“L’immigrazione non è un tema per gli addetti ai lavori ma va affrontato tenendo conto delle implicazioni sociali, delle valenze culturali, in una prospettiva di integrazione. Occorre superare pregiudizi e chiusure grette e razziste. Solo così si possono individuare scelte e azioni positive per l’integrazione sanitaria, e quindi ragionare su risorse umane, strutturali e organizzative che possano portare ad un’integrazione unitaria. Occorre, infine, costruire una rete socio-sanitaria in un’ottica di multiculturalismo, puntando sulla prevenzione e quindi sulla cura delle malattie e dei disagi sociali connessi al fenomeno immigratorio”. Ha riassunto così Antonino Maglia, Presidente OMCeO di Vibo Valentia, il senso del convegno nazionale, tenutosi sabato 13 settembre, nella cittadina affacciata sul Tirreno calabrese, da cui sono scaturite idee e proposte per garantire innanzitutto il diritto alla salute che si fonda non soltanto nella Costituzione italiana, ma anche nell’avanzamento, nelle Istituzioni e nella società, della cultura dell’accoglienza e dell’integrazione.
Un convegno che ha visto una forte mobilitazione dell’Ordine di Vibo Valentia e il pieno sostegno della FNOMCeO, come ha sottolineato lo stesso Maglia nei suoi interventi di apertura e di chiusura dei lavori. Un convegno che nella prima parte, moderata dal Vice-Presidente FNOMCeO Maurizio Benato e da Vincenzo Scarmozzino dell’Ospedale “Jazzolino” di Vibo, ha affrontato il tema “La cultura dello straniero, fenomeno migratorio e aspetti della multiculturalità”. Quindi la tavola rotonda, moderata da Giuseppe Renzo, Presidente nazionale CAO e da Lorenzo Surace del comitato scientifico del convegno, incentrata sul tema “Immigrati e tutela della salute”.
Temi che hanno come punti di riferimento sia la legislazione italiana, sia il nuovo Codice di deontologia medica della FNOMCeO, ma anche le posizioni della Federazione sul multiculturalismo in medicina e sanità, secondo il Manifesto di Padova del 24 novembre 2007. Posizioni esplicitamente richiamate da Antonino Maglia e rilanciate da Benato: “Pensando all’articolo 32 della Costituzione, va sottolineata la preveggenza dei nostri Padri costituenti, che, non a caso, hanno scritto ‘La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti’, e questo concetto di ‘diritto dell’individuo’ è ribadito anche nel Codice di deontologia medica”, ha detto Benato.
Immigrati, indigenti, bisognosi di cure, perseguitati politici o semplicemente cittadini oppressi dalle dittature o in fuga dalle guerre o dalle carestie: sono tutti individui e, in quanto tali, titolari di diritti, indipendentemente dal loro status di cittadini inseriti in uno Stato o in una comunità.
Sulla base di questi punti fermi, tutto l’evento di Vibo ha smontato una serie di luoghi comuni sui fenomeni migratori. Come nella relazione di Miriam Castaldo dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti (INMP), che, dal punto di vista dell’antropologia medica, ha parlato di corpi, memorie e silenzi coloniali. “Non c’è niente di più falso che descrivere gli immigrati come delinquenti e portatori di malattie. Invece l’approccio giusto si deve basare su tre pilastri: integrazione, assimilazione, identificazione” ha detto Giuseppe Cinquegrana, antropologo, ricordando che Calabria, Sicilia e Puglia sono regioni di transito per gli immigrati che sono diretti altrove.
Guido Giustetto, Vice-Presidente OMCeO di Torino, ha ricordato che “l’articolo 32 prescinde dalle etnie e il DNA dei medici si basa su capisaldi che ci guidano. Molti immigrati non conoscono i propri diritti, altri sanno ma hanno paura delle denunce. Complessivamente, la normativa italiana è buona. L’OMCeO di Torino ha istituito una Commissione solidarietà proprio per mettere in atto azioni che facilitino gli immigrati nell’usufruire dei servizi sanitari disponibili”. Mosa Awad Hussein (Comitato Centrael FNOMCeO) ha trattato della circoncisione nell’ambito del più vasto tema dell’identità e della integrazione culturale.
L’opera di demolizione degli stereotipi e dei pregiudizi è proseguita nella tavola rotonda. “Alcune paure sono reali, altre sono solo strumentali” ha chiosato Rosalia Marrone (INMP), parlando di dubbi e certezze, di immigrati e malattie infettive. “C’è necessità di continuo monitoraggio e di campagne di educazione sessuale” ha detto Maria Cristina Salfa (ISS), intervenendo sul tema “Infezioni sessualmente trasmesse: problema di sanità pubbliica? Non gettiamo la spugna”, mentre Gennaro Franco dell’IRCCS San Gallicano di Roma ha trattato il tema delle malattie della cute, con particolare riferimento alle patologie in soggetti con la pelle scura e al mutamento nella definizione delle stesse patologie.
“Strategie di controllo della TBC” è stato il tema di Rita Carravetta dell’ASP di Catanzaro: “C’è grande preoccupazione per la TBC, il fenomeno è in aumento ma non è automaticamente collegato alle migrazioni, non tutte le TBC sono contagiose e nei migranti è più alta la percentuale di TBC extrapolmonare. La TBC non è un’emergenza sanitaria, ma una sfida sociale e scientifica e la prevenzione è una sfida globale”. Michele Brogna (ASP Vibo) e Vincenzo Natale (“Jazzolino” Vibo) hanno parlato rispettivamente di epatiti e di medicina d’urgenza in una dimensione multiculturale.
Antonino Maglia ha valutato l’iniziativa di Vibo “un evento memorabile”, frutto dell’impegno ordinistico volontario da parte di un piccolo Ordine di una piccola Provincia. “Il valore della vita è nel DNA del medico”, ha detto.
Ma il significato complessivo del convegno l’ha espresso così Giuseppe Renzo: “Proprio in questi giorni si passa da Mare Nostrum a Frontex, a dimostrazione del fatto che il fenomeno migratorio va affrontato almeno a livello europeo. Qui oggi si è visto come l’accoglienza non dev’essere intesa come un obbligo, ma è un modo di sentire e al tempo stesso volontà di curare le persone più deboli. L’impegno della professione medica è finalizzato a garantire a tutti il diritto alla salute, senza distinzioni di razza”.
Per chiudere, una nota di colore. Il convegno si è tenuto a Vibo all’Hotel 501. Perché si chiama 501? La domanda ricorrente. Si chiama 501 perché il proprietario dell’hotel possedeva, negli anni ’20, una Fiat 501, costruita nel 1919. L’auto fa mostra di sé nella hall dell’hotel ed è targata CZ 22. Vuol dire che, in quegli anni, nella provincia di Catanzaro era la ventiduesima auto in circolazione. Vibo diventò Provincia soltanto negli anni ’90.
Autore: Redazione FNOMCeO