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Le regole sulla ripartizione dell’onere probatorio in campo di responsabilità medica

Cassazione Civile – Le regole sulla ripartizione dell’onere probatorio in campo di responsabilità medica – In tema di responsabilità civile nell’attività medico- chirurgica, il contenuto dell’onere probatorio a carico del paziente danneggiato si limita, in caso di esito peggiorativo dell’intervento, alla prova di essersi sottoposto all’intervento presso la struttura e di aver riportato, a causa dell’intervento, un obiettivo peggioramento delle proprie condizioni fisiche in rapporto di causalità con l’intervento stesso. Spetta invece al medico o alla struttura sanitaria dimostrare non soltanto che non siano stati compiuti errori nella esecuzione dell’intervento, ma anche che l’obiettivo aggravamento sia dovuto a una causa individuata non imputabile alla struttura. (Sentenza n. 5590/2015)

FATTO: Nel 2003 S.D., i suoi fratelli S.L., P. e G. e P.S. e la madre M. A. convennero in giudizio dinanzi al Tribunale di Novara la Gestione Liquidatoria dell’ex U.S.S.L. n. 51 di Novara e l’Azienda Ospedaliera Ospedale Maggiore di Novara per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti dallo S. e dai suoi familiari per i gravi postumi invalidanti riportati dallo stesso a causa della erronea e negligente esecuzione di un intervento chirurgico cui lo S. si era sottoposto presso l’ospedale di Novara, e della carente sorveglianza postoperatoria.Esposero che S.D. era stato coinvolto nel 1985, all’età di quindici anni, in un grave incidente motociclistico, ed aveva subito un importante trauma cranio encefalico; dopo l’incidente aveva avuto un buon recupero neurologico ma nel 1992, accusando degli irrigidimenti muscolari agli arti inferiori che gli causavano difficoltà di deambulazione, si rivolse all’Ospedale di Novara per accertamenti. Gli esami svolti accertarono la presenza di idrocefalo e di siringomielia da malformazione di Arnold/Chiari e venne consigliato ed eseguito presso l’ospedale di Novara un delicato intervento chirurgico di decompressione sub-occipitale e laminectomia delle prime vertebre cervicali, che comportò l’apertura della calotta cranica e l’asportazione di una sezione vertebrale. Tre giorni dopo l’intervento, il paziente, collocato per il decorso post-operatorio in un letto privo di protezioni e sponde benché avesse problemi di incontrollata mobilità degli arti, cadde dal letto, riportò un trauma cranico ed una emorragia cerebrale tanto che dovette essere trasferito in rianimazione.Alla dimissione, il paziente presentava un quadro clinico peggiorato rispetto all’ingresso. La situazione dello S. progressivamente peggiorava, tanto che nel 2003, all’inizio della causa, egli era ormai totalmente tetraparetico, gravemente disartrico e bisognoso di assistenza continua perché impossibilitato a compiere alcun gesto della vita quotidiana. Nel 2005 lo S. decedeva e la causa veniva proseguita dai suoi familiari anche come suoi successori. il Tribunale di Novara nel 2007 preliminarmente dichiarò la carenza di legittimazione passiva della l’Azienda Ospedaliera “Maggiore della Carità” di Novara, quindi dichiarò prescritti i diritti degli attori azionati iure proprio nei confronti della Gestione Liquidatoria, e rigettò per infondatezza della domanda le domande risarcito rie proposte iure successionis. La Corte d’Appello di Torino nel 2011 a seguito dell’appello proposto dagli attuali ricorrenti sostanzialmente teneva ferma la sentenza di primo grado (disponendo la compensazione delle spese di primo grado nei confronti della Azienda ospedaliera), confermando l’intervenuta prescrizione dei diritti azionati iure proprio e respingendo per il resto come infondata la domanda degli attori. La corte in particolare escludeva che il peggioramento del paziente fosse imputabile ai sanitari sotto il profilo della imperizia o inesattezza nell’esecuzione dell’intervento chirurgico ed anche sotto il profilo della mancanza ai doveri di protezione del paziente e riteneva provata l’intervenuta raccolta di un idoneo consenso informato.S.L., P. e G., P.S. e M.A. in proprio e quali eredi di S.D., propongono ricorso per cassazione.
DIRITTO:  In tema di responsabilità civile nell’attività medico-chirurgica, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto (o del "contatto sociale") e dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie per effetto dell’intervento) e del relativo nesso di causalità con l’adone o l’omissione dei sanitari, ed allegare la colpa della struttura, restando a carico dell’obbligato – sia esso il sanitario o la struttura – la prova che la prestazione professionale sia stata eseguita in modo diligente e che gli esiti peggiorativi siano stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile, rimanendo irrilevante, sotto il profilo della distribuzione dell’onere probatorio, che si tratti o meno di intervento di particolare difficoltà. In tema di responsabilità civile nell’attività medico- chirurgica, il contenuto dell’onere probatorio a carico del paziente- danneggiato si limita, in caso di esito peggiorativo dell’intervento, alla prova di essersi sottoposto all’intervento presso la struttura e di aver riportato, a causa dell’intervento, un obiettivo peggioramento delle proprie condizioni fisiche che si trovi in rapporto di causalità con l’intervento stesso. Spetta invece al medico o alla struttura sanitaria dimostrare non soltanto che non siano stati compiuti errori nella esecuzione dell’intervento ma anche che l’obiettivo aggravamento sia dovuto a una causa individuata non imputabile alla struttura. In definitiva, le regole di distribuzione degli oneri probatori fanno sì che, a tutela del paziente che si affida ad una struttura sanitaria per sottoporsi ad un intervento chirurgico, l’onere probatorio del medico, nel fornire la prova liberatoria dalla sua responsabilità è correttamente adempiuto laddove questi non si limiti a provare la correttezza della propria prestazione, ma sia in grado di dimostrare anche, in positivo, che l’esito infausto è dovuto ad un altro evento individuato (preesistente o sopravvenuto) indipendente dalla propria volontà e sfera di controllo. Qualora rimanga incerta la causa dell’esito infausto, la situazione processuale di sostanziale incertezza circa l’assenza di colpa del medico, e circa le cause dell’aggravamento, non può esser fatta ricadere sul paziente (che non è, oltretutto, il soggetto che dispone degli strumenti e che ha accesso a tutte le informazioni per poter accertare la vera causa del suo aggravamento), ma ricade sul sanitario o sulla struttura, che non riesce a liberarsi dalla sua responsabilità. Si precisa che la prova liberatoria potrebbe anche consistere nella individuazione di un fatto, imprevisto e imprevedibile ma pur sempre riconducibile alla condizione fisica del paziente, il quale potrebbe in ipotesi avere un crollo della proprie condizioni generali non prevedibile a priori. Con riferimento all’obbligo di informazione la Corte di Cassazione ha affermato che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità e l’indicazione delle probabilità di successo e di in alterazione, dei possibili rischi ad esso connessi e delle eventuali conseguente, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che qualora realizzatisi verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo

Autore: Marcello Fontana - Ufficio Legislativo FNOMCeO

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