A grande richiesta dei colleghi giornalisti, ritorniamo su un tema che molto li ha interessati durante le celebrazioni per il Centenario degli Ordini Sanitari, tanto che numerose testate e trasmissioni televisive hanno manifestato l’intenzione di approfondirlo: il Giuramento professionale.
L’Ufficio Stampa ha voluto chiedere ai due giovani neolaureati che hanno rinnovato le loro promesse nel corso della Cerimonia a Santo Spirito in Sassia quali fossero le loro impressioni e i progetti per il futuro (leggi qui).
Il significato del giuramento professionale e il suo valore nell’attuale contesto sociale, invece, non potevano che essere esplicitati da Donatella Lippi, professoressa di Storia della Medicina presso l’Università di Firenze, che proprio su questo argomento ha tenuto la sua relazione davanti alla platea del Santo Spirito.
Professoressa Lippi, ripartiamo dalla domanda cruciale che si è posta durante il suo intervento: perché giurare oggi?
Oggi viviamo in un tempo senza giuramenti. Come nota Paolo Prodi in apertura del suo “Sacramento del potere”, noi siamo le prime generazioni che vivono nella collettività senza il vincolo del giuramento. Vincolo che, un tempo, sostituiva i dispositivi legislativi. Nel diritto romano, ad esempio, gli sponsali erano una sorta di contratto tra due persone con un valore ufficiale agli occhi della società. Una splendida sintesi di questo concetto è fatta da Ugo Foscolo in un verso de I Sepolcri: “e fu temuto su la polve degli avi il giuramento”.
Oggi al giuramento abbiamo sostituito le norme, che ci permettono di ottemperare agli obblighi sociali. Giurano solo alcune categorie, quelle votate a ideali assoluti: i ministri giurano fedeltà alla Repubblica, i soldati alla Patria, i magistrati alla Legge. In questo senso, ha valore il giuramento per coloro che si iscrivono agli Ordini sanitari: come assunzione di responsabilità nei confronti di quei principi Deontologici fondanti la professione, e, soprattutto, verso i pazienti.
Come avviene, ai nostri giorni, il Giuramento professionale?
La celebrazione del Centenario è stata l’occasione per verificare quanto il Giuramento di Ippocrate o quello professionale siano presenti nel curriculum formativo dei giovani. L’analisi condotta da me e dal mio gruppo di lavoro su tutti gli Atenei italiani ha rilevato come, nella maggior parte dei casi, si giuri al momento della Laurea, e secondo il giuramento ippocratico. Ora, il giuramento cosiddetto di Ippocrate è in realtà attribuito al padre della Medicina solo nel I secolo dopo Cristo, ovvero 500 anni dopo la morte di Ippocrate stesso, e cavalca i principi del Cristianesimo, contenendo anche affermazioni che vanno contro gli attuali principi della Medicina e che, in parte, stridono anche con quella che era l’etica ippocratica. Anche l’occasione è sbagliata: giurare in sede di Laurea non ha senso, le promesse vanno fatte in concomitanza con l’accesso all’esercizio della Professione, quindi con l’iscrizione all’Ordine.
Giurare all’Università e sulla versione ippocratica significa, quindi, farlo su un testo fittizio e in un momento sbagliato.
Di contro, il giuramento proposto dalla FNOMCeO, rivisitato nel 2007, che viene utilizzato all’atto dell’iscrizione all’Albo, rappresenta la soluzione più idonea.
Ci spieghi meglio…
Giurare sul giuramento di Ippocrate vuol dire, in primo luogo, accettare un atteggiamento paternalista nei confronti del malato, che non corrisponde più alla moderna bioetica della relazione di cura.
Significa, inoltre, negare l’informazione medica, quando si giura di insegnare solo ai propri discepoli. Infine, il passo con il quale si promette di “non operare nessuno che soffra del mal della pietra” è, storicamente, l’atto di nascita della separazione tra la figura del medico-chirurgo e quella del medico – filosofo. In pratica, è come se il medico che giura promettesse di non fare il chirurgo, quando sta per iscriversi all’Ordine proprio dei medici Chirurghi…
Cosa vorrebbe dire ai giovani neolaureati in procinto di pronunciare le loro promesse?
Auguro loro di trovare sempre la forza di onorare nella quotidianità quello che hanno giurato.
Nel Canto V del Paradiso, Dante racconta la storia di Iefte, il capitano ebreo che, pregando per la vittoria durante la guerra contro gli Ammoniti, promise al Signore che, se avesse vinto, avrebbe sacrificato la prima persona incontrata sulla via del ritorno. Disgraziatamente, incontrò per prima sua figlia e dovette ucciderla. Perciò Dante esorta: “Non prendan li mortali il voto a ciancia”.
È vero, il giuramento non ha valore legale e, se vogliamo, può apparire anche anacronistico, ma è un simbolo metastorico, ricco di valori etici, che ricordano oltre al sapere, al saper fare, al saper far fare – che sono doveri di ogni professionista – anche quel saper essere che, nel mondo della salute, è obiettivo di altissima portata.
Autore: Redazione FNOMCeO