Nei giorni scorsi Il Gazzettino, primo quotidiano del territorio veneto, ha pubblicato a firma di Federica Cappellato, un articolo che raccoglie i dati dell’indagine conoscitiva sul "Benessere organizzativo e la qualità di vita dei medici e odontoiatri nel Veneto". Promossa da Federazione regionale degli Ordini dei medici, facoltà di Scienze statistiche dell‘Università di Padova, Comitato pari opportunità di Azienda ospedaliera, Ulss 16 e Iov, la ricerca è stata elaborata dal professor Luigi Fabbris, e dalle dottoresse Antonella Agnello e Silvana Bortolami, e resa pubblica per il tramite della professoressa Giovannella Baggio, presidente del Centro studi sulla medicina di genere.
La "guerra" dei medici "Io lavoro più di te"
Una ricerca universitaria ha messo a confronto il lavoro dei medici ospedalieri e di quelli che operano sul territorio. Per contro i medici del territorio manifestano insofferenza verso una presunta "saccenza" degli ospedalieri. E ancora: questi ultimi si sentono caricati di attività amministrative e investono molto tempo nell’esercizio effettivo della propria professione dedicandosi ad attività intra/extramoenia, i medici del territorio invece si concentrano nel seguire i pazienti e nell’aggiornamento professionale.
Entrambi lamentano l’eccessiva burocratizzazione del lavoro, la mancanza di occasioni di reciproco confronto, vivono una sensazione diffusa di difficoltà nel comunicare in modo costruttivo.
Ma i medici in servizio negli ospedali recriminano che i colleghi del territorio – dottori di famiglia, specialisti ambulatoriali interni, pediatri di libera scelta – delegano loro i casi più complessi senza aver prima effettuato una sufficiente analisi clinica.
Complessivamente soddisfatti per le attività svolte? Meno i primi (6.93, scala da uno a 10), di più i secondi (7.03). È quanto emerge dall’indagine conoscitiva sul "Benessere organizzativo e la qualità di vita dei medici e odontoiatri nel Veneto", promossa da Federazione regionale degli Ordini dei medici, facoltà di Scienze statistiche dell’Università di Padova, Comitato pari opportunità di Azienda ospedaliera, Ulss 16 e Iov. Elaborata dal professor Luigi Fabbris, le dottoresse Antonella Agnello e Silvana Bortolami, e resa pubblica per il tramite della professoressa Giovannella Baggio, presidente del Centro studi sulla medicina di genere, offre uno spaccato quantomai attuale su un rapporto – quello tra medici al lavoro dentro e fuori le mura ospedaliere – che da sempre fa scintille. I numeri a Padova: 1.000 gli ospedalieri in servizio tra Azienda di via Giustiniani, Ulss 16 e Istituto oncologico, oltre 300 gli universitari, circa 400 i "territoriali" a livello provinciale.
La ricerca ha coinvolto 1.444 camici bianchi veneti, per il 45,4% donne, che rappresentano il 37.4% dei medici dipendenti del Sistema sanitario nazionale, a fronte del 62.2 degli uomini.
Il medico del territorio si percepisce come una sorta di «tutore» del paziente, il cui compito è evitarne lo stato di malattia. Tra tutti gli altri prevale una tendenza diversa che ricalca una figura del medico come "curatore" cioè più interessato ad identificare la patologia tramite una diagnosi per poi poter stabilire una terapia.
I camici bianchi più giovani, in particolare di sesso femminile, dimostrano un maggiore coinvolgimento emotivo e il bisogno di creare (soprattutto nella medicina del territorio) un legame con il paziente, tanto che si può parlare di una sorta di «mitizzazione » dell’assistito. Tra i medici universitari le pubblicazioni hanno un peso maggiore rispetto alle altre categorie. L’esperienza lavorativa conta molto di più tra i dottori di medicina generale (20.4%) che tra gli specialisti ambulatoriali (8.8%). Le ore giornaliere che gli intervistati dedicano, in varia forma, al servizio del malato sono quasi dieci, anche ci sono alcune significative differenze a seconda del proprio stato civile: a lavorare nel weekend sono prevalentemente i celibi e le nubili.
Il Gazzettino – 13 maggio 2012 – Federica Cappellato
Autore: Redazione FNOMCeO