Il vero problema è trovare un interlocutore politico; i medici, attraverso la riflessione degli Stati Generali, almeno provano a prepararsi. I medici stanno stretti nei limiti imposti da questi sconvolgimenti (le leggi, le novità scientifiche e tecniche, i cambiamenti sociali, le imposizioni burocratiche) ma spesso si rifugiano in una sorta di utopia del passato
31 MAR – Nella discussione aperta su Quotidiano Sanità a proposito degli “Stati Generali della Medicina” è finora carente la voce dei medici pratici. Vorrei illuminare la questione dal punto di vista della prassi quotidiana del medico, a costo di apparire fin troppo ellittico, tentare insomma una sorta di indice delle questioni in gioco.
Nella mia biblioteca vivono o sonnecchiano (a seconda di quanto li ho sottolineati) numerosi volumi di filosofia della medicina, di epistemologia, di storia della sanità, di sociologia, di antropologia e così via. Testi utilissimi per comprendere quello che i medici fanno, darvi un significato e costruire un quadro attendibile dell’evoluzione della medicina e della professione.
Tutti i testi raccontano come la medicina abbia vissuto innumeri paradigmi, spesso conviventi, che sono apparsi via via superati da nuove conoscenze. Anche quelli oggi dominanti sono destinati a essere abbandonati. Questa è la scienza e la medicina non fa eccezione.
I medici adottano il paradigma prevalente e lo adattano alla realtà: la medicina è una prassi che utilizza molteplici apparati cognitivi. Il passaggio da un canone all’altro è più o meno faticoso (lo sa bene chi ha mezzo secolo di laurea) ma è sempre felicemente riuscito. I medici praticano, non creano altro che in parte la medicina. Dal momento che viviamo in un’epoca di formidabili trasformazioni il problema formativo è sovrastante a tutto e questa carenza è causa di spiazzamento anche per i giovani cresciuti secondo un hidden curriculum spesso fuorviante.
La medicina non è sfuggita al trionfo ottocentesco della scienza come fonte unica del progresso, ma nessun medico di buon senso, e i vecchi saggi clinici ce lo insegnano, ha mai pensato che il corpo fosse una macchina da riparare. Chiunque abbia esercitato sa come il medico sia nello stesso tempo terapeuta dei guai fisici ma anche di quelli psicologici, e debba avere competenze sociali, filosofiche, sacerdotali e così via. Però lo sviluppo della tecnologia e della scienza è tale che il medico quasi fatica a star dietro a tanto progresso mentre il cittadino, che si lamenta della disumanità del medico, in realtà vuole a sua disposizione le più mirabolanti innovazioni.
Il mondo è complicato e i progressi maggiori dell’umanità si realizzano nell’arte di rendersi infelici. Ma se cambiano i paradigmi e i medici li seguono come quel personaggio di Molière che non sapeva di parlare in prosa, ancor più cambia la società e il paziente diventa “esigente” (impertinente?). In effetti i medici dovrebbero studiare la psicologia clinica e, perché no, la retorica, cioè come relazionarsi alla gente. Il solco tra le esigenze amministrative dei gestori della sanità, le illusioni dei cittadini rispetto alla medicina e le motivazioni dei medici si approfondisce e bisogna porvi rimedio.
I servizi medici moderni sono enormi contenitori, imprese complicatissime che hanno fatalmente una logica propria che non coincide quasi mai con quella professionale. Il governo clinico è un altro mantra in gran voga che copre idee tutte da maturare.
Ragionamento conclusivo. Mentre filosofi, sociologi, antropologi, magistrati, giornalisti, politici, amministratori, teologhi, rappresentanti dei malati, imprenditori farmaceutici, cronisti televisivi, perfino il Parlamento si occupano dei medici, resta da capire perché esiste la questione medica, una sorta di incertezza esistenziale pur nei trionfi della medicina.
1) La questione medica non è un’invenzione; pur nel disagio complessivo delle libere professioni nel mondo del libero mercato e pur nello sconcerto che sembra pervadere la società intera, i medici hanno le loro ragioni.
2) Da quando 500 anni prima di Cristo qualche sapiente greco decise di pensare con la propria testa la scienza e la medicina vivono una perenne benefica crisi che ci ha portato al robot chirurgico, all’immunoterapia oncologica e alla medicina della complessità.
3) Anche la società si trasforma fin dal tempo delle caverne con ritmo sempre più accelerato e con qualche innegabile vantaggio, dal ratto delle Sabine alle quote rosa.
4) I medici sono sempre stati validi intermediari tra i trionfi della scienza e le esigenze dei malati sia come individui che come collettività (traslazione)
5) Adesso la trasformazione richiesta al medico è troppo grande, repentina e spesso errata nei fini. Il medico non tollera (e ha molte ragioni) i limiti e i condizionamenti che la scienza, i pazienti e la sanità (la società) pongono.
6) In questo tumultuoso processo professionale la FNOMCeO ha alcuni compiti importantissimi.
a- mettersi alla testa di una riflessione profonda sui sistemi formativi dei professionisti della sanità sia prima che dopo la laurea,
b- rivedere il codice deontologico alla luce delle grandi trasformazioni scientifiche e sociali e basti pensare alle profonde problematiche legate a vicende quali il suicidio assistito o la medicina della comunità o i rischi ambientali.
7) La discussione dovrebbe tuttavia essere centrata su ciò che sta emergendo nel combinarsi delle novità (ICT,neuroscienze, robotica, genomica, nanotecnologie, big data) e su come condizionare il conflitto di interessi proprio della modernità. I giovani si interessano naturalmente del futuro a breve scadenza.
Un altro grande medico bolognese, Augusto Murri, scriveva “si godano i metafisici i loro veri eterni, noi preferiamo i nostri errori di oggi, a noi basta sapere che contengono un pò più di vero degli errori di ieri”.
Il vero problema è trovare un interlocutore politico; i medici, attraverso la riflessione degli Stati Generali, almeno provano a prepararsi. I medici stanno stretti nei limiti imposti da questi sconvolgimenti (le leggi, le novità scientifiche e tecniche, i cambiamenti sociali, le imposizioni burocratiche) e spesso si rifugiano in una sorta di utopia del passato. Il futuro è già tra noi e non lo affronteremo scontrandoci con gli infermieri bensì adeguando la professionalità alle novità della scienza e alle richieste dei cittadini.
Antonio Panti
PS. Leggo a articolo completato le osservazioni delle giovani e agguerrite colleghe veneziane che ammiro per la loro cultura e consapevolezza. Se il Direttore di QS me lo consentirà chiederò spazio per rispondere. Però le colleghe cosa pensano che abbiamo fatto noi laureati negli anni 60 (io nel 1961) del secolo scorso? Abbiamo studiato con enorme fatica (quanti paradigmi sono emersi da allora!) e siamo stati con gli occhi ben aperti per comprendere i nostri pazienti e come cambiavano. Con grande umiltà le colleghe dovranno fare quel che abbiamo fatto noi, però con maggiore soddisfazione perché avranno sempre più armi per aiutare chi soffre.
Pubblicato su QuotidianoSanità
Autore: Redazione