“La persona al centro della cura”

La riflessione filosofica sulla medicina ha radici antiche, se è vero che già nelle Leggi, Platone parlava del medico libero che curava i liberi e “nella misura in cui gli è possibile, istruisce lo stesso malato e non adotta prescrizioni prima di averlo indotto a condividere, entro un certo grado, il suo punto di vista. Solo allora cerca di portare a guarigione con uno sforzo incessante il malato, reso docile con la forza del convincimento”. Relazione medico-paziente, aspetti etici, patto terapeutico: già quattro secoli prima di Cristo alcune delle chiavi della riflessione sui soggetti e sul senso della cura erano già stati espressi con chiarezza. Da allora, ovviamente, tanto è stato detto. Moltissimo, poi, è stato scritto nell’ultimo secolo, con le riflessioni di Paul Ricoeur, Hans-George Gadamer e Karl Jaspers, incrociate con gli scritti sul metodo sperimentale di Claude Bernard o sulla bioetica di Hugo Engelhardt, espresse in Italia da alcuni tra i massimi pensatori del sistema medico nella sua complessità, come Giovanni Federpsil, Dario Antiseri, Claudio Viafora e Giorgio Cosmacini.

Entra nel novero dei libri di spessore anche "La persona al centro della cura, Una sfida per la medicina moderna" (254 pag, Rubbettino,2010) un volume che Elisa Buzzi, studiosa di filosofia morale all’Università di Brescia ha appena pubblicato all’interno della collana di studi promossa dalla Fondazione Maddalena Grassi. Suddividendo la sua riflessione in due parti distinte, Buzzi prima specifica il problema della conoscenza in ambio medico, per poi offrire una nuova sistematizzazione della relazione di cura e dei suoi protagonisti. Nella prima fase del suo volume la studiosa imposta il suo ragionamento nel superamento delle tesi puramente scientiste, invitando ad una completa apertura alla realtà ed alle sue componenti (fisiche, organiche, esperienziali, diagnostiche terapeutiche) per una concezione olistica effettiva, seguendo soprattutto le Philosophical Basis of Medical Practice di Edmund Pellegrino (uno dei più celebri bioeticisti americani) e David Thomasma, nello svolgere della sintetica definizione di “giudizio clinico” come “giudizio esperienziale”. Alla luce di una conoscenza filosofica tentativamente completa, nella seconda parte, la Buzzi approfondisce i grandi soggetti, “malato”, “malattia”, “terapia”, “sofferenza”, partendo dalla critica che Eric Cassell (a lungo direttore della facoltà di medicina della Cornell University) ha fatto della desease theory, una “teoria che riflette una concezione ontologica delle malattie, come cose, entità separate dalla persona che le ha”.

Così, demitizzata la “malattia-entità”, l’autrice riparte dagli autentici soggetti della relazione di cura, un paziente-uomo e un medico-uomo, supportati da strutture e organizzazione, da scienza e coscienza, nella reciproca riscoperta dell’io e del tu che fanno la relazione, per riscoprire con Stanley Hauerwas (citando il suo volume Suffering Presence) il concetto di reciproca presenza: “Fondamentale per comprendere l’arte morale della medicina è la volontà del medico e del paziente di essere presenti l’uno all’altro e nel tempo della sofferenza”. Restando correttamente distante dalle sfide sociologiche ed organizzative della medicina e dotandosi di uno sguardo laico venato da una percepibile vena metafisica, la Buzzi – che negli anni si è specializzata nell’approfondimento del pensiero dei filosofi nordamericani, da Dewey a Niebuhr – propone così un libro che offre altre “sfide alla medicina moderna”, nel tentativo di restituire una prospettiva di forte umanità ai termini del curare, del guarire, del soffrire. Un volume che non a caso si apre con una citazione dell’antropologo tedesco Robert Spaemann: “Non esiste un’idea di persona. Esistono soltanto persone reali”.

Autore: Redazione FNOMCeO

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