzione che mai come oggi il contributo che può dare la medicina può risultare decisivo, non solo nel suo scopo storico ma anche nella comprensione delle complesse relazioni tra società, salute e sviluppo. Dobbiamo renderci conto che esiste una forte interdipendenza nel campo della salute, un tema che richiede differenti approcci per essere affrontato. Occorre senz’altro, accanto ad una informazione attendibile sul come migliorare la qualità dei servizi sanitari nei paesi in via di sviluppo, saper valorizzare gli operatori sanitari con una formazione di qualità ricalibrandone le competenze alla luce delle trasformazioni delle rispettive società di appartenenza; tutti temi che come si puo’ capire sono molto sensibili politicamente e che vanno ben al di là della realtà medica richiamando scenari in cui i principali attori in gioco sono le istituzioni locali, nazionali e internazionali, i governi e le associazioni della società civile . Una FNOMCEO quindi con un fine etico di promozione di azioni politiche concrete che garantiscano equità,accessibilità,qualità e adattabilità degli interventi sanitari laddove povertà ed esclusione sociale si sommano allo svantaggio della malattia.
È proseguito quest’anno anche il dialogo con il mondo della sanità militare: che frutti sta dando?
Posso finalmente annunciare che la proposta di un articolo del codice deontologico dedicato alle peculiarità della medicina militare ha ottenuto il parere favorevole del ministero della Difesa e del Capo di stato maggiore della Difesa. Da alcuni anni la medicina militare è un tema ricorrente nella riflessione morale italiana. Alcuni incontri, cui ho contribuito con alcune relazioni, sono state occasioni importanti per confrontarsi sul ruolo del medico militare e per riflettere sulle implicazioni spesso scomode cui egli deve far fronte per la sua adesione, in qualità di medico, ai principi etico-deontologici. In verità il medico militare obbedisce al codice militare che ha valore di norma primaria e che recentemente è stato modificato e oggetto di norma di legge e che tra l’altro non impone l’iscrizione obbligatoria agli ordini dei medici. Il fatto che oggi la medicina militare sia oggetto di tanto interesse meriterebbe forse un approfondimento più puntuale di quello che in quest’occasione posso offrire. La professione militare e del medico militare in particolare ha acquisito nella nostra società un’importanza sempre più crescente, dovendo rispondere ai bisogni sociali, economici e culturali della società e questo vale ancor più ora, visto che chi tra di noi indossa oggi le stellette lo fa per sua scelta e con una aspettativa di auto realizzazione professionale.
Recentemente lei è intervenuto al convegno internazionale Unesco dedicato alle relazioni tra medicina, professione e tematiche bioetiche. Mentre il mondo culturale si interroga sui nuovi valori e sui nuovi diritti, quale è il contributo che può portare la professione medica e la riflessione che si svolge all’interno di essa?
Il Rapporto uomo–natura è oggi notevolmente influenzato dalla tecno-scienza. Dobbiamo anche prendere atto che c’è, nella nostra società, una preminenza netta della ragione strumentale sulla saggezza pratica. La ricerca, la scienza, la stessa tecnica vengono spesso percepite purtroppo come spazio dell’assoluto fuori dal controllo etico. Occorre un modello culturale nuovo in cui l’uomo possa imparare a rinunciare a tutta una serie di valori indotti dalla cultura dello “spreco” a tutti i costi per eliminare la prima e più pericolosa forma di inquinamento che è l’ inquinamento della coscienza collettiva; e questo penso sia un compito della nostra professione in ambito educativo. Nella prassi professionale penso non dobbiamo opporci a priori al progresso scientifico-tecnologico, opposizione che del resto appare in pratica impossibile, oltre che ingiustificabile, ma capire quale siano i portati filosofici e i limiti deontologici cui richiamarci, nell’idea – citando ancora Karl Jaspers – che “nell’unione dei compiti di scienza e filosofia risiede la condizione essenziale che rende oggi possibile la conservazione dell’idea di medico”. Sono convinto che la pratica del medico sia concreta filosofia.
Proprio ricollegandoci a questa sua ultima affermazione, registriamo che la Federazione sta svolgendo il suo ruolo conducendo da un lato riflessione culturale, dall’altro posizionando i temi più tecnici della professione, dalla formazione alla deontologia. Questi due aspetti sono divisi o sono due facce coerenti della stessa presenza?
Il mondo della medicina, negli ultimi decenni ha subito una rivoluzione copernicana, sono cambiati il modo di intendere la propria salute, i bisogni sanitari, le tipologie dei servizi sanitari, la professione medica e le professioni sanitarie, le frontiere dell’etica . Questo quadro generale richiede al medico di sapersi misurare con un ambiente mutevole, reclama comportamenti adattativi e un costoso aggiornamento professionale e tecnologico, insomma un “cantiere professionale“ con l’obiettivo di favorire lo sviluppo del sapere e delle tecnologie con la giusta mentalità in un contesto di “governo clinico”. La professione medica si estrinseca in una relazione interpersonale che non è solo cura ma “prendersi cura di…”. Per questo l’etica conquista un suo spazio, porta il suo messaggio, il suo calore in un ambiente che non tollera di essere ridotto a un puro ambito burocratico-formale; ne consegue che la formazione medica, accanto alla valenza strettamente tecnica scientifica, ha sempre una propria specifica valenza e irriducibile valenza etica. Si tratta però di un privilegio che va difeso con ogni forza perché sono sempre più numerosi i pericoli che dentro e fuori minacciano la integrità della nostra missione.
Autore: Redazione FNOMCeO