Luoghi di cura, luoghi morali

In quest’ultimo ambito, la vecchia idea del determinismo è oggi soppiantata dalle conoscenze che scaturiscono dalla post-genomica, che muove ormai verso una visione olistica, quella della “medicina dei sistemi”, che, in maniera interdisciplinare, guarda al corpo umano come ad un insieme integrato, il quale incorpora le complesse interazioni genomiche, ambientali e comportamentali.

Il nuovo paradigma scientifico sta rivoluzionando l’approccio alla biologia e allo studio delle malattie, mettendo sempre di più in evidenza che il nostro sistema biologico è il risultato di una specifica e singola regolazione   consegnandoci un paziente quale entità biologica irripetibile, con un proprio funzionamento bio-chimico.

Oggi pertanto la medicina sta abbandonando il pensiero “meccanico” per abbracciare il pensiero sistemico, che rifiuta la visione del paziente quale oggetto manipolabile e misurabile e da curare in maniera standard, come se la conoscenza delle singole parti costituisse la conoscenza della persona e la statistica  potesse fare il resto. Ma se il pensiero in medicina si sta riposizionando, l’organizzazione in sanità rimane di matrice “positivista” meccanica. Si rifa in gran parte a un modello di organizzazione scientifica del lavoro dei primi del Novecento proposta da F. Taylor e attuata da H. Ford nella sua fabbrica di automobili a Detroit e si sviluppa razionalizzando il ciclo produttivo secondo criteri di efficienza e ottimalità economica; ai processi di lavoro nei singoli movimenti costitutivi sono assegnati tempi standard di esecuzione.

Elementi di Fordismo reggono la razionalità dell’impianto organizzativo sanitario che risente ancora di una divisione  scientifica del lavoro centrata sulle discipline mediche legate alla storia della professionalizzazione medica. Lo dimostrano inequivocabilmente alcuni esempi: l’efficienza produttiva coglie l’obbiettivo della cooperazione professionale sanitaria e il numero di pazienti che sono processati in un dato periodo di tempo danno la misura  del medico e del professionista sanitario. Di fatto è un modello che si limita solo ad affrontare la dimensione “oggettiva” delle prestazioni sanitarie per loro natura più facilmente misurabili e non include gli elementi soggettivi che sono un punto di forza del grado di soddisfazione dell’utente. Ma l’adozione del paradigma sistemico per uno scopo centrato sul paziente reclama la coerenza di tutti gli elementi costitutivi l’intero  modello, per cui modalità conoscitive del paziente (epistemologia), cura e organizzazione dovrebbero essere armonici e le specificità dell’approccio, di cui sono dotate le varie discipline mediche e sanitarie in genere, dovrebbero essere valorizzate, perché in difetto, ne verrebbe meno la credibilità degli operatori sanitari oltre che dell’intero sistema. 

In sintesi l’organizzazione non dovrebbe strutturarsi “ex ante” rispetto alle modalità, alle attività e agli attori che oggi  ne fanno parte. Pertanto un servizio di qualità non può più  proporsi in maniera "autoreferenziale" ma rispondere a concrete istanze in grado di rispondere non solo ai bisogni espliciti oggettivi ma anche a quelli impliciti e latenti dei  pazienti; dovrebbe presentarsi in forma "rendicontabile", avere un sistema di controllo trasparente verso terzi e  infine rapportarsi con la qualità che le professioni sanitarie riescono ad esprimere nell’erogazione delle cure.

Questo è in sintesi l’assunto chiave della qualità percepita, che dipende pertanto in larga misura dalle concrete relazioni che si instaurano tra il paziente, l’operatore sanitario e la struttura. Per essere coerenti con la centralità del paziente nella sua singolarità e nel suo bisogno occorre intervenire su tutti gli elementi dell’organizzazione. Se sono soprattutto i processi che sono meglio apprezzati dall’utenza, processi intesi quale insieme di meccanismi operativi e comportamenti umani, perché la loro qualità è indice della loro correttezza, del loro coordinamento e della continuità dell’assistenza, non va trascurata la stessa struttura di base, intesa quale struttura architettonica, organigramma e funzioni-gramma fino alla suddivisione dei locali con la decisione sugli spazi assegnati.

La struttura sanitaria è un luogo morale e un sistema “aperto” perché sede in cui si svolgono attività umane con il fine etico della tutela della salute del paziente. La struttura ospedaliera in particolare non potrà più essere un contenitore generico e, se il focus non è più  centrato sulla malattia ma sul concetto portante della centralità del paziente, diventa  la sede di importanti ricadute nei processi.

Rispondere con una visione sistemica richiede innanzitutto una congruenza verticale di livello di cura per intensità di bisogno della persona con una integrazione orizzontale di assistenza appropriata. Una modalità per cui il  lavoro centrato sui compiti lascerebbe il campo al lavoro centrato sugli scopi con attenzione al progetto di salute globale  della persona. Dal punto di vista organizzativo dovrebbero essere i sanitari che si spostano di ubicazione e non il paziente. Una collaborazione multidisciplinare in cui la professione medica e quelle sanitarie sarebbero chiamate ad intrecciare rapporti meno conflittuali e quindi più efficienti, efficaci ed equi; un processo di alta integrazione multidisciplinare che offre l’occasione di riorganizzare e differenziare le responsabilità cliniche, gestionali e logistiche.

Attraverso l’analisi di concetti quali il lavoro di rete, l’integrazione, la multidisciplinarietà e la condivisione interprofessionale della cura possono trovare collocazione conoscenza, controllo, management e anche con modalità diffuse potere professionale. Fare formazione assumerà valenze diverse, di strumento e di processo insieme; processo attraverso il quale l’operatore e l’organizzazione apprendono e strumento che accompagna e sostiene l’agire, la crescita e lo sviluppo professionale. Non più quindi una didattica passiva proposta in funzione delle regole vigenti del sistema ma una didattica attiva, di analisi e soluzione dei problemi al fine di prendere coscienza ognuno del proprio ruolo. I piani di formazione richiederanno una mappatura delle competenze attese per ogni “setting” operativo e ciò non potrà che coinvolgere le diverse aree professionali.

Ma senza una chiara condivisione dei significati del nuovo paradigma culturale non è possibile rimodellare i servizi né stabilire una “nuova gerarchia”, né definire le autonomie tecnico-operative o l’appartenenza delle pratiche. È questo un concetto che emerge con forte chiarezza da quanto espresso. Il medico è il primo garante del cittadino nella tutela della salute e spetta a questo sanitario farsi primo interprete della nuova “governance” del sistema, dove la questione interprofessionale richiederà  la ridefinizione  dei contenuti dell’atto medico e dell’atto sanitario e dove saranno sicuramente da contrastare ed eliminare sovrapposizione funzionali, incertezze ed equivoci tra competenze e responsabilità.

(articolo pubblicato il 7 giugno 2016 su «Il Sole 24 Ore Sanità»)

Autore: Redazione FNOMCeO

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