Report n. 57/2010
MALATTIE INFETTIVE DEI MIGRANTI
( CONTROLLO SANITARIO E PROFILASSI)
I flussi migratori interessano il nostro Paese negli ultimi decenni, e hanno riflessi sanitari notevoli sia dal punto di vista della conoscenza che della programmazione per una buona profilassi e I’accesso alle cure. Se ne è parlato a Torino al 4° congresso di Medicina dei Viaggi e delle Migrazioni, organizzato dalla Divisione di Malattie Infettive delI’Ospedale Amedeo di Savoia.
Tra gli interventi, coordinati dagli infettivologi Pietro Caramello e Guido Calleri, quello di Marco Albonico, consulente Oms, che ha fatto il punto sulle popolazioni interessate che provengono da situazioni critiche come la povertà e la precarietà sanitaria. «Sono diversi i fattori che sostengono Ie condizioni di malattia» ha spiegato «come quelIi costituzionali ereditari e determinanti sociali quali gli stili di vita, Ie reti sociali comunitarie, e tutto quanto incide sulla salute: dal lavoro, alla alimentazione, dal reddito all’abitazione; inoltre, I’educazione ha un impatto rilevante sulla salute, e la scarsa alfabetizzazione delle donne, in particolare, incide molto sulla mortalità materna, infantile e neonatale».
Attualmente gli immigrati nel nostro Paese sono 4.400.000 (di cui 700 mila "irregolari"), prevalentemente giovani. Le malattie infettive non sembrano essere un problema rilevante, fatta eccezione per la tubercolosi (Tbc) e Ie malattie sessualmente trasmesse che interessano il 50% degli immigrati. I casi di Tbc (15%) si riscontrano nel primo anno di arrivo in Italia, la parte restante si ammala in seguito alle condizioni di vita disagiate, e l’Aids interessa il 20% dei casi, con notevoli difficoltà di cura a causa delle diseguaglianze, peraltro presenti anche nel nostro Paese.
Uno degli aspetti che "condizionano" i diritti e il rispetto della dignità di queste popolazioni è dato dal fenomeno della tratta degli esseri umani, con pesanti conseguenze dal punto di vista sociale e medico-infettivologico, tanto da comportare un aumento dell’800% dei casi di sifiIide.
I grandi scenari sono I’emarginazione umana in generale, I’emigrazione in occasione di guerre e per regioni ludiche. Ma particolarmente preoccupante è I’emigrazione che avviene per la tratta degli esseri umani, che va considerata come una moderna forma di schiavitù e, anche se I’emigrazione a fini sessuali rappresenta solo una modesta percentuale, non è meno importante in quanto legata a situazioni come Ie infezioni sessualmente trasmesse e Ie infezioni da Hiv.
Secondo I’Ente dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni sono circa 1 milione gli esseri umani oggetto di commercio ogni anno, la metà dei quali nella sola Europa. In Italia, sono 15-30 mila Ie persone che sono rese oggetto di una tratta di esseri umani, e Ie tipologie coinvolte riguardano quelle destinate alla prostituzione oltre ai minori (circa 1.500) che vengono sfruttati per accattonaggio o per fini sessuali.
Sono persone che provengono soprattutto dall’Est europeo, ma anche dalla Nigeria; tutte fanno parte di quella diseguaglianza che ne rende sempre più difficile il controllo e I’accessibilità alle cure in particolare per quanto riguarda Ie malattie infettive, ed altre patologie a causa di condizioni di vita inumane: scarsa alimentazione, maltrattamenti e precarie situazioni di lavoro cui sono sottoposte.
La prevenzione sanitaria in queste persone è virtualmente inesistente. Le donne che sono riuscite a raggiungere i servizi sanitari, ad esempio, sono di basso livello culturale, e vivono in condizioni di particolare precarietà sociale nel Paese di origine; spesso sono già madri e l’80% delle quali ignora il proprio destino. Il 40% di loro non riesce a superare iI trauma della violenza psicologica, sino ad avere danni permanenti come attacchi di panico, ridotta autostima e suicidio.
L’accesso ai servizi sanitari è per loro deficitario, e iI nostro Paese è tra i primi posti in fatto di protezione sociale, tant’è che nel 2006 ha speso più di 4 milioni di euro per i programmi di integrazione sociale: dall’attività di alfabetizzazione alla formazione lavorativa; ma anche al rimpatrio assistito, etc. Tra il 2000 e il 2006 sono state assistite in campo sociale oltre 11 mila persone.
La malaria, rispetto alla Tbc, sembra essere meno presente in Italia, ma desta ancora una certa attenzione; si evidenzia I’importanza delle misure di protezione personale, come pure la profilassi farmacologica e consigli rivolti in particolare ai migranti che tornano, sia pur per brevi periodi, nei Paesi di origine.
Per quanto riguarda la nostra realtà i due terzi dei casi di malaria vengono diagnosticati in soggetti immigrati, considerando che i migranti vengono in Italia almeno per il 50% da continenti in cui esiste già la malaria, e il 25% dal continente per eccellenza malarico. Negli ultimi 10-15 anni è cambiata la morfologia dell’immigrato: oggi il 40% degli immigrati vive in Italia da oltre un decennio. II primo fattore di rischio per contrarre la malaria è la inadeguatezza o la mancata esecuzione di una corretta profilassi, e questa soprattutto perchè il viaggiatore non percepisce o ignora il rischio, e a volte gli viene prescritto un farmaco non appropriato, etc. Tra i gruppi più a rischio di contrarre all’estero la malaria sono gli immigrati, solitamente di etnie diverse che fanno ritorno temporaneamente al Paese d’origine in visita a parenti. I rischi sanitari sono legati al viaggio, alla logistica dello stesso o a malattie pregresse, per evitare i quali sarebbero utili politiche sanitarie per contenere i costi ed equilibrare la priorità delle strategie preventive, valutare la possibilità di collocare gli ambulatori di medicina dei viaggi in strutture maggiormente frequentate dagli immigrati, e più attenzione alle barriere linguistiche e culturali, etc.
P.S. Come sempre chi fosse interessato ad approfondire, la documentazione completa è a disposizione presso il Centro Studi e Documentazione della FNOMCeO
Roma 07/06/2010
Autore: Redazione FNOMCeO