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Locri (Reggio Calabria): la buona Sanità esiste anche al Sud

LOCRI – Quest’anno il 16 ottobre cade di domenica. Esattamente come sei anni fa. Domenica 16 ottobre 2005, ore 17: a palazzo Nieddu, in pieno centro, l’assassinio di Francesco Fortugno, Vice-Presidente del Consiglio Regionale della Calabria, medico, dirigente del Pronto soccorso dell’ospedale.

“Un omicidio politico-mafioso”, disse Piero Grasso, Capo della Procura Nazionale Antimafia. Un omicidio di ‘ndrangheta. Sono stati assicurati alla Giustizia gli esecutori materiali del delitto, non i mandanti. Il processo va avanti. Dopo sei anni, ci sono ancora cose da capire. Anche in questo 16 ottobre, molti di noi saranno a Locri a commemorare Fortugno e per dire ancora No alla ‘ndrangheta, come sei anni fa, quando la rabbia dei calabresi onesti fu sintetizzata in un geniale slogan su uno striscione bianco: “…e adesso ammazzateci tutti”, coniato da Aldo Pecora e altri sei ragazzi: i magnifici sette, ribattezzati dai media “i ragazzi di Locri”, anche se non tutti erano di qui.
Locri, 13 mila abitanti, dà il nome a tutta la zona: la Locride, provincia di Reggio Calabria. Di Locri e della Calabria si parla solo quando accade qualcosa di eclatante. E’ raro che se ne parli bene. Per esempio, il 15 settembre, è balzata nelle cronache nazionali l’evasione del boss Antonio Pelle. E tutti a titolare: “Evaso dall’ospedale di Locri”.

Ma non è andata così: Pelle è evaso dagli arresti domiciliari, è evaso da casa sua: prima si è autoindotto una grave forma di anoressia, si è ricoverato in ospedale, poi è fuggito ed è tornato latitante. Lo ha spiegato bene Giuseppe Pignatone, Capo della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Per chi è ai domiciliari, la legge non prevede il piantonamento, ma controlli a ore. Era facile per lui fuggire sia da casa, sia dall’ospedale. Che poi l’ospedale di Locri sia come un albergo senza porte girevoli lo sanno tutti, ma questo è un altro discorso.

La cena, la festa, l’infortunio, il dolore

Sta il fatto che quell’ospedale fornisce prestazioni a un’utenza che non è solo di Locri, ma anche dei paesi contermini. E non è tutto da buttare, ci sono casi di buona sanità anche a Locri. E parliamo proprio di un caso accaduto la scorsa estate. Lo racconta la protagonista, Patrizia Biancucci, medico odontoiatra, che vive a Torino dove ha uno studio odontoiatrico. Il racconto è significativo: “Arrivo a Bovalino la sera dell’11 agosto, ospite della famiglia Signati, per una breve vacanza che sarebbe stata anche l’occasione per conoscere la terra di Calabria, dove non avevo mai messo piede. La cena del 12 agosto a casa di Rita, con due nonne, varie mamme e papà e tanti figli e figlie. La tavola straborda di cose buone da mangiare della migliore tradizione calabrese, oltre a vino, birre e liquori. Tutti ne approfittiamo. Bruno è attrezzato con un computer che sforna musica, la tentazione di ballare diventa irresistibile. Hanno ritagliato uno spazio di fianco alla tavolata per scatenarsi nei balli tradizionali, mi meraviglia vedere che anche i giovani si buttano nella mischia. Mi unisco a loro, mi sento parte del gruppo di famiglia. Sono scalzi e anch’io mi tolgo i sandali con tacco a spillo. Mentre ballo la salsa con Mario, 17 anni, il mio piede destro urta violentissimamente contro lo spigolo del muretto che separa la zona pranzo dall’ingresso.
Il dolore è violento, insopportabile ma, convinta che passerà, continuo a ballare. Sono le due di notte, mi rimetto i sandali, ma devo farmi aiutare anche per percorrere soltanto cento metri.

L’impatto con l’ospedale, la professionalità dei medici

Dormo esausta, la mattina mi sveglio con il piede gonfio, scuro, appena lo poggio a terra mi rendo conto che non va. Andiamo a casa di Franco, anestesista all’ospedale di Locri, e mi dice che forse è meglio fare una lastra. Nel pomeriggio mi aspetta nella zona vicina all’elisoccorso. Le indicazioni per raggiungere l’ospedale sono poco visibili, l’ingresso sembra abbandonato: la sbarra è alzata, nessuno controlla, le due telecamere rivolte verso l’alto. Faccio fatica a camminare, l’unica sedia a rotelle che trovo buttata da una parte è semidistrutta con una ruota senza gomma: sarà comunque quella che mi salverà nei successivi controlli. Il reparto di ortopedia ne ha una perfettamente funzionante ma per averla bisogna prenotare e lasciare il documento, in modo che non sparisca. Nel reparto di urologia non avevano i pappagalli perché li portano via, non si sa chi, mistero.

Franco mi fa fare la lastra: frattura scomposta del 5° metatarso destro. Mi fanno subito un gambaletto in gesso che avrei dovuto tenere per circa 20 giorni. Controllo al quinto giorno, non va, il gesso è indebolito proprio nella zona della frattura. Ritorno in sala gessi e quello che credo sia un infermiere me lo rifà più robusto: controllo dopo altri cinque giorni. Ogni volta il problema di trovare qualcuno, l’ingresso sempre deserto, l’incubo della sedia a rotelle, qualche ascensore funziona, spesso devo chiedere il favore a chi ha le chiavi.

Dopo 10 giorni controllo con il primario di ortopedia: è lo stesso che mi aveva fatto il gesso! Lo guardavo incredula. Gli chiedo espressamente di farmi l’intervento e lui mi dice semplicemente “va bene…quando?”. “Domani”, dico io. E lui: “va bene”.

La mattina del 26 agosto il dottor Enzo Macrì mi sta aspettando in sala operatoria, mentre io sono all’ingresso che non sto in piedi, non c’è sedia a rotelle, nemmeno qualcuno che mi possa aprire l’ascensore. Arrivo dopo circa un’ora e per fortuna Antonietta, ostetrica, moglie del dottor Signati, mi fa attendere in una saletta con aria condizionata, mentre nel corridoio non si respira per il caldo. L’ospedale è fornito di condizionatori ma le finestre sono aperte quasi ovunque. Ovviamente, ho ancora il gesso: il primario chiama la sala gessi, nessuno risponde, non insiste. Lo fa lui, senza commenti, senza perdere altro tempo. Sembra di stare in quegli ospedali da campo dove i medici sanno come arrangiarsi in ogni situazione. Parla poco, il viso affaticato, lavora di continuo, sembra assuefatto al contesto sanitario che non agevola l’operato di un chirurgo come lui, bravo, preparato, scrupoloso, e anche conosciuto di persona e di fama in giro per l’Italia.

Finalmente l’intervento: l’anestesista Franco Signati salta da una sala all’altra perché intanto ci sono cesarei urgenti e c’è solo lui. Poi mi ha seguito per giorni dopo l’anestesia come pochi altri avrebbero fatto. In occasione dell’ultimo convegno FNOMCeO alla Maddalena, il 1 ottobre, ho detto al Presidente Amedeo Bianco: “I nostri colleghi ospedalieri che lavorano in trincea in Italia sono degli eroi come quelli che vanno in Afghanistan”. Ho fatto controlli fino a fine agosto, poi il ritorno a Torino, ma con il ricordo positivo della mia esperienza all’ospedale di Locri. Ecco perché esprimo la mia gratitudine e la mia stima per Enzo Macrì, primario Ortopedia ospedale di Locri e per Franco Signati, anestesista. Tutta la famiglia Signati si è prodigata senza riserve: il loro conforto e il loro affetto hanno reso piacevole quella che doveva essere una vacanza, ma è stato molto di più. Questa è l’altra faccia della Locride che forse pochi conoscono”.

Zampogna: siamo in trincea, ma impegnati per cambiare la sanità

Sì, pochi conoscono. Da queste parti sono molto più conosciuti i casi della cosiddetta malasanità, gli scandali che hanno portato in emersione i rapporti tra sanità-politica-‘ndrangheta. Ma qui, oltre ai casi di malasanità, ci sono i casi di buona sanità. E, all’esistenza della ‘ndrangheta si contrappone un vasto fronte di persone perbene che combattono la prepotenza dei boss. Anche nella Locride c’è chi si batte per la legalità.
Il caso della dottoressa Biancucci potrebbe apparire un’eccezione. Ma non è così. Lo spiega bene Giuseppe Zampogna, dirigente del Pronto soccorso dell’ospedale di Locri e Vice-Presidente dell’OMCeO di Reggio Calabria: “Le carenze riscontrate dalla dottoressa Biancucci sono comuni a quelle che esistono anche in grandi ospedali come il Cardarelli di Napoli o l’Umberto I° di Roma. Anzi, da noi le liste di attesa sono anche più brevi. Dirigendo il Pronto soccorso, mi trovo a gestire situazioni critiche, specialmente in estate, quando tornano in Calabria i calabresi emigrati al Nord o all’estero. Arrivano in Pronto soccorso e pretendono tutto e subito, quel tutto e subito che non hanno nelle città dove risiedono, al Nord. Sta il fatto che noi reggiamo l’impatto, con carenze di personale medico, infermieristico e ausiliario. In più, corriamo il rischio di minacce e aggressioni, oltre alla possibilità di beccarci qualche denuncia. Parliamoci chiaro, noi siamo in trincea e in questo ha ragione la dottoressa Biancucci, ha rilevato una cosa giusta. Sono anni che chiediamo un posto fisso di polizia: Fortugno è stato ucciso come sappiamo, ma in ospedale sono stati ammazzati altri due medici. E’ vera la storia delle carrozzelle, per il pronto soccorso ne ho fatte arrivare sei, ma sono state subito rovinate, ma questo attiene all’educazione civica dei cittadini. Colgo nelle parole della dottoressa uno stimolo a migliorare la logistica e l’accoglienza in ospedale, non colgo l’intenzione del rimprovero. Noi ce la mettiamo tutta. La dottoressa Biancucci è capitata in buone mani, con il Primario dell’Ortopedia che realmente molti ci invidiano. E questo vale anche per Franco Signati, con il quale mi onoro di essere amico e lo frequento anche fuori dall’ospedale. Mi sento tuttavia di affermare che nell’ospedale di Locri vengono trattati e operati pazienti con patologie gravi e riscontriamo una buona customer satisfaction. C’è ancora tanto da fare e lo faremo, nonostante le risorse finanziarie siano scarse, anche perché la Calabria è una delle Regioni impegnata nel piano di rientro dal deficit”.

Insomma, l’analisi di Zampogna fa pensare. Che i medici siano in prima linea “senza armi e senza munizioni” come dice Patrizia Biancucci, è evidente. La lunga marcia per allineare gli standard della sanità calabrese a quelli delle regioni più forti continua. La sanità in Calabria è lo specchio della società calabrese, con le sue arretratezze che sono il risultato non soltanto di questi ultimi lustri, ma di secoli di storia. Ma l’impegno di cui parla Zampogna dev’essere quello di tutti i calabresi di buona volontà che vogliono far crescere la regione nell’economia, nella società, nelle infrastrutture, una crescita che dovrà marciare di pari passo con la legalità. Senza scorciatoie, perché quelle che sono state tentate sono tutte fallite. E l’ennesimo fallimento sarebbe fatale per la Calabria che vanta due tragici e stridenti primati: è la regione più povera d’Italia con una ‘ndrangheta sempre più ricca. L’insostenibilità di questa situazione deve dare la spinta per cambiare. Un motivo in più per essere a Locri anche in questo 16 ottobre.

Autore: Redazione FNOMCeO

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