Al centro del dibattito pubblico per diversi mesi, il caso dell’Ilva di Taranto ha spinto il mondo medico, soprattutto grazie alla mobilitazione degli OMCeO pugliesi, a interrogarsi sulla presunta antinomia tra salute e lavoro nell’epoca dell’economia globale. Una contrapposizione apparente che la FNOMCeO propone di superare attuando, finalmente, la Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS). In che modo ce lo spiegano Emanuele Vinci e Raimondo Ibba, rispettivamente, Coordinatore e Referente del Comitato Centrale del Gruppo di Lavoro FNOM su “Professione, Ambiente e Salute, Sviluppo”. Un gruppo che durante gli ultimi anni ha promosso incontri, dibattiti e sta “seminando” una profonda riflessione culturale in tutto il nostro Paese, anche in collaborazione con l’Isde, realtà coordinata da Roberto Romizi.
Presidenti Ibba e Vinci, quest’anno il gruppo di lavoro della FNOM sulle problematiche di salute e di ambiente ha proseguito il suo lavoro concentrandosi su alcune tematiche "calde". Potreste indicare i temi salienti su cui avete puntato l’attenzione?
Da circa tre anni abbiamo sviluppato la nostra attività con l’obiettivo di dare un ruolo sempre più incisivo alla professione medica nella tutela della salute, negli ambienti di vita e di lavoro.
La professione medica ha, infatti, nel suo codice genetico la consapevolezza del nesso indissolubile tra ambiente e salute; e nessuna comunità, nessun governo o singolo uomo può ignorare che l’essere umano è parte integrante di un più vasto mondo di relazioni e reazioni biologiche. E che la sua vita dipende dalle condizioni dell’ecosistema in cui è inserito.
La vicenda-Taranto ha assorbito l’attenzione nazionale e il mondo medico, grazie anche alla mobilitazione promossa degli Ordini pugliesi, è stato tra i promotori di una riflessione culturale importante. Oggi cosa ci si può aspettare dalla situazione tarantina?
Negli ultimi anni, la FNOMCeO ha, in più occasioni, lanciato l’allarme sul degrado dell’ambiente e sulle patologie correlate (“Manifesto di Padova sulla tutela della salute globale”, Consiglio Nazionale 31 maggio 2008). Il Codice di Deontologia Medica (art.5 , C.D.M. 2006), inoltre, ha ribadito che “Il medico è tenuto a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e lavora quale fondamentale determinante della salute dei cittadini. Il medico favorisce e partecipa alle iniziative di prevenzione, di tutela della salute nei luoghi di lavoro e di promozione della salute individuale e collettiva”.
Dopo il Convegno di Campobasso e le Giornate di Arezzo, dunque il Convegno di Taranto “Salute, ambiente e lavoro nella città dell’acciaio” ha rappresentato un momento importante di riflessione, a partire dalla constatazione che molte delle aree del nostro Paese, classificate “a rischio di crisi ambientale” dal DPR 23/09/98, possono ormai essere definite “aree di disastro ambientale”, in quanto il danno alla salute della popolazione provocato da attività altamente inquinanti e clima-alteranti è stato ampiamente documentato da studi e ricerche, nonché da indagini della Magistratura.
Negli ultimi anni si è assistito ad uno sviluppo esponenziale degli studi epidemiologici sulle interazioni tra ambiente e salute, che hanno richiamato l’attenzione pubblica sugli effetti potenzialmente dannosi derivanti dalle attività antropiche (produzione di energia, gestione dei rifiuti, sistema della mobilità, qualità dell’acqua e dell’aria, pratiche agricole, campi elettromagnetici). In particolare, sulle ricadute a lungo termine sulla salute, ossia quelle meno evidenti ma, una volta che si verificano, sono più difficili da tenere sotto controllo e recuperare gli effetti dannosi prodottisi.
Inoltre, tecniche innovative di indagine dei meccanismi molecolari e di sequenziamento genomico hanno permesso di approfondire la conoscenza di molti fenomeni biologici: dallo sviluppo ontogenetico (dall’uovo fecondato all’individuo) e filogenetico (relativo all’evoluzione della specie) sino all’acquisizione delle forme, dai processi fisiologici alle alterazioni patologiche e ai cosiddetti effetti epigenetici, ossia le modificazioni nell’espressione dei geni ma non nella sequenza del DNA. Tali ricerche e studi – in parte proprio riferiti alla vicenda dell’Ilva – hanno prodotto una significativa documentazione scientifica in merito alle correlazioni tra le alterazioni ambientali di origine antropica e l’insorgere di patologie e di modifiche ereditabili nell’espressione dei geni.
Al di la degli aspetti territoriali: cosa il Paese può imparare dalla vicenda ti Taranto?
Da tutto ciò non si possono che trarre due conclusioni: la prima è che le norme autorizzative delle varie attività antropiche (la Valutazione Impatto Ambientale, la Valutazione Danno Sanitario, ecc.) oggi vigenti sono del tutto inadeguate a prevenire i danni sulla salute.
La seconda è che le attuali attività di controllo effettuate dai Dipartimenti di Prevenzione delle ASL, dai Servizi di Medicina del Lavoro e dalle Agenzie Regionali per l’Ambiente ( tutti spesso carenti di risorse umane e materiali) hanno una capacità di indirizzo e di orientamento delle linee politiche del tutto insufficienti per garantire la prevenzione dei rischi per la salute, sia nell’ambiente di vita che in quello del lavoro.
L’impegno della FNOMCeO e del gruppo di studio “Professione, Ambiente e Salute, Sviluppo” non è ovviamente ricercare le responsabilità dei disastri ambientali (compito che spetta ad altre Istituzioni), ma è quello di elaborare proposte per attuare innovative procedure autorizzative – sul modello Valutazione di Impatto sulla Salute – e per rafforzare i sistemi di controllo, con l’impegno a tutelare l’autonomia e l’indipendenza della professione medica da qualsiasi condizionamento che non sia la tutela della salute negli ambienti di vita e di lavoro.
Taranto è solo un aspetto abnorme di una situazione in cui salute e lavoro sono posti in contrapposizione nel mondo delle economie globali. La professione medica come risponde a questa apparente antinomia?
La nostra proposta è di attuare, finalmente, la Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS), ovvero “una combinazione di procedure, metodi e strumenti tramite i quali una politica, un programma o un progetto possono essere giudicati sotto il profilo dei loro potenziali effetti sulla salute della popolazione e della loro distribuzione nell’ambito della stessa popolazione” (Congresso di Goteborg 1999). In tale innovativa procedura vanno definiti: a) i contesti in cui deve o può essere sviluppata, b) i responsabili del percorso di VIS, e i soggetti competenti, c) i metodi da utilizzare per ottenere le evidenze necessarie, d). i costi finanziari di tali procedure.
Tale valutazione va riferita a due principi fondamentali. Innanzitutto, il dritto all’informazione e alla salute: il primo passo per affermare il diritto alla salute è il diritto delle popolazioni a essere informate correttamente, in base alle evidenze scientifiche. La VIS deve coinvolgere le comunità locali, in quanto non può essere ignorato il diritto delle persone a partecipare a quelle scelte che possono condizionare le loro vite. Il modello elitario (le decisioni su materia tecnicamente complessa debbono restare nelle mani di chi è in grado di comprendere tale complessità) non corrisponde più alla sensibilità civile e democratica della popolazione. Sotto tale punto di vista è inaccettabile che le popolazioni interessate siano state tenute all’oscuro nella vicenda dei rifiuti tossici e radioattivi smaltiti, più o meno illegalmente, in alcune aeree del nostro Paese. Il diritto alla salute va attuato con l’informazione, la partecipazione e la democrazia nelle scelte.
Il secondo principio è l’alleanza tra salute e lavoro: da qualche anno il drammatico precipitare della crisi economica e sociale del Paese e dell’intero Occidente, con pesanti ricadute sull’occupazione specie giovanile, ha innescato una sempre più grande contrapposizione tra salute e lavoro, rendendo nell’opinione di vasti strati della popolazione quasi inconciliabili i due diritti (alla salute e al lavoro) pure sanciti dalla Costituzione Repubblicana.
Il dibattito aperto dalla vicenda Ilva di Taranto sembra essere emblematico proprio su questo terreno…
Si poiché si tratta di un caso in cui gli indispensabili interventi di bonifica territoriale e di superamento delle attuali modalità produttive vengono presentati e percepiti da vasti strati dell’opinione pubblica come causa di perdita del lavoro e di aumento della disoccupazione. In quest’ottica, la VIS va posta non come un’ulteriore procedura burocratico-amministrativa, che freni le iniziative pubbliche e private, ma come un “bollino verde” per tutte le attività antropiche capaci di creare lavoro compatibile con la salute. La VIS va attuata come una sorta di motore di un percorso di sviluppo economico e sociale nel quale la salute e il lavoro possano procedere di pari passo, nella convinzione che non c’è salute senza lavoro e lavoro senza salute.
È possibile anticipare alcuni dei temi o degli obiettivi della FNOM in ambito ambiente per il 2014?
La professione medica e la FNOMCeO mettono a disposizione il proprio impegno a fianco di tutte le forze culturali, sociali e istituzionali responsabili, affinché Salute, Ambiente e Lavoro non siano più in competizione tra loro, ma trovino il giusto equilibrio in una politica dello sviluppo economico, che dovrà essere compatibile con le esigenze collettive e individuali di salute, di tutela ambientale e di occupazione, contemperando le esigenze delle generazioni presenti con quelle delle generazioni future.
Autore: Redazione FNOMCeO