• Home
  • In Evidenza
  • La Società primo fattore di rischio per l’infertilità: intervista ad Andrea Lenzi e Carlo Foresta

La Società primo fattore di rischio per l’infertilità: intervista ad Andrea Lenzi e Carlo Foresta

Si è aperto questo pomeriggio ad Abano Terme – per concludersi il 1° marzo – il XXIX Convegno di Medicina della Riproduzione, dedicato agli “Scenari della Fertilità Umana tra Scienza e Società”, presieduto dagli andrologi Andrea Lenzi, presidente del Consiglio Universitario Nazionale, e Carlo Foresta, professore dell’Università di Padova. Per la FNOMCeO partecipa il suo vicepresidente, Maurizio Benato.

E una vera e propria malattia sociale sta diventando, in Italia, l’infertilità: sono il 15% le coppie che non riescono a concepire. Le percentuali di infertilità maschile e femminile si equivalgono, attestandosi intorno al 35,5%. Nel 15% dei casi, entrambi i partner sono infertili. Esiste poi un 13% di infertilità idiopatica, senza nessuna causa nota.

Tra i fattori di rischio, la ricerca del primo figlio in età sempre più tardiva – soprattutto per la donna ma anche per l’uomo – l’abuso di alcool, il fumo, l’inquinamento.

Parallelamente, cresce sempre più il ricorso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita: secondo gli ultimi dati del Registro Nazionale PMA, costituito presso l’Istituto Superiore di Sanità, presentati lo scorso luglio in Parlamento, nel 2011 sono state 73.570 le coppie che vi hanno fatto ricorso, contro le 46.513 del 2005.

Dal 2004 al 2012, sono stati più di 655mila i cicli attuati, e 79mila i bambini venuti al mondo con queste tecniche: circa il 2% della popolazione italiana.

La prevenzione dell’infertilità si fa soprattutto con una corretta informazione, a partire dalle nuove generazioni. Per questo gli specialisti riuniti ad Abano Terme si occuperanno dapprima dei percorsi andrologici e ginecologici dall’adolescenza all’età avanzata, per poi confluire, venerdì e sabato, nella Sessione plenaria multidisciplinare.

Ma come può essere attuata tale prevenzione? E, a dieci anni dalla sua approvazione, la Legge 40, che regola la Procreazione medicalmente assistita, è ancora attuale?

Lo abbiamo chiesto ai due presidenti del Convegno: Andrea Lenzi, professore ordinario di Endocrinologia presso il Dipartimento di Medicina sperimentale dell’Università La Sapienza e Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Andrologia e Fisiopatologia della Riproduzione del Policlinico Umberto I di Roma, e Carlo Foresta, professore ordinario di Endocrinologia presso l’Università di Padova.

L’infertilità di coppia sta diventando sempre più una malattia sociale. Non a caso, la Sessione plenaria del Convegno, che sarà interdisciplinare, è dedicata a “Gli scenari della fertilità umana tra ambiente e società”. Ma qual è la situazione oggi? E quali i principali fattori di rischio per l’uomo, per la donna e per la coppia?

Lenzi: "In effetti l’infertilità di coppia sta assumendo, specie nei Paesi occidentali, e in Italia in particolare, una dimensione sociale. Consideri che si stima che  il quindici per cento delle coppie in età fertile abbia problemi di concepimento. Se lo rapportiamo ad una scala mondiale ci sono circa  cento milioni  di coppie infertili.
La particolare diffusione nei Paesi occidentali è legata alla scelta, spesso obbligata da motivi economici, di differire la prima gravidanza in una fascia d’età in cui le percentuali di concepimento si riducono notevolmente. A questo bisogna aggiungere la sempre maggiore incidenza negativa di cattivi stili di vita, inquinamento e agenti chimici sulla capacità riproduttiva  femminile e maschile".

Foresta: "I principali fattori di rischio sono insiti nella stessa società, che oramai considera la gravidanza una progettualità da realizzarsi in un periodo ben definito della vita, quando tutte le altre componenti del vivere (economico, di realizzazione personale ecc.) sono ben codificate, e questo avviene in età sempre più avanzata.
Alcuni numeri parlano chiaro: nel 2011 in Italia sono nati 546 mila bambini, e in contemporanea si sono effettuate 111 mila interruzioni di gravidanza, fenomeno che è ugualmente presente in tutte le fasce anagrafiche
L’età della donna al primo figlio in Italia è di 31,4 anni – la più elevata, dopo la Grecia, in tutti i Paesi occidentali – proprio quando inizia il declino del potenziale di fertilità. D’altra parte, specularmente, si assiste ad un incremento della Procreazione Medicalmente Assistita. E l’età delle donne che la richiedono è sempre più elevata: in media, 36 anni e mezzo.
Lo stesso fenomeno anagrafico interessa anche l’uomo, basti pensare che l’età del padre al primo figlio è di 35,1 anni. L’età avanzata dell’uomo influenza la fertilità, ed è in relazione anche all’abortività spontanea. Inoltre, studi sempre più complessi dimostrano che il corredo genomico dello spermatozoo del padre anziano può essere, più frequentemente che nel giovane, portatore di malattie geniche.
La società influenza negativamente la fertilità, in altre maniere, ad esempio determinando un habitat poco favorevole, che interferisce soprattutto con la spermatogenesi. L’incremento della temperatura gioca infatti un ruolo negativo sulla fertilità dell’uomo. I testicoli, per una normale spermatogenesi, sono posti fuori dalla cavità addominale e hanno una temperatura di almeno due gradi centigradi in meno rispetto alla temperatura corporea.
Gli stili di vita, infine, sono molto importanti per il mantenimento di una normale fertilità: basti pensare agli effetti negativi della obesità nel maschio e nella donna, alle malattie infettive sessualmente trasmesse, al fumo".

Quali nuove tecniche ha ora a disposizione la scienza per venire in aiuto delle coppie infertili?

Lenzi: "Prima di parlare delle possibilità tecnica, mi faccia dire che è aumentata la consapevolezza da parte degli uomini dell’importanza di sottoporsi a una serie di analisi, prima fra tutte quella del liquido seminale, che consente di definire la potenzialità fecondante del partner maschile. Questa consapevolezza è il frutto di anni di battaglie e di campagne svolte dalle società andrologiche italiane, in particolare la Società Italiana di Andrologia Medica e Sessuologia (SIAMS) che ho avuto l’onore di dirigere, che da tempo sta conducendo campagne di prevenzione, informazione e comunicazione in tutta Italia.
Detto questo, da alcuni anni abbiamo a disposizione una serie di tecniche quali  FIVET,  ICSI, ecc. Senza entrare nel dettaglio delle singole procedure, basti dire che grazie alla loro messa a punto, è oggi possibile ottenere una gravidanza anche nei casi più disperati di infertilità di coppia, come l’assenza di spermatozoi nel liquido seminale nel maschio o la chiusura di entrambe le tube nella donna".

Foresta: "La scienza ha oggi a disposizione tecnologie veramente sofisticate per la diagnosi e soprattutto per caratterizzare l’alterazione funzionale delle cellule della spermatogenesi. Si possono immaginare terapie più mirate, siamo padroni di tecniche di fecondazione sempre più sofisticate, ma gli incrementi dei risultati non sono sostanzialmente modificati. E questo perché i risultati delle tecniche sono fortemente legati alla qualità dei gameti, e la qualità dei gameti esprime una naturale regolazione del processo che porta l’essere umano alla fertilità".

E come si pone la Legislazione nei confronti di queste tecniche? In particolare, come è cambiata, in Italia, la situazione dopo l’approvazione della Legge 40?

Lenzi: "Purtroppo la legge  40/2004 si è dimostrata  inadeguata a soddisfare  la finalità per cui era stata pensata, ossia quella di ovviare ai problemi di sterilità e infertilità di cui sono affette le coppie.
Da un lato, ha dato normativa ad un settore fino a quel momento senza controllo legislativo, dall’altro ha anche ridotto le possibilità di effettiva Good Medical Practice rispetto alla realtà internazionale. Questo ha portato al fenomeno del cosiddetto turismo procreativo, cioè ha spinto molte coppie italiane a rivolgersi a strutture estere, aumentando ancora di più il peso economico e psicologico che già gravava sulle coppie stesse".

Foresta: "La legge 40 ha subito notevoli cambiamenti in corso d’opera, nel senso che numerose sentenze hanno modificato alcune limitazioni che essa poneva – come il numero di embrioni formati, la possibilità di congelare gli stessi – con il risultato che le applicazioni degli ultimi due anni sono tornate a essere, da questo punto di vista, quelle pre-legge 40.
L’impossibilità della donazione dei gameti, richiesta sempre più frequentemente da donne in età avanzata, rimane una regola fondamentale della legge, che, non essendo in vigore in altri Paesi, apre a una trasmigrazione di coppie per l’effettuazione di tecniche con gameti donati.
Per quanto riguarda invece la diagnosi pre-impianto, varie sentenze hanno stabilito la validità della esecuzione di questa diagnosi in coppie affette da malattie genetiche note, ma rimane ancora non ben definito il ruolo della diagnosi pre-impianto nelle condizioni a rischio di malattie genetiche (PGS) per una selezione dei gameti normali".

Pensate dunque che ormai la Legislazione in materia sia superata dall’evoluzione scientifica o dalla stessa Giurisprudenza? A vostro avviso, è necessario modificarla? E se sì, in quale senso?

Lenzi: "Il fatto che la legge sia stata in parte superata è stato sancito dall’intervento della Corte Costituzionale, che è intervenuta su uno dei punti più controversi della Legge 40. Con la sentenza  151/2009  ha infatti dichiarato incostituzionale la norma della legge che limitava a tre il numero massimo di embrioni destinati all’impianto (art. 14, comma 2). Non è ovviamente casuale che, a seguito di questa  sentenza,  si sia assistito a un progressivo incremento delle gravidanze ottenute da tecniche di procreazione medicalmente assistita  e a una drastica riduzione della percentuale di coppie costrette a recarsi all’estero per sottoporsi a tali trattamenti.
Per quanto attiene, invece, alla posizione del medico, la modifica della norma, nel senso del riconoscimento di uno spazio di valutazione discrezionale del singolo caso concreto, ha ricondotto al medico ogni scelta in materia di pratica terapeutica. L’eliminazione del limite rigido dei tre embrioni ha, dunque, consentito al medico di “tornare a fare il medico”, compiendo, in piena autonomia, sotto la sua responsabilità e con il consenso del paziente, le proprie scelte professionali.
Rimangono ancora irrisolte due questioni fondamentali: il  divieto assoluto di fecondazione di tipo eterologo e le disposizioni che precludono le tecniche di procreazione artificiale alle coppie fertili, ma portatrici sane di malattie a trasmissione genetica. E sono entrambi problemi con forti implicazioni etiche e sociali.
Per quanto riguarda il primo punto, di recente i Tribunali di Milano, Catania e Firenze hanno nuovamente sollevato la questione di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, ritenendo che permangano intatti i dubbi di costituzionalità dello stesso rispetto ai principi europei, nonostante la sentenza della Corte Europea. Ancora una volta, bisognerà attendere il pronunciamento della Corte Costituzionale, auspicando che la nostra legislazione si possa adeguare alle norme di quasi tutti i paesi europei in cui questa pratica è legale".

Foresta: "La legge 40 dovrebbe certamente considerare tutti i suggerimenti e i cambiamenti che sono stati effettuati dalle diverse sentenze, pur mantenendo solida la sua struttura, e soprattutto dovrebbe definitivamente chiarire se la diagnosi pre-impianto in coppie non affette da malattie genetiche ma a rischio di produrre gameti alterati geneticamente (vedi ad esempio l’età) possa o meno essere effettuata".

Autore: Redazione FNOMCeO

© 2023 - FNOMCeO All Rights Reserved. Via Ferdinando di Savoia, 1 00196 ROMA CF: 02340010582

Impostazioni dei Cookie.