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La questione medica – Le riflessioni di Ivan Cavicchi

I medici da parecchi anni sono nel bel mezzo di una
mutazione professionale vale a dire che il loro status, il loro ruolo ma alla
fine anche la loro funzione, per svariate ragioni, stanno cambiando. Scopriamo
così, che la struttura valoriale della professione medica, il suo stampo
deontologico-scientifico, la sua matrice operazionale ha una stabilità relativa
non assoluta. Cioè essa cambia nel tempo come un processo che evolve o
involve.

Ma perché? L’esercizio della professione medica ha
comportato sempre e comporta tutt’ora un doppio livello di problemi che sono
tra loro inseparabili, cioè embricati come le tegole del tetto:

· essere medico, che vuol dire avere una certa
preparazione scientifica, certi titoli, certe esperienze, che
necessariamente è aggiornabile in ragione dei progressi scientifici della
medicina;

· modo di essere medico, che vuol dire le modalità attraverso le quali la
professione viene esercitata in rapporto a contesti, sfondi, società che mutano.

A causa di questo doppio livello la professione medica è
costituita almeno da tre grandi componenti:

· scientifica;

· socio-culturale;

· relazionale.

Il medico è quindi una professione che media i rapporti
tra scienza e società e le mediazioni cambiano continuamente. Ciò che cambia è
tanto la dimensione scientifica che quella sociale e relazionale. Cambiando la
società cambia uno dei soggetti principali della relazione, cioè il cittadino, il
quale a sua volta cambia la forma della relazione che ha con la medicina fino a
sollecitare  il medico a cambiare a sua volta.

Mentre si può continuare ad essere medico specialmente
se il suo paradigma scientifico non muta, non si può continuare ad essere
medico allo stesso modo se cambia la società in cui si vive. Se
cambia la società in questo caso il medico più che essere medico deve
diventare medico cioè essere ma in un altro modo, e quindi ridefinirsi.

Cause concause fattori codeterminanti

Non esiste una causa della “questione medica” ma tanti
fattori concomitanti, cioè elementi concorrenti, tanti rapporti modali che la
fanno coemergere. Questi i più importanti.

Rapporti tra struttura economica e sovrastruttura
sociale

Una società è composta da una struttura economica e
da una sovrastruttura sociale. La medicina è a metà strada tra economia
e società. La medicina, quindi il medico in quanto sovrastruttura, è
fortemente condizionato dalla struttura economica, in particolare se vi sono
crisi economiche, i problemi finanziari, problemi di compatibilità, particolari
politiche fiscali. In questi casi le ragioni dell’economia arrivano a condizionare
la medicina e quindi i comportamenti professionali del medico.

Il paziente diventa esigente

Mentre l’economia prende il sopravvento sull’autonomia del
medico, la società non sta ferma. Da almeno mezzo secolo è in atto un
cambiamento epocale. Cambia la figura classica del paziente, del malato, cioè
cambia la premessa o il postulato dal quale parte qualsiasi decisione medica.
Fa il suo ingresso la cittadinanza, la cultura dei  diritti, dell’autodeterminazione,
del valore della persona, dell’umanizzazione ecc. Tutto questo ha un
fortissimo impatto sul medico e naturalmente sulla medicina. Il paziente
diventa esigente, cioè la figura del beneficiario lascia il posto a
quella del contraente, la cura non è più delegata al medico su base fiduciaria,
ma diventa una questione contrattuale nella quale il malato a sua volta
rivendica la sua conoscenza esperienziale. Il medico si trova a fronteggiare
una forte domanda sociale di relazioni per co-decidere e co-determinare le
necessità e gli scopi dei trattamenti, ma egli resta ancorato alla cura delle
malattie non è preparato per  la cura della persona, non è preparato ad
usare le relazioni, e si trova così  del tutto spiazzato.

La medicina ha un costo

La medicina quale sovrastruttura ha un costo e produce una
spesa, se essa è organizzata come funzione pubblica, cioè in sistemi
universalistici, finanziati su base fiscale, essa produce una spesa specifica
(definita spesa sanitaria e quantificata in un fondo sanitario nazionale). Da
molti anni i governi, a torto o a ragione, ritengono che la spesa pubblica in
generale sia in competizione con lo sviluppo di un paese, per cui da anni sono
in atto politiche di restrizione della spesa pubblica. Da molti anni i governi,
a torto o a ragione, ritengono che in particolare la spesa sanitaria, sia un
problema per la spesa pubblica. A ciò si devono aggiungere le questioni degli
sprechi, le diseconomie, gli abusi, cioè il discorso delle diseconomie. La
spesa sanitaria è considerata a torto o a ragione sovradimensionata da molti
costi inutili e parassitari. Per questo la sanità, quindi la medicina e
quindi il medico sono diventati loro malgrado un problema di sostenibilità
finanziaria dando luogo a politiche di forte condizionamento dei loro
profili di spesa.

Il medico controparte di spesa

Il medico ha avuto sempre una ampia autonomia decisionale.
Egli è sempre stato colui che decideva ciò che era necessario ad un malato e i
fini della cura o dei trattamenti. Per questa ragione egli era nei fatti colui
che decideva i costi della medicina. Nel momento in cui la sanità diventa agli
occhi dei governi un problema di sostenibilità economica il medico piano piano
nel tempo diventa la principale controparte prima delle politiche di
compatibilità, poi di razionalizzazione e quindi di definanziamento. Il medico
diventando un costo da ridurre comincia a perdere autonomia, perché condizionando
l’autonomia si condiziona la sua operatività e condizionando la sua operatività
si condizione la spesa.

Depauperamento professionale

Il condizionamento dell’autonomia aprirà la strada ad
un lento ma inesorabile depauperamento professionale e che va a toccare i
gangli fondamentali della professione.

L’autonomia del medico a interpretare la necessità del
malato viene condizionata e in qualche caso revocata, e al suo posto subentra
il ruolo invadente della medicina amministrata, della gestione dei suoi atti
clinici, in altri casi il tentativo di surrogare le sue funzioni con altre
figure meno costose (demansionamento, shift task, comma 566 ecc.).

L’autonomia del medico, fondamentale a decidere i fini,
gli scopi, gli obiettivi dei trattamenti, viene di fatto subordinata alla
disponibilità dei mezzi, cioè delle risorse assegnate. Avviene così un
capovolgimento del rapporto mezzi/fini: non sono più i fini decisi
autonomamente dal medico a decidere le cure, ma sono i mezzi assegnategli dal
gestore.

Il ruolo del medico senza i postulati che riguardano
l’autonomia del giudizio e gli scopi dei trattamenti, è di fatto delegittimato
alle radici. Ha inizio un mutamento del ruolo e dello status.

Contenzioso legale e medicina difensivistica

Prendono forma delle vere e proprie aberrazioni cioè delle
devianze come la crescita esponenziale del contenzioso legale e parallelamente
l’espandersi  della medicina difensiva come pratica ordinaria. Il medico
non come singolo ma come professione è socialmente contestato dal malato. Il
contenzioso legale non è null’altro che una forma moderna di conflitto sociale.
Questo accentua i processi di delegittimazione sociale della professione e
introduce un genere nuovo di costi legato alla crisi del ruolo medico e che
sono costi di regressività, cioè di non adeguamento dell’essere e del modo di
essere del medico in questa società.

Cambia l’idea di scienza

Mentre l’economia tiranneggia il medico e l’esigente
ne ridiscute le prerogative, cambia il pensiero che pensa la scienza e il
modo di pensare della scienza, ma le università, le società scientifiche,
i centri di ricerca non sono in condizioni di adeguarsi. I giovani medici,
nonostante i tanti cambiamenti con i quali hanno a che fare, continuano ad
essere formati con vecchi paradigmi nozionistici, sulla base di vecchie logiche
scientiste, perpetuando vecchie epistemologie, metodologie ecc.

 Il ’900 ridiscute alle fondamenta il paradigma
positivista che sostiene la scienza medica e spinge nuove  idee sulla
complessità, nuove logiche quindi  nuovi modi di ragionare e di pensare.
Ma la medicina resta indietro. La medicina scientifica nasce al tempo della
rivoluzione industriale; questa rivoluzione è ormai finita da un bel po’ ma la
medicina continua ad essere quale razionalità scientifica quella di
allora. Alla regressività causata da una società che cambia si aggiunge altra
regressività causata da una scienza medica che pur progredendo sul terreno
delle scoperte scientifiche (nuovi farmaci, nuove tecnologie, nuove scoperte
ecc.) resta ancorata a un’idea di scienza vecchia, cioè difforme dai nuovi modi
di conoscere e di pensare.

Evoluzione e/o involuzione della professione
medica

Tutti questi problemi costituiscono la questione
medica. Essa non è tanto un insieme di problemi che sommati creano una
questione, ma un sistema di processi che investono il medico suo malgrado e che
alla fine ne cambiano in peggio il ruolo. La questione medica riguarda le
involuzioni del ruolo.

Nel momento in cui il ruolo storico è ridimensionato ma
non ridefinito, cioè non è rimpiazzato con un altro ruolo deciso dal
medico, nasce la questione medica. Il saldo tra vecchio medico e nuovo
medico non è a vantaggio del medico, nel senso che ad un certo tipo di medico
oggi corrisponde solo la sua negazione, il non medico, ma non la sua riaffermazione

Rimpiazzare un ruolo con un altro, cioè cambiare la barca
mentre si naviga e senza tirarla in secco, non è semplice. Con la questione
medica si infrange un sogno e un mito: se una professione crede che il suo
ruolo è intoccabile perché mai dovrebbe preoccuparsi del suo futuro? Il medico
fino ad ora non ha mai dovuto preoccuparsi del futuro ma solo del presente; ora
invece dovrà preoccuparsi del suo futuro perché la professione è tutt’altro che
intangibile.

Oggi i medici si trovano male (molto male) perché quel
peso sociale che avevano una volta non ce l’hanno più, perché il
consociativismo con la politica al quale erano abituati non c’è più;
perché  superata la concertazione essi sono stati esclusi dalle scelte e
dalle decisioni importanti, perché l’aziendalizzazione li ha trasformati in
semplici fattori di costo.

Concludendo: le mutazioni della professione hanno un forte
carattere sfavorevole per il medico, nel senso che peggiorano tanto il suo
status che il suo ruolo, e anche la sua funzione per non parlare della sua
retribuzione.

In questo contesto i medici se la passano male, ma è con
questo contesto che se la devono vedere imparando a ragionare per contesti
futuri, cioè imparando a costruire ora i condizionali di quei processi che si
svilupperanno poi successivamente. Certo, i ritardi sono tanti, ma non è mai
troppo tardi per invertire delle tendenze e per cambiare le cose, a condizione
di dedurre da tutto quello che per loro risulta un problema delle soluzioni
convincenti e plausibili. Oggi le soluzioni convincenti sono molto complesse
perché devono dare risposte a molti interlocutori: alla società, all’economia,
alla politica, all’etica e naturalmente ai medici in crisi di ruolo. Rimanere
fermi, ormai è chiaro a tutti, non è più possibile.

Un’ultima cosa, i medici avrebbero già perso la loro
battaglia sul ruolo se la mutazione che li sta cambiando dall’esterno e
dall’interno fosse conveniente al cittadino e alla società, cioè se il “non
medico” fosse un vantaggio sociale. Ma questo per fortuna non è. Il non
medico non è un affare per nessuno (neanche per l’economia) ma meno che mai
lo è per il cittadino e per i malati.

Autoriforma

L’errore che oggi i medici devono con tutte le loro forze
evitare è credere che la questione medica, si risolva rimettendo le cose
a posto come erano prima. Questo non è più possibile per tante ragioni.

L’unico modo per risolvere la questione medica è entrare
nella logica  della ridefinizione, della reinvenzione, cioè  nella logica
dell’autoriforma.

Si tratta di interrompere un processo involutivo, di
invertirlo con la mobilitazione e il progetto, sapendo che per invertire dei
processi sfavorevoli si deve mettere in pista un programma, o meglio,
concependo il futuro come la messa in opera di un programma. Ciò che si rivela
decisivo a determinare una certa inversione delle tendenze in atto è in pratica
l’idea di giocarci la carta di un altro medico.

Un medico altro, quindi un atto autonomo di
riforma, può invertire il processo di degenerazione del ruolo medico.

Si tratta di dimostrare al governo di turno e a quelli che verranno,
perché la battaglia non sarà breve, che la strada del “non medico” non è
l’unica percorribile, che di strade per trovare le soluzioni ai problemi della
nostra società e della nostra economia sono altre. Ormai siamo alla
medicina amministrata, cioè  all’idea che il medico si può solo
mettere sotto tutela, guidarlo nelle sue decisioni, prepensando ciò che dovrà
fare… il presupposto  è folle… mettere sotto tutela una intera
professione… ora tocca ai medici, prima che sia troppo tardi, dire l’ultima
parola.

Autore: Redazione FNOMCeO

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