L’87% dei medici di continuità assistenziale del nostro territorio si sente in pericolo durante lo svolgimento del turno e il 45% ha subito almeno un episodio di violenza, prevalentemente attraverso gestualità intimidatoria e aggressività verbale, ma in qualche caso purtroppo anche fisica.
E’ quanto emerso da un’indagine conoscitiva recentemente somministrata agli operatori di Guardia medica circa le condizioni organizzative e la sicurezza delle sedi lavorative e gli episodi di violenza occorsi durante il servizio. I dati sono stati presentati a Palazzo Soragna, nel corso del convegno “Sicurezza degli operatori e nelle sedi di continuità assistenziale nella provincia di Parma”, organizzato dall’Ordine dei medici di Parma e dalla Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri italiani.
<Purtroppo negli ultimi anni si registra un’escalation di insofferenza, da parte di certa parte della popolazione, in particolare nei confronti dei Medici di Continuità assistenziale, di Pronto Soccorso e dell’emergenza-urgenza territoriale, con episodi di aggressione ingiustificabile. E’ bene ricordare che il cittadino che usa violenza contro il medico esercita violenza contro il Sistema salute e quindi contro il proprio interesse e il proprio benessere>, sottolinea il presidente Omceo Parma Pierantonio Muzzetto.
Ci si è proposti così di far conoscere l’entità del fenomeno nel nostro interland, sottoponendo all’attenzione dei portatori di interesse (i componenti della Conferenza Territoriale Socio Sanitaria, rappresentanti della Legge, esponenti del mondo politico locale e regionale) i risultati di un questionario che fotografa una realtà dalla tendenza preoccupante e richiede un’azione comune a tutela dell’integrità, del decoro e dell’autonomia decisionale dei professionisti.
In particolare dall’indagine conoscitiva, inviata a tutti i medici di Guardia Medica della provincia (circa 160, con il 40% di adesioni al questionario), coordinata dal vicepresidente Omceo Parma Paolo Ronchini e curata dalle Commissione Giovani medici, si evince che <quasi un medico su due (45% sì e 55% no) ha subito almeno un episodio di violenza durante lo svolgimento del servizio di continuità assistenziale: 2 hanno subito violenza fisica, 5 gestualità intimidatoria e 31 aggressività verbale. La prepotenza contro gli operatori sanitari non mostra una chiara tendenza di genere. Gli episodi di violenza sono distribuiti equamente tra i due sessi: 11 hanno riguardato i medici maschi (su 25 aderenti all’indagine) e 16 le femmine (su 36 aderenti all’indagine). Il momento più a rischio sono i turni notturni>, riferisce Lavinia Talamona medico di medicina generale e componente della Commissione giovani dell’Ordine di Parma.
Il setting a maggior rischio è l’ambulatorio, rispetto all’assistenza domiciliare, telefonica o all’attivazione del 118, con una preoccupante ricorrenza di alcuni punti di guardia. E i tre quarti degli episodi di violenza sono occorsi nelle ore notturne.
C’è concordanza tra punti di guardia con maggiori segnalazioni di episodi di violenza che risultano da questo questionario (novembre 2018) e le criticità strutturali ed organizzative individuate in una precedente fase dell’indagine (maggio 2018), presentata dal Medico di Continuità assistenziale e componente della Commissione Giovani Chiara Negri, sullo status quo delle sedi di continuità assistenziale della provincia di Parma, somministrato a campione per ciascun Distretto: illuminazione e visione diretta zona d’entrata, videocitofono, porte antisfondamento e/o allarmate, separazione locale di riposo e locale di attività ambulatoriale, servizi igienici per medico e servizi igienici per utenza, adiacenza a servizi volontaristici o altro con personale presente anche di notte, adiacenza ad altre strutture sanitarie.
Purtroppo un terzo dei fatti di violenza non è stato confessato a nessuno e la maggior parte dei Medici di CA che hanno segnalato episodi di violenza non ha ancora percepito modificazioni significative delle condizioni della sede volte a ridurre il rischio dopo le aggressioni.
Quindi, alla domanda <Ti sei mai sentito in pericolo durante lo svolgimento del turno di CA?>, l’87% del campione ha risposto positivamente.
Cosa si chiede? Sedi meno isolate, inserite in presidi ospedalieri, presso sedi di volontariato o vicino a Caserme; presenza di militi/volontari soprattutto per accompagnare il medico nelle domiciliari; videocitofono, telecamere di sorveglianza, allarmi collegati con 112/113; registrazione delle telefonate; auto di servizio con monitoraggio degli spostamenti; collaborazione con le Forze dell’Ordine.
<Pur non essendo quella di Parma una situazione tra le più preoccupanti, rispetto ad altre province, l’Ordine dei Medici, in accordo con la Fnomceo, sta cercando di trovare strumenti di comunicazione che, da un lato, offrano una corretta informazione e, dall’altro, consentano considerare gli aspetti positivi dell’agire del medico nella quotidianità dell’urgenza e dell’emergenza>, afferma ancora Muzzetto, lasciando le conclusioni al Presidente Fnomceo Filippo Anelli, affiancato dal Segretario Roberto Monaco.
<Quello della violenza contro gli operatori è un tema sociale che ha strettamente a che fare con il concetto di professione. Il sapere infatti – afferma Anelli – è nelle mani dei professionisti. Il medico compie un percorso di studi universitari decennale, e il suo aggiornamento è continuo. Una società si regge sulle professioni senza le quali non ci sarebbe scienza e progresso, ma purtroppo stiamo vivendo un periodo delicato che tende ad attenuarne l’autorevolezza.
Come Federazione lavoriamo costantemente perché si riconosca il valore di chi opera per il bene comune. E il nostro slogan “Chi aggredisce un medico aggredisce se stesso” va proprio in questa direzione. Il servizio di Guardia Medica è stato introdotto 40 anni fa come sistema allora ritenuto ottimale per garantire una continuità assistenziale al cittadino. Ma alla luce dell’oggi, della diversa considerazione del professionista da parete di un paziente sempre più esigente e irascibile, alcuni fattori andranno riconsiderati. Dal punto di vista della sicurezza, dell’isolamento, della solitudine degli operatori e anche della formazione. Perché gli interventi strutturali da soli non sono sufficienti. Occorre sensibilizzare i cittadini con una comunicazione mirata, mostrando ad esempio che Pronto soccorso non vuol dire solo 6 ore di attesa ma anche migliaia di vite salvate. Infine bisogna che i medici stessi imparino a difendersi, riconoscendo i segnali di una potenziale escalation di violenza, controllando in primis le proprie di emozioni e trasmettendo professionalità e competenza.
Occorre assolutamente ripristinare quella fiducia che è sempre stata il fulcro del rapporto medico-paziente>, conclude il Presidente Fnomceo.
Autore: Redazione