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La complessità dei sistemi e le sfide poste dalla “medicina del futuro”

Per poterla immaginare in relazione al futuro, la formazione deve essere valutata tenendo conto del contesto generale in cui oggi, nel presente, è inserita, e delle specifiche sfide che questo contesto pone alla professione medica.  

Siamo infatti in un momento storico di grande trasformazione, su più fronti, ciascuno dei quali evidentemente incide sul modo di concepire e mettere in atto le pratiche di cura ed i percorsi assistenziali. Penso, tra i fattori di più profonda incidenza, ai cambiamenti sociali e demografici (primo tra tutti l’invecchiamento della popolazione e la crescente multi etnia e multiculturalità), all’impatto dell’economia, che condiziona in modo sempre più forte le scelte in sanità (un esempio molto attuale è il decreto sull’appropriatezza), a una domanda di salute molto diversa rispetto al passato perché diverso è il paziente che la pone. Oggi il medico si confronta con un paziente che non è più passivo spettatore dei processi assistenziali, ma interviene in modo consapevole nelle scelte che lo riguardano, partecipa al percorso di cura, rivendica il diritto alla salute (peraltro assolutamente legittimo). 

Altro aspetto, non meno rilevante, è il contesto organizzativo. Anche in questo ambito gli scenari stanno profondamente cambiando: la medicina sta diventando, sempre di più, una medicina d’equipe, multi-professionale, per cui si pone il problema del rapporto conle altre professioni, occorre tener presenti i modelli organizzativi della medicina del territorio, non solo di quella ospedaliera.

Nello scenario descritto, non bisogna infine dimenticare altri due paradigmi fondamentali: la tecnologia e la comunicazione, soprattutto per quanto concerne l’acquisizione di nuovi saperi, di nuove competenze e abilità, che in qualche modo andranno sviluppate.

Come adeguare, quindi, il percorso formativo del medico alla complessità crescente del contesto in cui opera?

Una formazione universitaria adeguata ai tempi, capace di costruire un sapere che sia poi utile al ruolo, non può basarsi su un curriculum formativo generico: deve tener conto di ciascuno degli elementi che abbiamo elencato. Procedendo per punti, si possono immaginare alcune sfere di intervento.

Occorre ripensare, direi invertire, il rapporto tra teoria e pratica. Il percorso formativo deve dare la possibilità di acquisire strumenti operativi. Il passaggio dalla conoscenza alla competenza, del resto, è una questione che non riguarda solo la medicina: il sapere, da solo,non è più sufficiente; occorre applicarlo al ruolo professionale, al momento,al contesto. 

La formazione di oggi è ancora ospedalocentrica, mentre l’assistenza di domani sarà decentrataintegrata al territorio, e le cure primarie il punto di riferimento primo per la salute. Per questo, e al di là degli obiettivi già raggiunti in questa direzione, nel percorso formativo lo spazio riservato alla medicina generale dovrà essere ulteriormente ampliato.

La percentuale di formazione dedicata a percorsi di tipo interprofessionale, oggi, è minima. Eppure non si può prescindere dal confronto con le altre professioni: il medico che si forma come singolo dovrà di fatto collaborare con una pluralità di figure, imparare a operare in un sistema complesso sotto il profilo organizzativo ma anche, pensando alla cronicità, sotto il profilo clinico-assistenziale.

Occorre poi implementare le conoscenze nell’area tecnologica, affiancarla senza attriti alla semeiotica tradizionale in mododa sfruttarne a pieno, e in modo corretto, le potenzialità.

Anche comunicazione e relazione richiedono ancora attenzione. Su questo fronte credo che dovremmo guardare a una serie di discipline considerate ancillari, trascurate dal percorso di studi e più legate alla sfera umanistica e antropologica. Si tratta di recuperare elementi che hanno a che fare con la pedagogia, con la psicologia, con l’acquisizione di modelli comunicativi di colloquio orientato e counselling.

Benché il medico del futuro sia un medico proiettato verso la tecnologizzazione degli strumenti del mestiere, e benché la base della formazione rimanga, ovviamente, di tipo clinico, se si perde di vista il rapporto con il paziente si perde tutto, perché è sulla relazione medico-paziente che si fonda il rapporto di cura. In questo senso, non bisognerebbe aver paura di recuperare parole come empatia,capacità d’ascolto, nonché, a monte, vocazione, motivazione: strumenti che evidentemente non si possono costruire a tavolino, che fanno parte del bagaglio umano che ciascuno di sé ha o non ha, ma che senz’altro si possono incoraggiare. 

Tornando alle tante sfide enumerate, e per concludere, a questo punto ciò che occorre è la volontà politica. L’impegno della FNOMCeO ha dimostrato, in questi anni, di essere concreto, attento, ma non basta che i decisori concordino sui princìpi; devono tradurli in provvedimenti, perché la professione da sola non ce la fa. È scaduto il tempo per le dichiarazioni di intenti: abbiamo chiarito la direzione in cui vogliamo andare. Ora bisogna mettersi in cammino.

Roberto Stella, Presidente OMCeO Varese, Presidente Snamid, Responsabile Area Formazione FNOMCeO, Componente Commissione Nazionale per la Formazione Continua.

Autore: Redazione FNOMCeO

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