Malagnino: Enpam e Odontoiatri per una professione unita

Anche l’Enpam porterà il suo contribut rilevante al dialogo odontoiatrico dei prossimi giorni. Lo farà attraverso la presenza di Giampiero Malagnino, vicepresidente dell’Ente ed odontoiatra. L’abbiamo interpellato per approfondire con lui i rapporti tra Enpam e mondo dentistico italiano, all’indomani dell’annuncio della profonda e positiva ristrutturazione che l’Ente ha intrapreso, anche con il contributo dell’attuale presidente del Consiglio, Mario Monti.

Presidente Malagnino: nei prossimi giorni la CAO ha convocato un’assise che ben può essere definita "Stati Generali dell’Odontoiatria". Lei rappresenta il mondo dei dentisti ormai da lungo tempo: come legge e come giudica il momento presente dell’odontoiatria italiana?

Dal mio punto di osservazione noto che, per la prima volta in venti anni di esistenza della quota B del fondo generale dell’Enpam – fondo che com’è noto raccoglie i contributi previdenziali obbligatori da redditi libero professionali – le entrate del fondo sono diminuite! Questo è indubbiamente un indice importante della crisi, soprattutto se si considera che il reddito libero professionale sul quale si versano i contributi non è tutto il reddito, ma ha un tetto di poco più di 50.000 €. Questo significa che il dato Enpam fotografa solo in parte la diminuzione del reddito della libera professione. Ma non è solo questo il problema dell’odontoiatria: tutto sommato questo del reddito è una conseguenza della crisi che ha colpito l’Europa e l’Italia in particolare e, prima o poi, passerà. I problemi più importanti, a mio modo di vedere, sono quelli che derivano dalle soluzioni alla crisi che i vari governi e varie forze politiche, per non parlare degli organismi comunitari, hanno individuato nell’ambito ordinistico.

Ad esempio la parola d’ordine delle “liberalizzazioni”?
Mi domando: che significa "liberalizzazione delle professioni"? Che significa "dare spazio ai giovani professsionisti"? Che significa che le società di capitali possono esercitare la professione? E che significa che i tecnici possono far parte di queste società? Non credo che ci siano professioni meno "tutelate" della nostra e di quella medica: per potersi iscrivere al corso di laurea bisogna superare un esame per il quale sembra che essere figlio di un odontoiatra sia un handicap. L’esame di abilitazione viene superato da più del 99% dei laureati alla prima prova e, come si sa, l’abilitazione consente l’immediata iscrizione all’ordine. E con questo il neoiscritto è assolutamente simile a tutti gli altri iscritti. Solo che, essendo molto onerosa l’apertura di uno studio e praticamente impossibile lavorare per il SSN, il giovane si trova ad essere in balia di offerte di lavoro che, quando sono corrette, gli fanno guadagnare 10-15 € l’ora sia nel pubblico che nel privato. E per privato non mi riferisco a colleghi che li sfruttano, ma società, magari in franchising, che li sfruttano per remunerare il capitale investito e non certo la professionalità.
C’è, quindi, bisogno di una professione unita in tutte le sue espressioni per poter spiegare al potere politico le caratteristiche di questa professione, ma anche per poter dare risposte professionalmente e deontologicamente corrette alla domanda di assistenza odontoiatrica posta dai nostri pazienti e che, quasi sempre per motivi economici, non viene soddisfatta. Per giungere all’appuntamento proposto dalla CAO: sono a mio avviso molto utili tutti i momenti di confronto nella professione per affrontare anche questi problemi.

Spesso i media fotografano il mondo medico e odontoiatrico come "casta", pieno di privilegi nascosti e quasi illegali. Le chiedo dalla sua lunga esperienza: come può rispondere il mondo odontoiatrico a queste accuse spesso non trasparenti e interessate?
Come dicevo prima, la migliore risposta è quella di elaborare tutti insieme, in collaborazione con le istituzioni interessate – Ministero, Assessorati regionali alla salute, ma anche Province, Comuni, organizzazioni di utenti o, con espressione che non è confacente ai nostri pazienti, consumatori. È necessario, oggi come non mai, esercitare tutta la nostra "sapienza" ed esperienza e forse anche fantasia per riuscire a riportare nei nostri studi, magari ripensati, riorganizzati per essere più efficienti, valorizzati, quei pazienti che fanno turismo odontoiatrico, o si recano presso società in franchising o addirittura non possono in nessun modo curare la propria salute orale. Inoltre, dobbiamo ricordare più spesso e con più determinazione che gli odontoiatri italiani sono dei bravi cittadini anche dal punto di vista fiscale: nel 2000 il reddito netto medio era di 28 milioni di lire, nel 2010 è stato di 48.000 €! Siamo quasi spariti da quelle indagini sull’evasione fiscale, ma non siamo riusciti a valorizzare questo che io considero un "valore" importante.

L’Enpam è nel pieno di una ristrutturazione importante cui ha partecipato anche il professor Mario Monti. Il messaggio per gli iscritti – non importa se medici o dentisti – è di continuare a credere nell’Ente e nella sua opera di rinnovamento?
L’Enpam, come tutti gli enti di previdenza dei professionisti, è stato chiamato a sfide difficili per garantire la sostenibilità a trenta anni dai 15 cui la obbligava la legge precedente. Questo in un periodo ormai di parecchi anni di una crisi economica che non consente grandi risparmi previdenziali, nè grandi rendimenti del patrimonio. Addirittura la manovra "salva Italia" del governo Monti in discussione in parlamento ci obbligherebbe (ma il comma è scritto male!) a 50 anni di sostenibilità. Il grande patrimonio della fondazione e la partecipazione dei colleghi alle ragioni del processo riformatore, mi fa essere ottimista! È facile comprendere che mettere da parte 5.000€ l’anno per 40 anni, pur con la rivalutazione dell’inflazione e con il rendimento del patrimonio, non può dare una pensione per 20 anni che, con le regole attuali, è intorno ai 30.000€ l’anno! Meno comprensibile ed accettabile è quello che vorrebbero farci fare alcuni dirigenti pubblici del settore: passare di colpo dal sistema retributivo reddituale al sistema contributivo. Senza entrare in tecnicismi, questo sistema non consente nessuna solidarietà tra le generazioni e all’interno della stessa generazione – siamo ente di Assistenza e Previdenza: da dove dovremmo prendere le risorse per l’assistenza se il montante di ognuno di noi è dedicato solo alla nostra singola pensione? Ma quel che è peggio, nonostante quello che dicono coloro che ci vogliono far passare al contributivo, sarebbe "troppo" punitivo per i giovani. Infatti tutti parlano di "contributivo pro-rata", cioè le pensioni si calcolano con il contributivo dal momento in cui entra in funzione, i precedenti versamenti vengono calcolati con il sistema precedente. Questo è possibile per il sistema pubblico (INPS) che non si preoccupa del "debito previdenziale" accumulato perché lo paga la fiscalità generale e non ha accumulato neanche un euro di patrimonio, anzi….! Noi, enti dei professionisti privatizzati, non abbiamo “Pantalone che paga”, ma il patrimonio accumulato e i versamenti degli attivi. Passare al contributivo per noi significa, quindi, far pagare il debito alle generazioni che verranno. E queste cominciano a lavorare e a guadagnare e, quindi, a mettere da parte risparmi previdenziali, tardi; e guadagnano meno delle generazioni precedenti! La conseguenza sarebbe che i loro versamenti sarebbero utilizzati solo per pagare le pensioni in essere e ben poco resterebbe per le loro pensioni. Per questo prima definivo "troppo" punitivo il sistema per le giovani generazioni che potrebbero essere costrette a "uscire" da questo sistema. Tanto che viene il dubbio che l’obiettivo vero non sia quello di favorire i giovani con il contributivo (questo può essere vero per il sistema pubblico), ma quello di utilizzare il patrimonio delle casse (più di 42 miliardi) non per pagare le pensioni, ma …..diciamo "per altro"!

E poi c’è l’aspetto della gestione del patrimonio….
Un ingente patrimonio: più di 11 miliardi! Già nell’aprile, maggio del 2010, quando presentammo ai presidenti il programma della legislatura 2010-2015, dicevamo che era necessario ripensare alla gestione (i più esperti la chiamano "governace") e all’Assett Allocation Stategica (AAS: individua i prodotti Finanziari e il tipo di beni immobiliari, e la loro ripartizione, su cui bisogna tendere per ottimizzare il rendimento del patrimonio, correndo il minor rischio possibile). La governance e l’AAS era stata fissata nel 2000: nel frattempo è cambiato il mondo: il crollo delle torri gemelle, la crisi finanziaria del 2008, la "sostenibilità" passata da 15 a 30 anni l’avvicinarsi della gobba previdenziale ecc., ci consigliavano di legare i nostri investimenti al debito previdenziale ( per i più bravi, parliamo di assett liability management) e di rendere più moderno, efficace e tracciabile il processo decisionale che ci porta a fare gli investimenti. Per questo, in gennaio abbiamo chiesto al prof. Monti di aiutarci e di studiare per noi quale era la best practice internazionale. Il Professore in maggio ha portato in Consiglio di Amministrazione il risultato del suo studio e ci ha dato dei suggerimenti. Il CdA dell’Enpam lo ha immediatamente recepito e applicato con una serie di delibere. Per questo Monti è venuto al nostro convegno del 4-5 novembre, quattro giorni prima della sua nomina a senatore a vita e una settimana prima dell’incarico a Presidente del consiglio, quasi a certificare con la sua presenza il cambiamento in atto. Ci ha anche espresso la sua soddisfazione e anche un pò la sua sorpresa per la rapidità con la quale il CdA stava lavorando.

Da ultimo, Enpam e Odontoiatri: un lungo cammino è stato già fatto, tanto rimane ancora da fare. Quali sono le prossime tappe di questo dialogo?
Io non parlerei di dialogo: il dialogo si fa tra due persone o entità diverse! Dal 1999 lo statuto dell’Enpam prevede la presenza nel CdA di un odontoiatra e di due liberi professionisti nel Consiglio di amministrazione. Uno di questi con altissime responsabilità di governo, il vicepresidente eletto tra gli iscritti alla quota B. Finora i due liberi professionisti sono stati sempre dei dentisti, non per "diritto", ma per accordi con i medici. Sempre nel programma di legislatura di cui parlavo prima era stata recepita la giusta esigenza della professione odontoiatrica, all’interno di una riforma che preveda l’elezione diretta da parte degli iscritti di una parte degli organi dirigenti della Fondazione, di una autonoma rappresentanza. Io aggiungo che questa rappresentanza deve essere messa in condizione di partecipare ancora al governo diretto dell’Ente. E anche per questo ritengo che quello che auspicavo all’inizio di questa intervista, una professione unita sia indispensabile. Anche per essere uniti alla professione medica. E, dal punto di vista previdenziale (ma non solo), anche con tutte le altre professioni liberali.

Autore: Redazione FNOMCeO

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