La lettera di Francesco Mazzarella a Filippo Anelli, presidente FNOMCeO

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera che Francesco Mazzarella, specialista in Dermatologia e Venereologia, ha indirizzato a Filippo Anelli, presidente FNOMCeO.
Caro Filippo, sono trascorsi troppi mesi dall’inizio di questo flagello; troppi mesi dalle prime parole dette sull’argomento da parte di personaggi illustri ed anche meno illustri; troppi mesi da quando ascolto, talora con interesse scientifico, asserzioni riguardanti la biologia del virus, la sua trasmissione e le conseguenti misure preventive da adottare e adottate, che, purtroppo, tutto riguardano, fuorché l’aereo trasmissione. I dermatologi conoscono molto bene il significato di aero-trasmissione.
Ma qui non è “incriminata” l’aria in senso stretto, bensì quella dell’espirato, quella dei colpi di tosse, quella contente anche le “goccioline di Flugge”. Si, perché, come ben noto, il virus si trasmette in maniera preponderante fuoriuscendo dalle vie aeree di soggetti in cui lo stesso alberga (che spesso sono asintomatici e che quindi non sono a conoscenza di essere i c.d. portatori sani) ed immettendosi nelle vie aeree dei malcapitati posizionati a distanza più o meno ravvicinata.
Sulla base di queste asserzioni, è stato deciso che l’utilizzo di una barriera fisica che protegga le vie aeree superiori (mascherina) e l’incremento della distanza interpersonale costituiscano la combinata profilattica più efficace per prevenire il contagio.
Altra via di trasmissione chiamata in causa è stata quella basata su un ipotetico “trasporto manuale” delle goccioline contenti il virus alle mucose orali, nasali e oculari; e da qui, l’utilizzo precauzionale dei guanti e dei topici a base di alcoli e di derivati del cloro: metodica da prendere in considerazione solo nell’ottica di generiche misure di igiene personale atte a prevenire altrettanto generiche malattie contagiose!
Troppo spesso, infatti, la trasmissione interumana del virus avviene “inspiegabilmente” nonostante siano state attuate le suddette misure di profilassi.
Ed ecco il motivo della mia lettera.
La via di trasmissione primaria è quella aerea e, forse, solo questa. Come avviene, d’altronde, per una qualsiasi malattia respiratoria di di “è fatto obbligo di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso e in tutti i luoghi all’aperto…omissis”, mi pare oltremodo assurdo che sinora io non abbia mai sentito alcuno che si sia posto il problema della sanificazione dell’aria!
Si impone la sanificazione esasperata delle superfici e si impone il mantenimento della distanza interpersonale di almeno 1 metro o di 2 o di 2,5 (non esiste e non può esistere parere univoco anche perché esistono variabili dipendenti da situazioni differenti); si prescrivono misure di distanziamento sociale come se si trattasse di una via di trasmissione basata sulla distanza tra due punti (persone).
Ma ciò che non si esamina, ancor più della distanza di sicurezza (parametro da considerare in alcune situazioni) è il volume di aria.
La distanza tra due punti è una misura bidimensionale ed avrebbe senso considerarla qualora la trasmissione del virus avvenisse, ad esempio, tramite un mezzo liquido che si sposta su una superficie piana; il virus, invece, si propaga nell’aria ambientale attraverso l’espirato e, pertanto, segue leggi della diffusione attraverso un gas. E un gas occupa uno spazio tridimensionale. Per questo motivo, è indispensabile considerare una misura tridimensionale che prende il nome di “volume”.
Lo scenario cambia drasticamente. Interviene, ad esempio, la fondamentale variabile del rapporto “volume espirato/volume aria ambiente”, sia in uno spazio chiuso, sia in  uno aperto: in tal caso, non si imporrebbero misure di sanificazione delle superfici (perlomeno non in maniera preponderante), ma si penserebbe a sanificare i volumi dell’aria degli ambienti. In quest’ottica, corretta da un punto di vista fisico-biologico, sarebbe indispensabile considerare il numero n costante di persone all’interno di locali parametrandolo a volumetrie differenti. Consideriamo, a titolo esemplificativo, quello che avviene nelle sale di PS, nelle scuole, nei ristoranti, nei bar, negli esercizi commerciali. Esiste, sulla carta, una moltitudine di direttive che dovrebbe regolamentare l’accesso e la permanenza delle persone all’interno di questi locali; ma, nella realtà, queste disposizioni tengono conto essenzialmente della distanza tra gli individui (almeno un metro) mentre generiche appaiono in relazione al mantenimento della salubrità dell’aria (adeguata aerazione naturale e ricambio d’aria).
A parità di superficie di un locale e di n occupanti, vi sono enormi differenze, in relazione alle misure di prevenzione del contagio, se consideriamo la dimensione dell’altezza del locale stesso, la presenza di porte e di finestre apribili, la presenza di flussi d’aria incrociati, i tempi per il ricambio totale del volume di aria ambientale, la presenza di purificatori d’aria, la presenza di impianti di climatizzazione dotati di sistemi di sanificazione interni, il tempo di permanenza degli occupanti all’interno del locale, la velocità di emissione dell’espirato da parte degli occupanti, l’utilizzo o meno delle mascherine (bar, ristoranti, ambulatori medici e odontoiatrici): sebbene in alcuni casi le direttive, almeno sulla carta, possano risultare sufficienti a ridurre il contagio, nella stragrande maggioranza delle situazioni il distanziamento interpersonale si è rivelato assolutamente inefficace. Donde, siamo alle porte del secondo lockdown!
Insomma, l’unica reale possibilità di ridurre il rischio di contagio è quello di valutare l’opportunità di sanificare l’aria di un ambiente, allo scopo di ridurre la concentrazione di virus nell’aria ambientale.
Volume, non superficie.
E questo ce lo ha insegnato l’alto numero di contagi avvenuti nei treni assaliti a marzo da persone che fuggivano dal Nord; ce lo ha insegnato il numero di decessi avvenuti negli ospedali; ce lo ha insegnato il numero di colleghi medici ed infermieri deceduti nelle strutture nosocomiali con altissima concentrazione virale, nonostante l’utilizzo di DPI (e qui un ruolo preponderante è da ascrivere, verosi ma ancor prima, ce lo hanno insegnato i nostri genitori: ognuno di noi, da bambino, durante un banale episodio influenzale o parainfluenzale, ogni mattina, dopo il riposo notturno, era spostato in un’altra stanza per far “arieggiare “ la nostra cameretta che conteneva “aria viziata”, aria carica di virus presenti nell’espirato notturno. Il tutto allo scopo di ridurre la carica virale presente nell’aria.
E’ tanto difficile applicare un sano “principio delle nonne” -assolutamente dotato di validità scientifica – a questa patologia, nuova per agente etiologico, ma vecchia per quanto concerne la via di trasmissione?
E’ tanto difficile studiare il modo di sanificare l’aria di ambienti chiusi, utilizzando apparecchiature anche di basso costo, dotati di sistemi basati su principi della fisica noti da decenni?
E’ davvero così tanto difficile fornire questi sistemi alle aule delle scuole, invece di “buttare” 300 euro per l’acquisto di un solo banco dotato di rotelle? Mi piacerebbe entrare nella testa di chi ha partorito questa idea geniale: quale primum movens scientificamente provato ha indotto alla scelta di questo sistema di prevenzione del contagio? Ancora una scelta basata sulla “superficie” (il banco con le rotelle si muove su una superficie piana, alias pavimento).
È di pochi giorni fa la pubblicazione, sul quotidiano spagnolo El Pais, di un lavoro effettuato proprio in tal senso; in conclusione, i ricercatori hanno dimostrato l’ovvio: una stanza di 20 mq, 6 persone con mascherina, 1 di loro contagiante, dopo 4 ore 4 ulteriori contagiati. La mascherina, quindi, da sola non è sufficiente a proteggerci!
Il Governo spagnolo ha adottato una guida per la ventilazione delle aule basata su quella elaborata dalla Harvard University. In questa guida sono evidenziate le metodiche atte a ridurre la concentrazione di virus nell’aria delle aule; metodiche traslabili a qualunque ambiente chiuso.
Durante il periodo del lockdown, all’esito di studi fondati su evidenze note e su complessi approfondimenti di fisica, di biologia e di letteratura internazionale specifica, ho dotato la struttura sanitaria in cui opero di sistemi ridondanti di sanificazione dell’aria attivi h24, assicurando ai pazienti una permanenza assolutamente sicura all’interno dei locali, oltreché un ambiente climatizzato e confortevole, senza timore che la ventilazione forzata dei sistemi di condizionamento potesse in qualche modo facilitare il trasporto di eventuali particelle contenenti il virus.
Ancor più della distanza di sicurezza, ribadisco con forza, si dovrebbe considerare il volume degli ambienti.
Volume, non distanza di superficie!
Due misure che esprimono concetti diversi e spesso confusi.
E la valutazione del volume degli ambienti porterebbe “di certo” ad un ridimensionamento dei volumi dei contagi!
Un abbraccio e buon lavoro,
Francesco Mazzarella
Medico-Chirurgo
Specialista in Dermatologia e Venereologia

Autore: Redazione

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