La violenza di genere come emergenza di sanità pubblica

La violenza di genere oltre ad essere una dolorosa tragedia umana collettiva è diventata anche una vera emergenza di Sanità pubblica, dal peso insostenibile in termini di costi economici, diretti e indiretti (ricoveri, cure, assenze dal lavoro…), oltre che sociali.

Non mancano le norme. Volendone citare solo alcune ricordiamo la Convenzione di Istanbul del 2011 che all’articolo 1 specifica i seguenti obiettivi:

  • proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
  • contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne;
  • predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;
  • promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
  • sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica

La Convenzione è il primo strumento internazionale giuridicamente vincolante, sia in chiave di prevenzione che di repressione, che riconosce la violenza, fisica e psicologica, come “violazione dei diritti umani e forma di discriminazione”.

Tra i punti principali della Convenzione, la creazione di un Osservatorio per monitorare il problema, la formazione specializzata degli operatori, un servizio dedicato nei Pronto Soccorsi, il ripristino e l’implementazione del fondo del piano nazionale di azione contro la violenza sulle donne e il contrasto alla pratica della mutilazione genitale femminile.

C’è la risoluzione ONU del 25 settembre 2015 per l’adozione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile che stabilisce traguardi internazionali coerenti nella cornice dell’Obiettivo 5 “Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Ci sono le norme nazionali, che ricalcano/applicano gli obiettivi della Convenzione di Istanbul e le risoluzioni Onu, che sono riportate nei Piani Strategici Nazionali di contrasto alla violenza di genere, attualmente è in vigore il Piano Strategico Nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023”.

Il Ministro con delega alle pari opportunità e alla famiglia con il piano ha l’obiettivo di continuare a dare impulso all’azione di Governo per fornire risposte a bisogni molto particolareggiati, che attengono a molteplici aspetti connessi alle condizioni di violenza: la prevenzione, la protezione delle vittime, la punizione degli uomini che agiscono la violenza,  la formazione e l’educazione di operatori e della popolazione, l’informazione e la sensibilizzazione, l’azione sugli uomini maltrattanti, la tutela delle donne migranti e vittime di discriminazioni multiple,  l’autonomia lavorativa, economica e abitativa, la diffusione dei luoghi dedicati alle donne .

Sempre con i piani si è previsto che l’Istat dal 2017 rilevi i dati attinenti al Sistema della Protezione delle donne vittime di violenza.

Nel 2018 sono state avviate le Indagini sulle prestazioni ed erogazioni dei servizi offerti dai Centri antiviolenza (CAV) e analoga rilevazione sulle Case rifugio, la rilevazione statistica sull’Utenza dei Centri antiviolenza, nonché la diffusione dei dati del numero di pubblica utilità (1522) contro la violenza e lo stalking. Queste rilevazioni sono realizzate in collaborazione con il Dipartimento per le Pari Opportunità (DPO) presso la Presidenza del Consiglio e con le Regioni. Molti sono i dati raccolti dall’Istat (anni 2021-22) di notevole interesse.

In Italia:

▪ Sono 373 i Centri antiviolenza e 431 le Case rifugio, un dato in aumento rispetto agli anni precedenti, così come è in aumento la loro utenza.

▪ 34.500 donne si rivolgono ai CAV, 21.252 di queste ha figli (61,6% del totale).

 ▪ Su un totale di 15.248 figli minorenni, la percentuale di quelli che hanno assistito alla violenza del padre sulla madre è pari al 72,2% e il 19,7% la hanno anche subita.

Questi numeri ci devono far riflettere.

Cosa fa la Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO)? Come fanno gli Ordini provinciali? Cosa fanno i professionisti e le professioniste?

La FNOMCeO c’è, gli Ordini provinciali ci sono, i/le medici/che gli/le odontoiatri/e ci sono nel contrasto alla Violenza di Genere.

La FNOMCeO si è impegnata e si impegna da anni a contrastare la violenza di genere con la formazione e l’educazione di operatori sanitari e della popolazione, l’informazione e la sensibilizzazione della cittadinanza. La FNOMCeO ha promosso campagne di sensibilizzazione per i medici e gli odontoiatri, coinvolgendo tutti i 106 Ordini provinciali, al fine di prevenire e contrastare la violenza di genere.

Le campagne hanno previsto/ prevedono la diffusione di materiale informativo e la formazione dei medici e degli odontoiatri sulle modalità di intervento in caso di violenza di genere.

Ha istituito Commissioni di studio per proporre soluzioni.

Il ruolo della Federazione Nazionale e degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri è di:

  • mobilitatore di senso civico,
  • promotore di benessere e salute,
  • aggregatore di culture.

Gli Ordini provinciali sono stati / sono:

  • Divulgatori di buone pratiche
  • Diffusori / Cassa di risonanza di informazioni corrette mediante convegni /corsi / conferenze stampa /opuscoli/ circolari / iniziative/info sui propri siti web.

Tutto questo è sufficiente? La risposta purtroppo è no!

Ora sotto l’ondata emotiva che fa seguito al femminicidio della giovane Giulia Cecchettin, si parla di altre norme, si parla di Prevenzione nelle scuole con ore di “educazione civica” ai sentimenti e al rispetto delle diversità di genere.

Le forze dell’ordine si impegnano con pool specializzati (come fu per Mani Pulite) nel trattamento dei casi di molestie e di violenza.

Si è ben compreso che serve l’azione coordinata di ordini professionali (medici, giornalisti, avvocati, psicologi, magistrati…) nel trattamento ma anche nella prevenzione dei casi di violenza.

Si è compreso che serve il potenziamento della rete dei centri di assistenza delle donne maltrattate….

Si è compreso che è fondamentale la rete delle istituzioni, delle professioni , delle associazioni ma non è ancora sufficiente .

Ogni buona norma serve a poco se non è accompagnata poi da ottime pratiche.

E allora noi dobbiamo pensare di avviare da subito una gigantesca rivoluzione culturale, un investimento sul comportamento degli uomini che produca a breve-medio termine qualche risultato.

Questo non può che partire da una forte mobilitazione di tutti ma in particolar modo degli uomini, da una loro netta scelta di campo, da una dimostrazione pubblica del loro impegno a costruire, partendo dalle buone pratiche quotidiane in casa e sul lavoro, un nuovo modello di rapporti tra i sessi.

Certo è più facile e comodo dire “non riesco nemmeno pensare all’idea di uccidere una donna”, ma è sul terreno del quotidiano convivere che si misura poi di fatto la propria statura di uomo, e non solo di maschio.

Se al silenzio degli indifferenti o peggio alle complicità maschiliste, si passasse alla critica intransigente di ogni atteggiamento di sopraffazione, sarebbe già un primo, utile passo per educare al rispetto. Ci piacerebbe vedere scendere in piazza gli uomini “di buona volontà” per affermare, insieme alle loro mogli, compagne, amiche, ma anche alle altre donne, che questa battaglia è di tutte e di tutti. Se no la perdiamo.  Se no è una battaglia che continuiamo a perdere.

Maria Assunta Ceccagnoli

Coordinatrice Gdl FNOMCeO contro la violenza sulle donne e sui minori e presidente OMCeO Pescara


Crediti immagine: Università di Pavia su Flickr, Attribuzione (CC BY 2.0)

Autore: Redazione

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